Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1620 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. II, 19/01/2022, (ud. 17/11/2020, dep. 19/01/2022), n.1620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13388-2017 proposto da:

C.A., CE.NA., C.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA PISANA, 1443 – DE

MARCHI, presso lo studio dell’avvocato MAURO ROSSI, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

B.G., CA.DO., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA MANLIO DI NEROLI, 2, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO

LIUZZI, rappresentati e difesi dall’avvocato CESIDIO CAVAIOLI;

– controricorrenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VELLETRI, depositata il

29/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

E’ stato proposto ricorso straordinario per cassazione contro decreto di trasferimento di bene immobile, oggetto di divisione giudiziale svoltosi in via incidentale rispetto al processo di espropriazione immobiliare promossa da Ca.Do. relativamente a quota indivisa di proprietà della debitrice C.A.: decreto emesso in favore dell’aggiudicatario B.G..

Il ricorso è proposto sulla base di tre motivi, con i quali l’esecutata e i comproprietari valere vizi relativi alla corretta instaurazione del giudizio di divisione (primo e secondo motivo); la violazione di legge consistente nel fatto che il giudizio divisorio è stato definito con il decreto di trasferimento invece che con un provvedimento riguardante la divisione; ulteriore violazione ravvisata nel fatto che il decreto di trasferimento è stato emesso in sede diversa dalla procedura esecutiva (terzo motivo).

Ca.Do. e B.G. hanno resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso straordinario è inammissibile.

A) nella espropriazione dei beni indivisi, il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore pignorante o dei comproprietari e sentiti tutti gli interessati, provvede, quando è possibile, alla separazione della quota in natura spettante al debitore. Se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile, il giudice dispone che si proceda alla divisione a norma del c.c., salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell’art. 568 c.p.c. (art. 600 c.p.c.). Ex art. 601 c.p.c. “Se si deve procedere alla divisione), l’esecuzione è sospesa finché sulla divisione stessa non sia intervenuto un accordo fra le parti o pronunciata una sentenza avente i requisiti di cui all’art. 627. Avvenuta la divisione, la vendita o l’assegnazione dei beni attribuiti al debitore ha luogo secondo le norme contenute nei capi precedenti”.

B) Il sistema suppone il principio, ricavabile dagli artt. 757 e 2825 c.c., che il pignoramento trascritto sulla quota di beni indivisi si concentra sui singoli beni assegnati con la divisione al condividente esecutato (Cass. n. 2615/1967). I creditori, una volta compiuta la divisione, potranno far valere le loro ragioni anche sulle somme a lui dovute a titolo di conguaglio o quale quota del prezzo della cosa, se questa è venduta a un terzo (Cass. n. 26692/2020).

C) E’ principio acquisito che il collegamento strutturale che viene a instaurarsi fra procedimento esecutivo e divisione, reso ancora più evidente dopo la modifica dell’art. 181 disp. att. c.p.c. ad opera della L. n. 80 del 2005, che ha radicato la competenza per la divisione sempre in capo al giudice dell’esecuzione, ha lasciato fermo il principio, ben presente nella elaborazione giurisprudenziale precedente, che il giudizio di cognizione per lo scioglimento della comunione incidentale all’espropriazione dei beni indivisi, è giudizio ordinario di merito, che condiziona bensì lo svolgimento e la conclusione del processo esecutivo, ma ne rimane oggettivamente e soggettivamente distinto. In altre parole “la riforma non ha inciso sulla struttura e sulla funzione del giudizio in questione, del quale ha in sostanza meglio precisato alcuni aspetti formali e procedimentali. Il giudizio di divisione in esame, pertanto, continua a costituire una parentesi “consistente in un vero e proprio giudizio di cognizione” (Cass. n. 20817/2018; n. 21218/2020).

In altre parole, nonostante il collegamento strumentale con l’espropriazione forzata e la competenza funzionale del giudice dell’esecuzione, il giudizio di divisione costituisce un autonomo processo di scioglimento della comunione e non può essere considerato una fase o un subprocedimento della procedura espropriativa in cui si innesta (Cass. n. 22210/2021).

Questa Corte ha chiarito che tra il giudizio di divisione intrapreso da alcuni dei partecipanti alla comunione e quello instaurato in seno al processo di espropriazione forzata della quota di pertinenza di altro condividente, sussiste un rapporto di litispendenza, da disciplinare applicando il criterio della prevenzione di cui all’art. 39 c.p.c. (Cass. n. 7617/2019).

D) In applicazione delle comuni norme divisorie, si avrà che, se la cosa, oggetto di pignoramento relativamente alla quota indivisa di uno dei compartecipi, si deve ritenere comodamente divisibile secondo i criteri stabiliti in materia dalla giurisprudenza (v, quanto a tali criteri, ex multis, Cass. n. 1738/2002; n. 12498/2007; n. 14577/2012), i condividenti avranno il diritto ad avere la loro parte in natura (art. 114 c.c.). E’ inoltre applicabile la disciplina stabilita dall’art. 720 c.c. per gli immobili indivisibili: l’attribuzione del bene indivisibile, qualora almeno uno dei condividenti l’abbia richiesta, paralizza il ricorso alla vendita, che anche qui si atteggia quale soluzione residuale. (Cass. n. 14756/2016; n. 5679/2004).

La tutela dell’interesse dei creditori, anche nella divisione incidentale all’esecuzione forzata, rimane pur sempre correlata alla realizzazione al meglio della garanzia patrimoniale offerta dalla quota indivisa del condividente loro debitore (cfr. Cass. n. 9765/2004), senza che rilevi, a questi fini, approfondire se il creditore procedente agisca utendo iuribus debitoris o iure proprio (in questo secondo senso, incidentalmente, Cass. n. 6072/2012 in motivazione). Essi potranno certamente pretendere che il giudice applichi in modo rigoroso le norme sull’iter divisorio, in modo che la divisione sia realizzata nel modo più economico e razionale possibile; ma, ad esempio, se il bene è comodamente divisibile, i creditori non potranno impedire la divisione in natura, accampando la prognosi del maggior lucro ricavabile con l’alienazione. Analogamente l’esigenza dei creditori, di realizzare il maggior risultato utile, non potrebbe giustificare la deroga al principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte (Cass. n. 10216/2015; n. 1158/1995; n. 4458/1992; n. 8/1969), che, nel conflitto fra più aspiranti, la scelta dell’assegnatario dell’immobile indivisibile non può essere determinata dalla somma che egli offre di pagare a conguaglio (Cass. n. 5709/2020).

E) Nella divisione giudiziale, quando è necessario procedere alla vendita di beni mobili o immobili, il giudice o il notaio applicano le corrispondenti norme dell’esecuzione forzata. Quanto ai rimedi contro la irregolarità degli atti relativi alla vendita, la giurisprudenza di questa Corte ne riconosce la impugnabilità con l’opposizione agli atti esecutivi. Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 10185/2013) non hanno condiviso la tesi secondo cui secondo cui il rimedio non dovrebbe essere l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c.” ma un’autonoma azione di nullità (Cass. n. 1199/2010).

F) Una volta superato l’ostacolo determinato dall’eventuale necessità di vendere uno più beni mobili o immobili appartenenti al patrimonio da dividere, il giudice, ai sensi dell’art. 789 c.p.c., predispone un progetto di divisione, che deposita in cancelleria, fissando con decreto, da comunicarsi alle parti, l’udienza di discussione del progetto ed ordinando la comparizione dei condividenti e dei creditori intervenuti. Se il progetto viene approvato, il giudizio divisionale è concluso con la pronuncia di un’ordinanza che ne dichiara l’esecutività, salva la necessità di una fase ulteriore per le operazioni di sorteggio. In presenza di contestazioni l’approvazione del progetto richiede la pronuncia di una sentenza.

G) E’ intuitivo che, se la comunione comprende solo la cosa oggetto dell’incanto, il progetto, la cui predisposizione è pur sempre necessaria, si esaurisce nel predisporre il riparto di quanto incassato fra i partecipanti, i quali i avranno diritto di ripetere sul prezzo le spese anticipate nell’interesse comune (spese della consulenza, del professionista delegato per l’incanto, ecc.).

H) Le considerazioni che precedono bastano a disvelare l’equivoco in cui incorrono i ricorrenti laddove ipotizzano che “la vendita e il susseguente decreto di trasferimento sono adempimenti della procedura esecutiva una volta che, nel termine assegnato dal giudice istruttore o, in mancanza, previsto dalla legge, sia stata riassunta a seguito della pronuncia dell’ordinanza di divisione sull’accordo delle parti o dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o ovvero dalla comunicazione della sentenza d’appello”.

Invero, in base al sistema sopra descritto, occorre tenere ben distinta la vendita della quota indivisa, ordinata dal giudice dell’esecuzione, che è soluzione alternativa alla divisione, dalla vendita del bene indivisibile nel giudizio di divisione eventualmente instaurato nell’ambito del processo esecutivo: questa vendita ha ad oggetto l’intero bene comune, già oggetto del pignoramento per quota indivisa, e può essere disposta solo in sede di cognizione dal giudice della divisione. A sua volta, la vendita della cosa comune, disposta nel giudizio di divisione, non va confusa con la vendita dei “beni attribuiti al debitore”, menzionata nell’art. 601 c.p.c., comma 2: quest’ultima vendita suppone già avvenuta la divisione ed è disposta dal giudice dell’esecuzione, una volta che questa sia stata riassunta; essa non ha ad oggetto né la quota indivisa dell’esecutato, né il bene indiviso, ma la parte concreta del bene, già oggetto di comunione, che ha preso, retroattivamente, il posto della quota nel patrimonio dell’esecutato (art. 757 c.c.). L’esecuzione si svolgerà su questo bene come se avesse colpito fin dall’origine un bene di proprietà esclusiva del debitore esecutato.

vero soltanto che nel caso che la cosa comune, oggetto del pignoramento sulla quota indivisa del singolo, sia stata venduta nel procedimento di divisione, il procedimento esecutivo si semplifica. Non ci sarà la vendita o l’assegnazione di quanto attribuito al compartecipe debitore con la divisione, ma il procedimento perviene alla fase della distribuzione della somma (art. 596 c.p.c.) (Cass. n. 2308/1964; n. 6072/2012). Anche in questo caso deve tenersi fermo che la funzione della vendita fatta nel giudizio divisorio sarà stata quella solita di rendere possibile o facilitare la divisione in natura. La liquidazione della quota del debitore è un effetto indiretto della vendita, che si verifica nei confronti del comproprietario debitore non in quanto tale (come avviene per la vendita della quota indivisa ordinata dal giudice dell’esecuzione e per la vendita della parte assegnata all’esecutato in esito alla divisione), ma perché egli si è venuto a trovare nella posizione del condividente il quale abbia visto la sua quota composta con solo denaro secondo il progetto approvato ex art. 789 c.p.c. La somma spettante al debitore, del resto, non è attribuita ai creditori direttamente dal giudice della divisione, ma su di essa dovrà statuire il giudice dell’esecuzione, nell’ambito e con le forme della procedura espropriativa (cfr. Cass. n. 5718/1987).

I) Chiarito l’equivoco che è alla base del ricorso, ai fini che rilevano in questa sede (la verifica dell’ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Cost.), è sufficiente rimarcare che, nel giudizio di divisione, la vendita del bene comune, anche quanto non ci sono altri beni oltre a quello venduto, non comporta per sé stessa il compimento della divisione giudiziale, occorrendo a tal fine pur sempre la formazione e l’approvazione del progetto di divisione del ricavato ai sensi dell’art. 789 c.p.c.. E’, l’approvazione del progetto (sentenza o ordinanza) che segna il momento conclusivo della divisione giudiziale (cfr. Cass. S.U., n. 16727/2012), a partire dal quale decorre il termine per la riassunzione del processo esecutivo (Cass. n. 12685/2021). Da qui l’inammissibilità dell’impugnazione straordinaria proposta dai ricorrenti contro il decreto di trasferimento, per difetto del requisito della definitività, richiesto ai fini della esperibilità del rimedio ex art. 111 Cost. (Cass. n. 2562/2016; n. 28724/2020); senza che abbia alcuna rilevanza in questa sede indagare sui profilli problematici riguardanti la vendita fatta nel giudizio di divisione ventilati da Cass. S.U., n. 10185/2013: in particolare se l’opposizione gli atti esecutivi sia rimedio proponibile anche per far valere situazioni invalidanti precedenti alla vendita; e se alla vendita fatta nel giudizio di divisione sia applicabile l’art. 2929 c.c.

L) Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro, 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 159/0, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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