Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16199 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/07/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 25/07/2011), n.16199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17755/2010 proposto da:

SOLAGRITAL S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo

studio dell’avvocato DE MARINIS Nicola, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SILVIO BENCO 81, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DI DONATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BERARDI Nicola, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 127/2010 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 17/03/2010 r.g.n. 297/09;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato TRIVELLINI RAFFAELE per delega NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice de lavoro, di Campobasso, V. A., dipendente della Solagrital s.c.a r.l., chiedeva che venisse dichiarata la illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatogli con nota del 22.10.2004 dalla società datoriale.

Con sentenza n. 228/06 in data 3.8.2006 il Tribunale adito accoglieva la domanda, ritenendo il provvedimento solutorio adottato dalla società non proporzionato rispetto alla condotta contestata al dipendente.

In esito a tale pronuncia il V. notificava alla società atto di diffida e precetto con cui chiedeva il pagamento delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegra.

A seguito di opposizione proposta dalla società il Tribunale di Campobasso sospendeva l’esecuzione rilevando che il titolo opposto (ossia la sentenza del Tribunale con cui era stata dichiarata la illegittimità del licenziamento) risultava privo di efficacia esecutiva non contenendo la specificazione della somma dovuta ovvero degli elementi indispensabili per la determinazione della stessa; il medesimo Tribunale quindi, con sentenza n. 334/07 non impugnata, accoglieva l’opposizione proposta dalla società.

In data 31.5.2007 il V. proponeva ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere il pagamento delle retribuzioni dovute in base alla citata sentenza n. 228/06, provvedendo a quantificare le stesse in conteggio allegato al ricorso monitorio.

In accoglimento del ricorso il Tribunale emetteva il decreto ingiuntivo n. 125/07 con cui veniva ingiunto alla Solagrital il pagamento della somma di Euro 34.732,55.

Avverso tale decreto proponeva opposizione la società predetta, rigettata con sentenza n. 152/09 depositata il 6.5.2009.

Nei confronti di tale sentenza proponeva appello la società opponente, lamentandone la erroneità sotto diversi profili.

La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza in data 3.3/17.3.2010, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Solagrital s.c. a r.l. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 633 e 638 c.p.c. nonchè dell’art. 414 c.p.c., nn. 4 e 5; insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto l’ammissibilità e validità del ricorso per decreto ingiuntivo, atteso che nello stesso non erano riportati i conteggi operati per la determinazione della somma richiesta, i quali risultavano solo depositati ma non notificati a controparte. E rileva altresì che la documentazione prodotta, pacificamente limitata a due buste paga, non era idonea a supportare, sul piano della prova del credito, il conteggio in questione. Di conseguenza il ricorso per decreto ingiuntivo opposto era comunque carente degli elementi di fatto e di diritto necessari ed indispensabili per la sua ammissibilità.

Col secondo motivo di ricorso la società lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c.;

violazione dell’art. 324 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che non vi fosse litispendenza fra il giudizio di opposizione a precetto (conclusosi con sentenza n. 334/07) ed il presente giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, assumendo erroneamente che i due procedimenti avevano oggetti diversi e che l’opposizione a precetto non era più pendente al momento della emissione del decreto ingiuntivo.

Preliminarmente rileva il Collegio che non può trovare accoglimento la richiesta di riunione della presente causa a quella concernente l’impugnativa del licenziamento istaurata tra le medesime parti, non ravvisandosi ragioni di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie.

Il primo motivo del ricorso non è fondato.

Osserva il Collegio che il procedimento monitorio, previsto dall’art. 633 c.p.c., e segg., si definisce quale procedimento a cognizione sommaria, in cui la prova scritta del credito, che legittima la concessione del decreto ingiuntivo, è costituita da qualsiasi documento, proveniente dal debitore o da un terzo, che sia idoneo ad evidenziare l’esistenza del diritto fatto valere; fermo restando che la completezza della documentazione esibita va accertata nel successivo giudizio di opposizione (Cass. sez. 1, 24.7.2000 n. 9685), che si qualifica quale giudizio di cognizione piena, nel quale il creditore può (e deve) provare il suo credito, indipendentemente dalla legittimità, validità ed efficacia del decreto (Cass. sez. lav., 9.10.2000 n. 13429). Ciò in quanto l’opposizione a decreto ingiuntivo da luogo ad un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione, esteso sia all’esame delle condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento monitorio, sia alla fondatezza nel merito della domanda (Cass. sez. 1, 25.5.1999 n. 5055).

Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la fase monitoria del procedimento di ingiunzione non ha subito modifiche a seguito dell’entrata in vigore dell’attuale rito del lavoro (L. 11 agosto 1973, n. 533), il quale va però osservato nel giudizio di cognizione ordinaria instaurato mediante opposizione al decreto ingiuntivo, con la conseguenza che, nel giudizio di opposizione, concernente rapporti soggetti al rito del lavoro (artt. 409 e 442 c.p.c.), la memoria difensiva dell’opposto, attesa la sua posizione sostanziale di attore, deve osservare la “forma della domanda” (di cui all’art. 414 c.p.c. come novellato dalla citata L. n. 533 del 1973) e, pertanto, deve recare, tra l’altro, “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda” (cit. art. 414, n. 4) fatta valere con il ricorso per ingiunzione (Cass. sez. lav., 22.6.1991 n. 7060; Cass. sez. lav., 1.6.1999 n. 5340).

Deve ritenersi pertanto irrilevante la circostanza che, nel giudizio monitorio, i conteggi operati per la determinazione della somma richiesta risultassero solo depositati ma non notificati a controparte, atteso che le speciali modalità del procedimento di ingiunzione innovano ai principi del processo ordinario circa il contraddittorio, nel senso che questo è posticipato e solo eventuale; fermo restando peraltro che, una volta introdotto con la opposizione a decreto ingiuntivo il giudizio di cognizione, l’opposto che aveva richiesto il decreto ingiuntivo, assume la posizione sostanziale di attore, ed allo stesso incombe pertanto l’onere di fornire la prova dei proprio credito.

In ordine all’ulteriore rilievo concernente la inidoneità della documentazione prodotta e del conteggio operato a supporto, a fornire la prova dell’esistenza del credito, osserva il Collegio che trattasi di rilievo assolutamente generico, che involge le valutazioni in punto di fatto operate dalla Corte territoriale (la quale ha evidenziato come l’opponente non avesse mosso “alcuna censura di merito, nè rispetto alla base di calcolo adottata, rappresentata dalla retribuzione portata nelle buste paga prodotte, nè rispetto ai conteggi aritmetici”), come tale inammissibile in sede di giudizio di legittimità.

Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.

Non è invero ipotizzabile alcuna litispendenza fra l’opposizione a decreto ingiuntivo, la quale attiene al procedimento di cognizione, e l’opposizione al precetto intimato in virtù dello stesso titolo, la quale riguarda il procedimento di esecuzione, non ricorrendo in tal caso l’identità di tutti gli elementi richiesti dalla legge per la litispendenza e segnatamente, nel caso di specie, del petitum e della causa petendi.

Ed invero con l’opposizione a precetto si contesta, in sede di giudizio di esecuzione, il diritto di controparte a procedere ad esecuzione forzata, e quindi la legittimità del titolo posto a fondamento del precetto; con l’opposizione a decreto ingiuntivo si contesta, in sede di giudizio di cognizione, la sussistenza (anche sotto il profilo probatorio) del credito azionato in via monitoria (in tal senso, Cass. sez. 3, 10.12.1976 n. 4602; Cass. sez. lav., 12.1.1998 n. 186).

Alla stregua di quanto sopra il ricorso non può trovare accoglimento.

Segue a tale pronuncia la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

Non può invece trovare accoglimento la richiesta avanzata dall’intimato di condanna della ricorrente per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., atteso che il giudizio per cassazione può considerarsi temerario solo allorquando, oltre ad essere erroneo in diritto, appalesi la consapevolezza della erroneità delle tesi assunte o evidenzi un grado imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente anormali; siffatta prova non è stata fornita dall’intimato e non emerge dal contenuto del ricorso, sicchè non può trovare applicazione la disposizione invocata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 20,00, oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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