Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16197 del 09/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/07/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 09/07/2010), n.16197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.V., che si difende in proprio con domicilio eletto

presso il suo studio in Lecce, Via Col. Costadura 56 e presso Massaro

– Ludivici in Roma, Via F.lli Maristi 27, int. 1;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’economia e delle finanze, di seguito “Ministero”, e la

Direzione regionale delle entrate – Sezione di Lecce (gia’ Intendenza

di finanza di Lecce), in persona dei loro legali rappresentanti in

carica;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce (CA) 5 febbraio

2007, n. 84/07;

udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica del 20

gennaio 2010 dal Cons. Dott. Meloncelli Achille;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale SEPE

Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti introduttivi del giudizio di legittimita’.

1.1. Il ricorso del signor G.V..

1.1.1. Il 19 marzo 2008 e’ notificato al Ministero dell’economia e delle finanze e al Ministero dell’economia e delle finanze, Direzione regionale delle entrate – Sezione di Lecce (gia’ Intendenza di finanza di Lecce), un ricorso del signor G.V. per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che, in accoglimento dell’appello del Ministero e della Direzione regionale delle entrate, Sezione staccata di Lecce ed in riforma della sentenza del Tribunale di Lecce 18 aprile 2005, n. 777/05, ha respinto la domanda del signor G.V..

1.1.2. Il ricorso per cassazione del signor G.V., integrato con memoria, e’ sostenuto con due motivi d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa in L. 562.000, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.

1.2. La difesa delle autorita’ tributarie.

Le intimate autorita’ tributarie non si costituiscono in giudizio.

2. I fatti di causa.

I fatti di causa sono i seguenti:

a) il 15 aprile 1994 il signor G.V. cita, dinanzi al Tribunale di Lecce, l’Intendenza di finanza di Lecce e il Ministero, deducendo di aver dovuto indebitamente pagare una sanzione pecuniaria di L. 562.000 per evasione all’imposta di bollo per un assegno postdatato e chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento in suo favore, oltre alla somma pagata, degli interessi legali dal momento del pagamento, il 23 settembre 1991 al soddisfo, e delle spese processuali;

b) il Tribunale di Lecce, con la sentenza n. 777/05, condanna il Ministero a pagare le somme chieste dall’istante;

c) l’appello del Ministero e della Direzione regionale delle entrate di Lecce – Sezione staccata di Lecce, e’, invece, accolto dalla CA di Lecce con la sentenza ora impugnata per cassazione.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, e’, limitatamente ai capi della sentenza impugnati in sede di legittimita’, cosi’ motivata:

a) “costituisce principio giurisprudenziale pacifico … che in tema di violazione di leggi finanziarie sanzionata con la comminatoria di una pena pecuniaria, il ricorso del trasgressore alla definizione in via breve” disciplinata dalla L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 156 implica necessariamente la rinuncia a contestare l’effettivita’ della violazione stessa e, quindi, se essa sia consistita nell’evasione di un tributo, la rinunzia a contestare la legittimita’ dell’accertamento e della susseguente imposizione. Tale effetto si verifica nonostante le eventuali riserve che il trasgressore avanzi all’atto del pagamento della somma richiestagli, e, pertanto, anche in questa ipotesi, comporta la definitiva irripetibilita’ di quanto versato …; infatti, la ratio e’ quella di assicurare la rapida riscossione delle pene pecuniarie e di garantire, nel contempo, una particolare economia dei giudizi, sicche’ … alla rinuncia dello Stato all’applicazione della sanzione … e’ correlativa la rinunzia del contribuente a contestare l’effettivita’ della violazione: e se tale violazione e’ consistita nell’evasione di un tributo, la rinunzia del contribuente atterra’, ovviamente, alla contestazione della legittimita’ dell’accertamento e della susseguente imposizione … Irrilevante e’, ovviamente, l’abrogazione della predetta norma, avvenuta solo con il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 29 e, quindi in epoca successiva all’intervenuta definizione in via amministrativa…

Nel caso di specie, pertanto, l’avvenuto pagamento da parte del G. (con la conseguente definizione in via breve), a prescindere dalla motivazione di siffatto pagamento, ha carattere definitivo ed irretrattabile e preclude sia al G. sia all’Amministrazione ogni discussione sulla concreta esistenza dell’obbligazione tributaria.

Irrilevante e’, di conseguenza, a tal fine, la valutazione sia sulla sussistenza o meno dell’addebitata evasione all’imposta di bollo sia sulla colpevolezza o meno del comportamento dell’Amministrazione nel procedere alla contestazione in questione”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Il primo motivo d’impugnazione.

4.1. La censura proposta con il primo motivo d’impugnazione.

4.1.1. La rubrica del primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione e’ preannunciato dalla seguente rubrica: “Art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2042 c.c.”.

4.1.2. La motivazione addotta a sostegno del primo motivo d’impugnazione.

Il ricorrente sostiene che “nella fattispecie, oggetto di contestazione e di domanda giudiziale attoree, non e’ stato – e non e’ – l’erroneo accertamento e/o l’impugnativa giurisdizionale del verbale di accertamento, ma l’insussistenza – ab origine – di qualsivoglia presupposto per avviare, nei confronti dell’attore oggi ricorrente un qualsivoglia accertamento e la sussistenza, invece, di tutti gli elementi conoscitivi, documentali e non, escludenti un qualsivoglia coinvolgimento dello stesso, sotto qualsivoglia aspetto”. Egli conclude, affermando che “nella fattispecie il danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c. e’ costituito – rappresentato, in re ipsa, dalla somma di 562.000 di cui il patrimonio dell’attore odierno ricorrente e’ stato privato, in intima connessione causale, di per se’, con la colposita’ della P.A.”.

4.1.3. Il quesito di diritto e la norma di diritto indicata dal ricorrente.

A conclusione del suo motivo d’impugnazione si formula il seguente quesito di diritto: “L’art. 2043 c.c. e’ sempre applicabile, nei confronti della P.A., anche in caso di intervenuta definizione in via breve ex (abrogato) L. n. 4 del 1929, art. 15 laddove la colposita’ della P.A. risulti successivamente, a causa di omissioni ed ostacoli frapposti dalla stessa P.A. in violazione di legge, in danno del cittadino destinatario e nonostante i tempestivi tentativi di quest’ultimo di accedere – conoscere agli atti, fermo restando il verificatosi danno ingiusto altrui”.

In sostanza, secondo il ricorrente, la norma fondante il suo motivo d’impugnazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sarebbe questa: “Il fatto colposo dell’amministrazione pubblica, consistente nel rivolgere erroneamente la pretesa sanzionatoria nei confronti di un soggetto diverso da quello responsabile dell’illecito sanzionato, cagiona ad altri il danno ingiusto, consistente nel pagamento di una sanzione L. 7 gennaio 1929, n. 4, ex art. 15 che dev’essere risarcito”.

4.2. La valutazione della Corte del primo motivo d’impugnazione.

La L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 15 oggi abrogato dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 29, comma 1, lett. A) con effetto dal primo aprile 1998, disponeva che «Per le violazioni delle norme delle leggi finanziarie, per cui sia stabilita la pena pecuniaria, e’ consentito al trasgressore di pagare, all’atto della contestazione della violazione, una somma pari al sesto del massimo della pena pecuniaria, oltre all’ammontare del tributo.

Il pagamento estingue l’obbligazione relativa alla pena pecuniaria nascente dalla violazione”.

L’art. 2043 c.c., poi, invocato dal ricorrente, afferma che “Qualunque fatto … colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che commesso il fatto a risarcire il danno”.

Dalla combinazione delle due disposizioni invocate dal ricorrente e dal quesito di diritto da lui formulato risulterebbe, poi, la norma giuridica che s’e’ ritenuto di poter individuare poc’anzi nel 4.1.3.

Il primo motivo d’impugnazione e’ inammissibile, non solo perche’ la norma giuridica invocata e’ stata confezionata ad opera della Corte, ma anche perche’ esso e’ formulato in maniera tale da lasciare indeterminata la connessione tra la fattispecie concreta, oggetto della presente controversia, e la categoria dell’oggetto propria della norma invocata. Al riguardo si rammenta che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di ammissibilita’ del ricorso per cassazione, il quesito di diritto non puo’ essere desunto dal contenuto del motivo, poiche’ in un sistema processuale, che gia’ prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarita’ del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimita’” (Corte di cassazione 24 luglio 2008, n. 20409); di conseguenza, “il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. … semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata norma giuridica” (Corte di cassazione 17 luglio 2008, n. 19769; v. anche Corte di cassazione 30 settembre 2008, n. 24339). Poiche’ nel ricorso in esame, il quesito di diritto formulato al termine del primo motivo d’impugnazione mancano gli elementi a) e b) indicati nella sentenza appena citata, il relativo motivo e’ inammissibile.

In ogni caso il primo motivo e’ infondato, perche’, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “in tema di violazione di leggi finanziarie sanzionata con la comminatoria di una pena pecuniaria, il ricorso del trasgressore alla “definizione in via breve”, disciplinata dalla L. 7 gennaio 1929, n 4, art. 15 implica necessariamente la rinuncia a contestare l’effettivita’ della violazione stessa, e, quindi, se essa sia consistita nell’evasione di un tributo …, la rinuncia a contestare la legittimita’ dell’accertamento e della susseguente imposizione. Tale effetto si verifica nonostante le eventuali riserve che il trasgressore avanzi all’atto del pagamento della somma richiestagli, e, pertanto, anche in questa ipotesi, comporta la definitiva irripetibilita’ di quanto versato” (Corte di cassazione 24 aprile 1979, n. 2319;

successivamente Corte di cassazione: 14 febbraio 1991, n. 1558; 8 marzo 2000, n. 2610; 17 febbraio 2001, n. 2352).

4.2.3. Valutazione conclusiva sul primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione e’, in conclusione, inammissibile e, comunque, infondato.

5. Il secondo motivo d’impugnazione.

5.1. La censura proposta con il secondo motivo d’impugnazione.

5.1.1. La rubrica del secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione e’ posto sotto la seguente rubrica:

“omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio”.

5.1.2. La motivazione addotta a sostegno del secondo motivo d’impugnazione.

Il ricorrente sostiene che la CA avrebbe deciso omettendo di valutare le risultanze processuali acquisite, costituite dall’assegno bancario in questione, e dalle dichiarazioni testimoniali, dalle quali risulterebbe la sua estraneita’ all’emissione dell’assegno, l’inutilita’ dei suoi tentativi di ottenere la visione dell’assegno bancario e la colposita’ dell’amministrazione pubblica. Ne conseguirebbe anche un’omissione motivazionale della sentenza.

5.1.3. Il quesito di diritto.

A conclusione del secondo motivo d’impugnazione si formula il seguente quesito di diritto: “il Giudice, nel decidere una domanda risarcitoria ex colposita’ della P.A., deve aver riguardo a tutti gli elementi ed a tutte le risultanze acquisite”.

5.2. La valutazione della Corte del secondo motivo d’impugnazione.

Il quesito di diritto e’ privo di rilevanza, perche’ esso e’ formulato in maniera tale da richiedere in ogni caso, cioe’ per qualsiasi fattispecie controversa, una risposta positiva. Infatti, questa Corte ha gia’ avuto modo di statuire che “Con riferimento al quesito di diritto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., lo stesso e’ inadeguato, con conseguente inammissibilita’ dei relativi motivi di ricorso, quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, e’ inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie” (Corte di cassazione, Sezioni unite, 9 luglio 2008, n. 18759). E ancora: “Il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico – giuridica della questione, cosi’ da consentire al giudice di legittimita’ di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che e’ inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneita’ a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (Corte di cassazione 30 ottobre 2008, n. 26020; nello stesso senso Corte di cassazione 12 maggio 2008, n. 11650).

Il secondo motivo e’, pertanto, inammissibile.

6. Conclusioni.

6.1. Sul ricorso.

Le precedenti considerazioni comportano il rigetto del ricorso.

6.2. Sulle pese processuali.

Poiche’ le intimate autorita’ tributarie non si sono costituite in giudizio, nulla deve disporsi sulle spese processuali relative al giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2010

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA