Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16196 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 28/07/2020), n.16196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13141/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 994/04/2018 della Commissione tributaria

regionale della SARDEGNA, depositata il 22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate ricorre, affidandosi ad unico motivo, nei confronti di P.G., che resta intimato, per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Commissione tributaria regionale della Sardegna aveva rigettato l’appello agenziale avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dal predetto contribuente avverso il silenzio rifiuto serbato dall’amministrazione finanziaria sulla domanda di rimborso IRPEF, avanzata in data 25/06/2009 dal predetto contribuente, con riferimento alle ritenute effettuate nel gennaio 2005 dal datore di lavoro sulle somme a quello corrisposte quale incentivo all’esodo; accoglimento fondato sulla rilevata tempestività dell’istanza, posto che il termine decadenziale decorresse dalla data del 3/09/2005 di pubblicazione della sentenza della Corte di giustizia del 21/07/2005, in causa C207/04 (che ha accertato il contrasto tra la Direttiva Comunitaria 76/207 CE e la disposizione dettata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 19, comma 4 bis).

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso la difesa erariale lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, là dove la CTR ha affermato che il termine entro il quale il contribuente avrebbe potuto esercitare il diritto al rimborso decorre dalla data del 3/09/2005 di pubblicazione della sentenza della Corte di giustizia del 21/07/2005, in causa C-207/04.

2. Il ricorso è fondato.

2.1. Invero, la questione di diritto proposta dalla presente controversia è stata risolta dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 13676 del 16/06/2014, che ha affermato il principio che nel caso in cui un’imposta venga dichiarata incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il termine di decadenza previsto dalla normativa tributaria (per le imposte sui redditi il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38) per l’esercizio del diritto al rimborso, attraverso la presentazione di apposita istanza, decorre dalla data del versamento dell’imposta e non da quella, successiva, in cui è intervenuta la pronuncia che ha sancito la contrarietà della stessa all’ordinamento comunitario, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorchè sia maturata una causa di prescrizione o di decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche. Principio reiteratamente ribadito dalle Sezioni semplici di questa Corte (cfr. Cass. n. 7996/16, n. 17340/2016, n. 22098/2016 e n. 2837/17).

2.2. Si è altresì precisato che, per giustificare la decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di giustizia, piuttosto che da quella in cui venne effettuato il versamento o venne operata la ritenuta, non sono invocabili i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di “overruling”, dovendosi ritenere prevalente una esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, tanto più cogente nella materia delle entrate tributarie, che resterebbe vulnerata attesa la sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei relativi rapporti (cfr., ex multis, Cass. n. 7996/2016, cit.).

3. La sentenza impugnata, che si e discostata da tali principi, va, pertanto, cassata e, risultando pacificamente che l’istanza venne presentata dal contribuente oltre il termine decadenziale di quarantotto mesi di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 (precisamente, in data 25/06/2009 con riferimento a ritenute operate nel gennaio 2005) e, quindi, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

4. La novità giurisprudenziale, intervenuta successivamente all’introduzione del giudizio di merito, induce a compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

accoglie il motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente, compensando tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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