Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16195 del 26/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16195 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: IANNIELLO ANTONIO

ORDINANZA

sul ricorso 20970-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – società con socio
unico – in persona del Presidente del Consiglio di
Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134,
presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

NASO CLAUDIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE, 1, presso lo studio
dell’avvocato GIANGIACOMO CLAUDIO, che la rappresenta
e difende giusta procura a margine del controricorso;

Data pubblicazione: 26/06/2013

- contrari corrente –

avverso la sentenza n. 4623/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 15/09/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 20/05/2013 dal Consigliere Relatore

udito l’Avvocato Giangiacomo Claudio difensore della
controricorrente che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO
VELARDI che nulla osserva.

Dott. ANTONIO IANNIELLO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La causa è stata chiamata alla adunanza in camera di consiglio del 20
maggio 2013 ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380-bis c.p.c.:
“La prima questione posta col ricorso principale (primo motivo) della
società Poste Italiane p.a., notificato il 29-30 agosto 2011 (da cui l’intimata si

è difesa con rituale controricorso) avverso la sentenza definitiva del 15 settembre 2010 della Corte d’appello di Roma che aveva confermato la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro con Claudia Naso dal
10 marzo al 29 aprile 2000, ai sensi dell’accordo integrativo 25 luglio 1997 del
C.C.N.L. 26 novembre 1994 “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase
di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso…”,
con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato e con la
condanna della società al ripristino del rapporto e al risarcimento dei danni
dalla data di notifica del ricorso introduttivo, investe tale valutazione di illegittimità col sostenere che la Corte territoriale avrebbe, con la sua immotivata
decisione, violato gli artt. 23 della L. n. 561’87, 8 CCNL 1994 nonché degli
accordi sindacali 25.9.97, 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.99 e 18.1.2001, in
connessione con gli artt. 1362 e ss. c.c.
Tali censure sono manifestamente infondate.
Va infatti qui ribadita la consolidata giurisprudenza di questa Corte

(cfr., per tutte, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866 e 20 marzo 2009 n. 6913), formatasi in ordine all’esame di fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti
l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicate, la quale ha ripetutamente confermato le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati, in base alla previsione delle “esigenze eccezionali” di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997, ritenendo che i contraenti collettivi, esercitando
i poteri loro attribuiti dall’art. 23 della legge n. 56/1987, abbiano convenuto di
1

limitare il riconoscimento della sussistenza della situazione indicata per far
fronte alla quale l’impresa poteva legittimamente procedere ad assunzioni di
personale con contratto a tempo determinato unicamente fino al 30 aprile
1998, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati successivamente a
tale data.
Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di disco-

starsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso sono sorrette da
argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni
ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la
Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga
parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
Col secondo subordinato motivo di ricorso, la società lamenta la mancata deduzione dell’aliunde perceptum dal danno da risarcire; infine e comunque, la ricorrente chiede l’applicazione dello ius superveniens rappresentato
dall’art. 32 commi 5-7 della legge n. 183 del 2010.
Su quest’ultima richiesta, assorbente il secondo motivo di ricorso, dovrà
pronunciarsi il collegio, tenendo conto della recente sentenza della Corte costituzionale 9 novembre 2011 n. 303.
Concludendo, si chiede pertanto che il Presidente della sezione voglia
fissare la data dell’adunanza in camera di consiglio.”
Il Collegio condivide il contenuto della relazione, in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte, rigettando conseguentemente il primo motivo di ricorso.
Quanto al secondo, è stata ripetutamente affermata l’applicabilità dello
ius superveniens con efficacia retroattiva, rappresentato dall’art. 32, commi 57 della legge n. 183 del 2010, anche nel giudizio di cassazione, ove peraltro
non può essere liquidato il danno, dipendente dalla valutazione di una serie di
elementi di fatto, che non può essere operata in questa sede.
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Va pertanto accolta la relativa parte del secondo motivo di ricorso, assorbita nel resto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con
rinvio ad altro giudice di merito per la determinazione del danno da risarcire.
P. Q. M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo nella

parte; cassa conseguentemente la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di
Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2013
Il Presidente

parte in cui invoca l’applicazione dello ius superveniens, assorbita la restante

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