Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16195 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/07/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 25/07/2011), n.16195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15755/2009 proposto da:

SUBALPINA DI IMPRESE FERROVIARIE SSIF S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

UGO DE CAROLIS 166, presso lo studio dell’avvocato FOSSA’ Gianguido,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MOLINO LUCA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

VIMINALE 43, presso lo studio dell’avvocato LORENZONI Fabio, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAMERRO GIOVANBATTISTA,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 708/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 05/08/2008 r.g.n. 299/08;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato FOSSA’ GIANGUIDO;

udito l’Avvocato GAMERRO GIAVANBATTISTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello Torino, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento, con tutte le conseguenze economiche e giuridiche di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comunicato in data 24 gennaio 2003, dalla società SSIF a M.F. in ragione della accertata inidoneità ad indossare le calzature antinfortunistiche indispensabili per lo svolgimento delle mansioni affidategli.

La Corte del merito, dopo aver ritenuta la tardività e inammissibilità dell’eccezione sollevata, del R.D. n. 148 del 1931, ex art. 29, allegato A, relativa alla mancata impugnazione nei termini dell’accertamento medico d’inidoneità, poneva a base del decisimi il rilievo fondante che la società non aveva provato la mancanza sul mercato di calzature antinfortunistiche compatibili con la malformazione di cui era portatore il M..

Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata che deduce tra l’altro l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo violazione del R.D. n. 148 del 1931, art. 29 e della L. 15 luglio 1966, n. 604, formula, ex art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti di diritto: 1. se il rapporto di lavoro intercorrente con il dipendente di una azienda esercente il trasporto ferroviario sia regolato dal R.D. n. 148 del 1931, e dalla contrattazione collettiva anzichè dalla normativa di carattere generale. 2. Se in vigenza del suddetto R.D. n. 148 del 1931, art. 29, sia legittima la dispensa dal servizio per inidoneità del dipendente, ove sia stata osservata la procedura prevista da detta norma a seguito di specifica richiesta del lavoratore di essere dispensato dall’uso dei previsti strumenti protettivi per propria malformazione fisica e ove sia mancata l’impugnazione dell’esito dei conseguenti accertamenti sanitari disposti dall’azienda. 3. Se a seguito della regolarità della procedura prevista dal R.D. n. 148 del 1931, All.A (art. 29) il datore di lavoro debba fornire ulteriore prova del giustificato motivo di licenziamento”.

Con la seconda censura la società ricorrente, denunziando violazione dei principi che regolano la proponiblità dell’appello incidentale con riferimento alla definizione di eccezione data a un semplice argomento difensivo pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: “se, una volta accertato l’avvenuto svolgimento della procedura prevista dal R.D. n. 148 del 1931, art. 29, all. A, e in assenza di contestazioni da parte del lavoratore o dell’impugnazione prevista dallo stesso art. 29, il Giudice debba d’ufficio disporre ulteriori accertamenti confermanti le imperfezioni fisiche lamentate o denunziate dallo stesso lavoratore. Di conseguenza se la mancata contestazione da parte del lavoratore dell’esito dei predetti accertamenti costituiva acquiescenza, il cui accertamento da parte del giudice di appello richieda la proposizione di appello incidentale in caso di mancato esplicito riconoscimento da parte del giudice di primo grado”.

Con il terzo motivo la società, allegando violazione del R.D. n. 141 del 1931, art. 29, allegato A per erronea applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 1, comma 5, articola ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: “se una volta accertato il regolare svolgimento della procedura prevista dal R.D. n. 148 del 1931, art. 29, all.A (concernente la dispensa dal servizio per inidoneità del lavoratore) e la mancata impugnativa nei termini previsti da tale norma di legge, il giudice debba d’ufficio disporre propri ulteriori accertamenti sanitari per verificare l’inidoneità del lavoratore, pretendendo dal datore di lavoro la prova sul giustificato motivo del licenziamento richiesta dalla L. n. 604 del 1966, art. 1, comma 5, anzichè ritenere che il giustificato motivo consista nell’osservanza del citato R.D. n. 148 del 1931, art. 29”.

Il ricorso per quanto riguarda i primi due motivi è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha chiarito che il quesito di diritto, previsto dalla richiamata norma di rito, ha lo scopo precipuo di porre in condizione la Cassazione, sulla base della lettura del solo quesito, di valutare immediatamente il fondamento della dedotta violazione (Cass. 8 marzo 2007 n. 5353) ed a tal fine è imposto al ricorrente di indicare, nel quesito, anche l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), in modo tale che dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in maniera univoca l’accoglimento od il rigetto del ricorso ( Cass. S.U. 28 settembre 2007 n. 20360).

In tale prospettiva questa Corte ha affermato che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759 cit.).

Pertanto questa Corte ha rimarcato che il quesito di iritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo con la conseguenza che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. SU 30 settembre 2008 n. 24339 e Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044).

Nella specie rileva la Corte che la formulazione dei suddetti quesiti di diritto o del principio di cui si chiede l’applicazione, prescinde del tutto dall’indicazione, come si desume dalla sopra riportata trascrizione degli stessi, della diversa regola iuris posta a base della sentenza impugnata, sicchè non è consentito a questa Corte di valutare, sulla base dei soli quesiti, se dall’accoglimento del motivo possa o meno derivare l’annullamento della sentenza impugnata.

L’affermazione di un principio di diritto da parte di questa Corte, del resto, non è fine a sè stessa, ma è necessariamente strumentale, pur nella funzione nomofilattica, alla idoneità o meno del principio da asserire a determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Il terzo motivo del ricorso è infondato.

Va rimarcato che secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini dell’accertamento dell’idoneità al servizio dei dipendenti da aziende concessionarie di servizi di linea automobilistica di pubblico trasporto, il parere della Commissione medica di cui al R.D. n. 148 del 1931, art. 29, all. A), non è vincolante per il giudice di merito adito per l’accertamento della illegittimità del licenziamento disposto a seguito di giudizio di inidoneità, avendo egli – anche in riferimento ai principi costituzionali di tutela processuale – il potere – dovere di controllare l’attendibilità degli accertamenti sanitari effettuati dalla predetta Commissione (per tutte V. Cass. 20 maggio 2002 n. 7311 e Cass. 8 febbraio 2008 n. 3095). Il che esclude la fondatezza della tesi avanzata dal società ricorrente secondo la quale la regolarità della procedura prevista dal citato R.D. n. 148 del 1931, art. 29, all. A. precluderebbe qualsiasi accertamento in sede giudiziale della legittimità del licenziamento.

Sotto altro versante va evidenziato che la Corte territoriale con un iter argomentativi congruo, privo di salti logici e rispettoso della normativa applicabile alla fattispecie esaminata – e pertanto non suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità – ha statuito, condividendo sul punto la consulenza d’ufficio, che doveva trovare applicazione la regola generale in tema di onere della prova in caso di licenziamento, secondo la quale il datore di lavoro è gravato di tale onere in relazione ai motivi posti a base del recesso. Prova che, nel caso di specie, doveva far carico, dunque, alla società a fronte delle conclusioni della perizia tecnica nella quale si era affermata la reperibilità sul mercato di vari modelli di scarpe antinfortunistiche all’interno dei quali potevano essere trovate quelle adatte a consentire in sicurezza l’espletamento del lavoro che il M. era chiamato a svolgere.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va, pertanto, respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 31,00 oltre Euro. Tremila/00 per onorario ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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