Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16193 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 28/07/2020), n.16193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11108/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, C.F. (OMISSIS), in persona del

Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.V., rappresentato e difeso, per procura speciale in

calce al controricorso, dall’avv. Simona MAROTTA ed elettivamente

domiciliato in Roma, alla via Farmagosta, n. 8, presso lo studio

legale dell’avv. Donatella NASTRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 151/25/2019 della Commissione tributaria

regionale della CAMPANIA, depositata il 14/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– l’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi nei confronti di C.V., che replica con controricorso, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con la quale, in controversia relativa ad impugnazione del silenzio rifiuto serbato dall’amministrazione finanziaria all’istanza di annullamento in autotutela di diverse cartelle di pagamento che il contribuente sosteneva non esserle mai state notificate e che l’agente della riscossione aveva dichiarato, a seguito di sentenza del giudice amministrativo che ne aveva ordinato l’esibizione, di essere nell’impossibilità oggettiva di produrli, la CTR ha accolto l’appello del contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado e, dichiarato il proprio difetto di giurisdizione con riferimento alle pretese non tributarie, precisato che l’atto impugnato era “il provvedimento in forma di silenzio reso sull’istanza di sgravio (cioè di autoannullamento in autotutela della pretesa tributaria)”, dichiarava l’insussistenza della pretesa tributaria stante l’inesistenza delle cartelle di pagamento;

– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. La difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19, 21 e 56, nonchè degli artt. 100,324 e 329 c.p.c., sostenendo che i giudici di appello avevano erroneamente omesso di rilevare l’inammissibilità dell’appello del contribuente per non avere censurato la statuizione di primo grado di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio perchè tardivamente proposto rispetto al momento della conoscenza dell’estratto di ruolo.

Il motivo è infondato e va rigettato.

Invero, i giudici di primo grado avevano ritenuto inammissibile il ricorso del contribuente perchè proposto contro un atto (il silenzio rifiuto serbato dall’amministrazione finanziaria sull’istanza di sgravio avanzata dal contribuente) che ritenevano, invero erroneamente, non impugnabile.

Dalla motivazione della sentenza di primo grado, riportata per estratto nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, emerge che la CTP aveva addirittura escluso che quello proposto dal contribuente potesse “essere inteso come ricorso avverso il ruolo”, che è statuizione che il ricorrente non aveva alcun interesse ad impugnare, sicchè le ulteriori argomentazioni svolte ad abundantiam dai giudici di primo grado sulla intempestività del ricorso non integrano autonoma ratio decidendi (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 8755 del 10/04/2018, secondo cui “E’ inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente una “ratio decidendi” della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse”).

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, nonchè degli artt. 138,138 e 145 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2719 c.c., sostenendo che la CTR, nel dichiarare l’infondatezza della pretesa tributaria per inesistenza delle cartelle e delle relative notifiche, aveva violato il giudicato risultante dalla sentenza del TAR Campania, che aveva dichiarato improcedibile il ricorso del C. “rispetto alle relate di notifica, siccome tutte prodotte in giudizio, come riconosciuto dalla stessa parte ricorrente nella propria memoria di replica del 29/09/2016” ed aveva errato nel far discendere l’inesistenza delle cartelle dall’impossibilità per l’agente della riscossione di esibirne in giudizio l’originale.

Il primo profilo di censura del motivo in esame è infondato in quanto la statuizione del giudice amministrativo costituisce giudicato esterno solo in ordine all’esistenza delle relate di notifica delle cartelle di pagamento emesse nei confronti del contribuente, ma da essa non può ricavarsi, come pretenderebbe la ricorrente, la fondatezza della pretesa erariale, che la CTR ha espressamente escluso, costituendo comunque onere dell’agente della riscossione (ma anche della stessa amministrazione finanziaria) fornire nel giudizio tributario la prova della regolarità delle notifiche delle cartelle di cui pretende il pagamento.

Anche il secondo profilo di censura è infondato in quanto in nessuna parte della sentenza impugnata è dato ricavare che i giudici di appello abbiano affermato l’obbligo dell’agente di riscossione di produrre in giudizio l’originale delle cartelle di pagamento.

In estrema sintesi il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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