Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16191 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/06/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 09/06/2021), n.16191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 979-2020 proposto da:

V.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI, 5, presso lo studio dell’Avvocato GIANLUCA CALDERARA,

rappresentato e difeso dall’Avvocato PIER GIUSEPPE DOLCINI;

– ricorrente –

contro

VI.AL., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato STEFANO VERSARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 907/2019 del TRIBUNALE di FORLI’, depositata

il 23/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 19/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME

GUIZZI STEFANO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che V.C. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 907/19, del 23 ottobre 2019, del Tribunale di Forli, che – accogliendo il gravame esperito da Vi.Al. avverso la sentenza n. 1011/14, del 7 novembre 2014, del Giudice di pace di Forlì – ha respinto la domanda di risarcimento danni proposta dall’odierno ricorrente contro il Vi., per il ristoro dei danni cagionati da un cavallo di proprietà dello stesso alla sua autovettura;

– che, in punto di fatto, il V. riferisce che alle ore 4.00 circa del mattino del 12 gennaio 2012, mentre percorreva, a bordo di un autoveicolo di sua proprietà, viale Bologna in direzione Faenza, per evitare lo scontro con l’animale che vagava sulla sede viaria, effettuava una brusca frenata con sterzata a sinistra, tanto che la vettura sbandava, arrestandosi in un fossato adiacente la corsia opposta a quella di marcia;

– che ritrovato successivamente il cavallo dalle forze dell’ordine e risultato, in base ad un “mircochip”, di proprietà del Vi., si appurava che lo stesso, fuoriuscito dal luogo ove avrebbe dovuto essere custodito, aveva cagionato altri sinistri stradali;

– che lamentando solo danni materiali per complessivi Euro 4.240,46, l’odierno ricorrente – non senza aver previamente impugnato, con successo, la contravvenzione comminatagli, dagli agenti occorsi nell’immediatezza del fatto, per violazione dell’art. 141 C.d.S., commi 2 e 6 – citava in giudizio il Vi. per conseguire il ristoro dei pregiudizi patiti, essendo rimasto vano ogni tentativo di vedere soddisfatta in via stragiudiziale la propria richiesta di risarcimento;

– che istruita la causa anche a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio, accolta dal primo giudice la domanda risarcitoria, la stessa veniva, invece, rigettata dal giudice di appello, in accoglimento del gravame esperito dal convenuto, esito al quale il Tribunale perveniva sul rilievo dell’insussistenza di “elementi istruttori tali da far ritenere con certezza, o quantomeno con alta probabilità, che il sinistro in questione fosse stato causato dal cavallo ritrovato nei pressi del luogo dell’incidente”;

– che avverso la sentenza del Tribunale forlivese ricorre per cassazione il V., sulla base di quattro motivi;

– che il primo motivo denunzia violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2700 c.c., per avere la sentenza impugnata “errato nel valutare il valore degli accertamenti oggettivi effettuati dai verbalizzanti giunti nell’immediatezza dell’evento, in difetto di apposita e necessaria querela di falso ovvero di prova contraria”;

– che il secondo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – l’assenza “del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” nelle ipotesi di motivazione assente, apparente, manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, perplessa od incomprensibile”, tanto da convertirsi “nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4)”;

– i due motivi, illustrati congiuntamente dal ricorrente, lamentano che il Tribunale di Forlì avrebbe errato nell’aver “valutato un unico elemento “il fondo stradale ghiacciato”, estrapolandolo dal contesto, per desumere che la dinamica del sinistro non appariva chiara”, omettendo, invece, “di attribuire valore di prova ai rilievi svolti dai Carabinieri, rilievi che hanno fornito elementi seri, concordanti e univoci accertati personalmente e che fanno fede fino a querela di falso”, ed esattamente, la mancanza di danni rilevanti sul mezzo, la mancanza di frenata, l’assenza di danni fisici al conducente;

– che, inoltre, in assenza di prova contraria fornita da controparte, il giudice di appello avrebbe dovuto dare rilievo alla circostanza accerta dai verbalizzanti (e confermata dalla CTU) che la velocità del V. “fosse assolutamente entro il limite”, elevandogli, infatti, contravvenzione per la diversa infrazione di cui all’art. 142 C.d.S., comma 2;

– che la sentenza risulterebbe, dunque, “manifestamente contraddittoria “quando enuncia tutti gli elementi che comprovano la presenza del cavallo, nel momento e sul luogo del sinistro”, ma ciò nonostante non ritiene, “neppure con elevata probabilità, che il cavallo sia stato la causa della uscita di strada del veicolo” del V.;

– che il terzo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, censurando la sentenza impugnata perchè non avrebbe valutato un’affermazione compiuta dalla parte convenuta, ovvero che essa non si sarebbe limitata a riferire della presenza di articoli di giornale che attestavano come l’animale di proprietà del Vi. avesse dato causa ad alcuni sinistri stradali la stessa notte in cui ebbe a verificarsi quello oggetto di causa, ma ebbe anche ad opporsi all’ammissione di prova testimoniale, dando dunque tale circostanza per ammessa;

– che il quarto motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione o falsa applicazione di norme di diritto in merito alla liquidazione delle spese legali, lamentando che quelle liquidate per il secondo grado di giudizio (pari a Euro 2.300,00) sono superiori ai valori medi per scaglione e tipo di giudizio (pari a Euro 1.830,00), non essendo stata svolta la fase istruttoria e di trattazione;

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, il Vi., chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio per il 19 gennaio 2021;

– che entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente infondato;

– che anche privilegiando, infatti, quel “vaglio complessivo” dei motivi di ricorso che – secondo la prospettiva indicata dal ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c. – rivelerebbe, più “che l’esame solo per singolo motivo”, le (supposte) “evidenti contraddizioni nelle quali è caduto il Tribunale”, la decisione impugnata resiste alle censure formulate;

– che, al riguardo, appare necessario premettere come ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multì’, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01);

– che il difetto di motivazione ricorre, ormai, solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-0), o perchè affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01);

– che escluso, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, che quelle adottate dal Tribunale forlivese siano argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, ciò che occorre verificare è se la sentenza impugnata rechi “affermazioni inconciliabili” o affette da “irriducibile contraddittorietà”;

– che tale evenienza deve escludersi nel caso di specie, giacchè la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che “la dinamica del sinistro non appare affatto chiara”, o meglio, che non sussistono “idonei elementi istruttori tali da far ritenere con certezza, o quantomeno con alta probabilità, che il sinistro in questione fosse stato causato dal cavallo ritrovato nei pressi del luogo dell’incidente”, e ciò perchè “sia il c.t.u. che i Carabinieri hanno dato atto di ulteriori elementi (in particolare, il fondo stradale ghiacciato) potenzialmente idonei a costituire fattori causali concorrenti e alternativi nella determinazione del sinistro, tanto più che, come incontestato tra le parti, nel sinistro in questione non vi è stata alcuna collisione”, sicchè “il sinistro potrebbe essere dipeso” da “un errore di guida dello stesso appellato”;

– che il giudice di appello, in altri termini, preso atto che “non è possibile procedere ad una ragionevole ricostruzione del sinistro che, sulla base di elementi obiettivi e non unilateralmente riferiti dalla parte danneggiata, possa determinarne la dinamica”, ha riformato la decisione con cui il primo giudice aveva riconosciuto la responsabilità del proprietario del cavallo, in quanto adottata “sulla base di mere presunzioni generiche”, giacchè fondate su circostanze di eguale natura (quali l’accertata presenza dell’animale, dopo il sinistro, nelle immediate vicinanze del luogo “teatro” dello stesso, nonchè il suo coinvolgimento, quella stessa notte, di altri sinistri), o meglio prive “dei requisiti della gravità, precisione o concordanza previsti dall’art. 2729 c.c., comma 2”;

– che tali affermazioni non esibiscono alcun profilo di “inconciliabilità” o “irriducibile contraddittorietà”, suscettibile di rilevare sotto il profilo del vizio motivazionale, prospettato con il presente ricorso (ed in particolare, con il secondo motivo);

– che neppure è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2700 c.c. (come dedotto con il primo motivo di ricorso), per avere il giudice di appello disatteso, in difetto di querela di falso proposta dal convenuto/appellante, le risultanze del verbale redatto dai Carabinieri nell’immediatezza del sinistro stradale;

– che quanto alla violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, deve qui ribadirsi che essa è ravvisabile solo quando “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonchè Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre “ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” (Cass. sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), e dei quali si è già sopra detto, per escluderne, nel caso in esame, la ricorrenza;

– che inammissibile è la censura di violazione dell’art. 2700 c.c., dal momento che la sentenza impugnata ha motivato il rigetto della domanda risarcitoria del V. sul presupposto dell’assenza di prova che il sinistro dallo stesso subito fosse stato causato dall’animale, circostanza in ordine alla quale il suddetto verbale non solo non conteneva nessun accertamento, ma neppure esprimeva alcuna ipotesi e/o valutazione, irrilevante essendo, altresì, che tale atto abbia attestato la mancanza di danni rilevati sul mezzo, di danni fisici al conducente, nonchè di tracce di frenata, visto che simili circostanze non sono affatto incompatibili con la conclusione, raggiunta dal giudice di appello, ovvero che il sinistro possa essere stato determinato da un errore di guida del conducente;

– che il terzo motivo è in parte inammissibile, e in parte non fondato;

– che esso, nella misura in cui pretende di dare rilievo all’omesso esame di un fatto “processuale” (l’opposizione del convenuto, poi appellante, alla prova testimoniale volta ad accertare la circostanza che il cavallo avesse dato causa ad alcuni sinistri stradali la stessa notte in cui ebbe a verificarsi quello oggetto di causa, con conseguente ammissione, dunque, della circostanza stessa), fuoriesce dal paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

– che, invero, “l’omesso esame di fatti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme regolatrici del processo” (nella specie, quella che comporta la “relevatio ab onere probandi” dei fatti “ammessi”) “non è riconducibile al vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5), quanto, piuttosto, a quello ex art. 360 c.p.c., n. 4), ovvero a quelli di cui ai precedenti numeri 1 e 2, ove si tratti – in quest’ultimo caso – di fatti concernenti l’applicazione delle disposizioni in tema di giurisdizione o competenza” (Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2017, n. 5785, Rv. 6433398-01);

– che, in ogni caso, anche a voler ritenere che il fatto, il cui esame sarebbe stato omesso dal giudicante, fosse la causazione di sinistri analoghi a quello oggetto di causa da parte dell’animale, si dovrebbe concludere che il Tribunale forlivese l’ha preso in considerazione, salvo, però, negare ad esso rilevanza;

– che, per concludere sul punto, neppure può addebitarsi alla sentenza un vizio motivazionale “ai sensi e per gli effetti degli artt. 2727 e 2729 c.c.”, come dedotto dal ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c.;

– che anche a voler prescindere dal rilievo che tale censura risulta formulata per la prima volta in detto scritto defensionale, e dunque in contrasto con il principio secondo cui esso “non può contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 27 agosto 2020, n. 17893, Rv. 658757-01), nemmeno sotto questo profilo la sentenza impugnata merita censura;

– che corretto, è, infatti il rifiuto del giudice di appello di dare rilievo, sul piano presuntivo, al rinvenimento del cavallo a breve distanza dal luogo del sinistro, perchè, diversamente opinando, si sarebbe dato ingresso al principio “post hoc ergo propter hoc”, in contrasto con quanto affermato, ancora di recente, da questa Corte;

– che essa, infatti, ha sottolineato che l’argomento “secondo cui che ciò che segue temporalmente è anche causato da ciò che precede è, da sempre, considerato un caso di fallacia argomentativa”, non essendovi “traccia nei sistemi di retorica o di logica di un solo argomento a sostengo del criterio post hoc propter hoc”, risultando, anzi, il “sofisma insito nella formula “post hoc popter hoc”” come “pacificamente errato”, essendo “unanimemente ritenuto che correlazione, in generale, non vuol dire causazione” (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 15 ottobre 2019, n. 25936, non massimata; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 11 giugno 1999, n. 5760, Rv. 527296-01);

– che, d’altra parte, corretto appare anche il rifiuto del Tribunale di Forlì di attribuire rilevanza alla circostanza, ammessa dallo stesso proprietario del cavallo, che l’animale avesse dato origine, quella stessa notte, ad altri sinistri;

– che tale circostanza, infatti, avrebbe consentito, al più, di formulare una congettura secondo cui, pure alla causazione del sinistro per cui è giudizio, contribuì l’inopinata presenza dell’animale lungo la sede viaria, ciò che, però, non avrebbe consentito la corretta applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., visto che la prova presuntiva è “una deduzione logica”, che, come tale, “si deve fondare su fatti certi e si deve dedurre da questi sulla base di massime d’esperienza o dell’id quod plerumque accidit”, mentre la congettura, invece, “è una mera supposizione”, che “si fonda su fatti incerti” e “viene dedotta da questi in via di semplice ipotesi” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2019, n. 17421, Rv. 65435301; in senso analogo anche Cass. Sez. 6-3, ord. 28 settembre 2020, n. 20342, Rv. 659250-01);

– che neppure il quarto ed ultimo motivo di ricorso è fondato;

– che va rilevato, difatti, come la fase della trattazione – secondo quanto correttamente osservato dal controricorrente – è configurabile anche rispetto al giudizio di appello celebrato innanzi al Tribunale, e come i valori medi dei compensi dovuti fossero, nella specie, pari a Euro 2.302,50, dovendo così escludersi la denunciata violazione o falsa applicazione di norme di diritto in merito alla liquidazione delle spese legali;

– che il ricorso va, conclusivamente, rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando V.C. a rifondere, a Vi.Al., le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.450,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè 15% per spese generali più accessori di legge con distrazione in favore del procuratore anticipatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

 

 

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