Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1619 del 26/01/2010

Cassazione civile sez. I, 26/01/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 26/01/2010), n.1619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3304-2009 proposto da:

S.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CUNFIDA, presso lo studio dell’avvocato OLIVETI FRANCESCO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CIMAOMO ANTONIO giusta procura

alle liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n.E.R. 182/08 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

dell’11/02/08 depositato il 14/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

E’ Presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

LA relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore:

“Il consigliere relatore, letti gli atti.

Ritenuto in fatto:

S.R.M. impugna per cassazione, formulando un solo motivo, il decreto della Corte di appello di Perugia con il quale è stata accolta la sua domanda di equa riparazione per irragionevole durata della procedura fallimentare aperta nei suoi confronti il 24.3.1992 e pendente alla data del decreto, con condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 10.500,00 oltre interessi e spese, lamentando la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3 e artt. 2056 e 1226 ss. c.c. in relazione all’esiguità della somma liquidata.

Formula il seguente quesito: “si chiede a codesta Corte di pronunciarsi sulla sussistenza, nel caso di specie, della violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e 3, e sulla contestuale violazione e mancata applicazione dell’art. 2056 del c.c. oltre all’art. 1226 ss.”.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, invece, il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

In altri termini, “il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie” (Sez. 3, ordinanza n. 19769 del 17/07/2008). E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge perchè, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis c.p.c., si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. U, Sentenza n. 26020 del 30/10/2008).

Per questi motivi ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 1 e art. 380 bis c.p.c.”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo – vanno poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1.000,00 oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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