Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1619 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. II, 19/01/2022, (ud. 17/11/2021, dep. 19/01/2022), n.1619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi riuniti n. 29594-2016 e n. 29603-2016, proposti da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA, 88, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

DI LORENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato ENZO BRIZZA;

– ricorrente –

contro

CA.RA., P.F., P.V.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DEI COLLI PORTUENSI N. 442,

presso lo studio dell’avvocato LUISA PELLEGRINO, rappresentati e

difesi dall’avvocato MARIO SARLO;

– controricorrenti –

P.F., P.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 13603/2015 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 28/10/2015 e avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 25/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli, nel definire la lite fra condomini, promossa da Ca.Ra., P.F. e P.V. nei confronti di C.A., ha accertato che la convenuta aveva realizzato opere su parti comuni (muro perimetrale a confine e “platea”) con le quali aveva posto in collegamento la sua proprietà esclusiva e la stessa parte comune con una sua proprietà individuale esterna al condominio. Il giudice di primo grado ha ravvisato in ciò la violazione dell’art. 1102 c.c. e ha perciò condannato la convenuta alla demolizione.

La Corte d’appello, per quanto interessa in questa sede, ha dichiarato inammissibile, ex art. 348-bis c.p.c., l’appello principale proposto dall’ A.. Essa ha riconosciuto, in relazione al motivo d’appello con il quale si censurava il mancato esame, da parte del primo giudice, della scrittura privata del 16 settembre 1999, che l’omissione non sussisteva, in quanto la scrittura, finalizzata a negare che le opere denunciate incidessero su porzioni comuni, era stata prodotta tardivamente, solo in occasione delle osservazioni del consulente di parte nel termine accordato dal giudice ai sensi dell’art. 195 c.p.c., comma 3. La stessa corte di merito ha riconosciuto inoltre che la produzione fosse inammissibile nel grado, non ricorrendo le condizioni richieste dall’art. 345 c.p.c. per la ammissibilità di nuove prove in appello.

Nel seguito dall’analisi la Corte d’appello che riconosciuto che la circostanza, dedotta dall’appellante, secondo cui la porzione comune interessata dagli interventi non era accessibile e visibile dai condomini, non era idonea a farne venir meno la natura condominiale; ha aggiunto che l’uso fatto dalla convenuta nel caso in esame (collegamento con porzione di proprietà esclusiva estranea al condominio) costituiva sicura violazione dell’art. 1102 c.c.

Per la cassazione dell’ordinanza della Corte d’appello e della sentenza del Tribunale C.A. ha proposto separati ricorsi, affidato entrambi a un unico motivo.

Ca.Ra., P.F. e P.V. hanno resistito con distinti controricorsi depositati nei due procedimenti. Gli stessi controricorrenti hanno poi depositato memoria. Nel procedimento n. 29594 del 2016 (riguardante il ricorso contro la sentenza del Tribunale), hanno chiesto la liquidazione delle spese del procedimento ex art. 373 c.p.c. dinanzi al Tribunale di Napoli.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Considerato che, preliminarmente, ricorrono i presupposti per disporre la riunione dei due ricorsi per cassazione – del ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Napoli e del ricorso avverso l’ordinanza della Corte di Napoli che ha dichiarato inammissibile l’appello nei confronti della sentenza del primo giudice – trattandosi di impugnazioni contro provvedimenti giurisdizionali pronunciati tra le stesse parti e sussistendo ragioni di unitarietà sostanziale e processuale derivanti dal fatto che detti provvedimenti, emessi in gradi diversi, riguardano la medesima controversia.

2. E’ prioritario l’esame del ricorso proposto contro l’ordinanza della Corte d’appello, affidato a un unico motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 184,345,195 e 348-bis c.p.c. e dell’art. 111 Cost. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Si fa notare che la statuizione di inammissibilità dell’appello è stata assunta solamente in considerazione del fatto che la Corte di merito ha ritenuto inammissibile la produzione della scrittura del 16 settembre 1999. Infatti, qualora tale scrittura fosse stata esaminata, la Corte si sarebbe avveduta che le opere, oggetto di denuncia, erano stati eseguiti su porzioni convenzionalmente escluse dalla proprietà comune.

Si sostiene ancora da parte della ricorrente che il consulente tecnico aveva accertato che la situazione dei luoghi era coerente con il contenuto della scrittura. Quindi la produzione in allegato alla consulenza di parte, avvenuta nel termine concesso dal giudice ex art. 195 c.p.c., non incorreva in alcuna preclusione, in quanto il documento non faceva altro che confermare quanto già accertato dal consulente tecnico.

Tale carattere del documento, l’essere cioè diretto a rafforzare una prova già acquisita, rendeva certamente ammissibile la produzione in grado d’appello. Si sostiene che la preclusione, posta dall’art. 345 c.p.c., si riferisce alle sole prove costituende e non riguarda certamente i documenti. Si fa notare ancora che il medesimo documento fu prodotto dagli originari attori, attuali controricorrente, in un diverso giudizio fra le stesse parti.

3. Il ricorso è inammissibile. Il ricorso per cassazione è ammissibile contro l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., quando questa è utilizzata nell’ambito suo proprio, cioè quando contiene una valutazione prognostica negativa sull’appello (diversamente, se è emanata fuori dal suo ambito applicativo, ha valore sostanziale di sentenza impugnabile con il ricorso ordinario), solo se è affetta da vizi processuali propri e/o comuni ad ogni altro provvedimento, nei limiti, con riferimento a questi ultimi vizi, della loro compatibilità con le caratteristica di tale ordinanza Cass., S.U., n. 1914 del 2916). Ora, nel caso in esame, non ricorre né l’una, né l’altra ipotesi che rendono impugnabile l’ordinanza. La valutazione di inammissibilità della produzione in appello, così come compiuta dalla corte napoletana, non fuoriesce dall’ambito del giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame. Invero la tesi della ricorrente – la quale pretendeva di aggirare la decadenza verificatasi in primo grado, sottolineando che il documento, nella parte in cui escludeva dalle cose comuni i muri perimetrali realizzati per sostenere la trave di collegamento della palificata, non apriva un nuovo fronte di indagine, ma confermava una conclusione già raggiunta in primo grado sulla base della consulenza tecnica, che aveva riscontrato una situazione di fatto conforme – è infondata. Si trascura infatti che il titolo idoneo a vincere la presunzione scaturente dall’art. 1117 c.c., di comproprietà di alcune parti dell’edificio comune, deve rivestire ad substantium la forma scritta, poiché incide sulla costituzione o modificazione di un diritto su bene immobile (Cass. n. 1955/1976). Quindi l’esclusione della proprietà comune passava necessariamente attraverso una produzione documentale. Si deve ancora aggiungere che il muro perimetrale è qualificato espressamente come comune nel regolamento di condominio, richiamato nell’atto di divisione e vendita intercorso fra le parti dopo la scrittura che si voleva produrre in appello, come riconosce l’ordinanza impugnata.

In presenza di tale riconoscimento documentale la situazione di fatto, invocata a giustificazione della censura, era del tutto irrilevante; anzi, diviene irrilevante persino la scrittura del 16 settembre 2009, in quanto in contrasto con la previsione regolamentare successiva “di cui all’atto per notar Ce. del 18.11.1999” (cfr. pag. 7 del ricorso), richiamato nell’atto di divisione e vendita intercorso fra le parti in pari data, come fondatamente eccepiscono i controricorrenti, i quali, nel controricorso, hanno trascritto le clausole di interesse.

E’ stato chiarito che al fine di ritenere il superamento e l’assorbimento di un contratto ad opera di un altro non riveste importanza decisiva il fatto che il primo sia preliminare e il secondo sia definitivo, essendo sufficiente al riguardo che il contratto ritenuto assorbito sia anteriore rispetto all’altro ritenuto assorbente e che si tratti di atti negoziali intervenuti tra le stesse parti (Cass. n. 9493/1994). Nel caso di specie tali requisiti ricorrono.

4. Con unico motivo di ricorso proposto contro la sentenza di primo grado, C.A. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 c.c. e segg., artt. 1120 e 832 c.c., degli artt. 1362c.c. e segg. e degli artt. 99, 100, 112,115,116,163,342,191 e 196 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Il motivo è suddiviso in due parti, la prima delle quali non riguarda la sentenza di primo grado, impugnabile ex art. 348-ter c.p.c., ma l’ordinanza della Corte d’appello, sia in ordine alla questione della ritenuta inammissibilità della produzione documentale, sia in ordine alle considerazioni di merito (persistenza del carattere comune della cosa pur in presenza di una utilità particolare tratta da uno dei condomini; violazione dell’art. 1102 c.c.).

La censura, per questa parte, è inammissibile. Alla stregua della disciplina risultante dagli artt. 348 bis e ter c.p.c. il soccombente che si è visto dichiarare inammissibile l’appello con l’ordinanza di cui all’art. 348 ter c.p.c., proponendo ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, non può ovviamente che dedurre motivi attinenti a quella decisione (Cass., S.U., n. 1914/2016).

La seconda parte del motivo in esame è volta a censurare la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha riconosciuto che ci fu un indebito uso della cosa comune. Si rimprovera al giudice di non avere considerato che le parti in causa avevano operato una divisione di fatto della platea e ciascuna parte aveva fatto pari uso delle porzioni annesse alle rispettive proprietà esclusive. In presenza di un uso paritetico della cosa non era configurabile la violazione dell’art. 1102 c.c.

Per questa parte il motivo è infondato. L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, di massima, non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102 c.c., comma 1, e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario (Cass. n. 4155/1994; n. 4314/2002; n. 24295/2914).

Nello stesso tempo è stato chiarito che i muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo dell’edificio stesso di cui costituiscono parte organica. Per tale loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo condomino solo per il miglior godimento della parte di edificio di sua proprietà esclusiva, ma non possono essere utilizzati, senza il consenso di tutti i condomini, per l’utilità di altro immobile di sua esclusiva proprietà non facente parte del condominio, in quanto ciò implicherebbe la costituzione di una servitù in favore di un bene estraneo al condominio (Cass. n. 2953/1994; n. 16117/2000; n. 17868/2003; n. 15024/2913).

Sulla base di tali principi è stata ritenuta illegittima l’apertura di un varco nel muro divisorio tra questi ultimi, volta a collegare locali di proprietà esclusiva del medesimo soggetto, tra loro attigui, ma ubicati ciascuno in uno dei due diversi condominii, in quanto una simile utilizzazione comporta la cessione del godimento di un bene comune, quale e’, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il muro perimetrale di delimitazione del condominio (anche in difetto di funzione portante), in favore di una proprietà estranea ad esso, con conseguente imposizione di una servitù per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini (Cass. n. 20543/2020).

6. Consegue da quanto sopra che il tribunale, una volta riconosciuto che si trattava di modificazioni di cose comune fatte per porre in collegamento la proprietà condominiale con altro immobile di esclusiva proprietà della convenuta, bene ha fatto a riconoscere, per ciò solo, sussistente la violazione dell’art. 1102 c.c., non essendo affatto necessaria l’ulteriore indagine, a cui si allude nel motivo, per accertare quali facoltà di uso fossero state impedite, in concreto, agli altri condomini. Una siffatta, ulteriore, indagine deve essere compiuta dal giudice solo nella ipotesi in cui il singolo condomino abbia compiuto un’utilizzazione particolare della cosa comune, rivolta al miglior godimento della parte di edificio di sua proprietà esclusiva, mentre nella specie si trattava di opere ridondanti a vantaggio di proprietà esclusiva esterna al condominio.

7. Il ricorso, pertanto, devono essere rigettato, con addebito di spese, con esclusione di quelle del procedimento ex art. 373 c.p.c., richieste con memoria depositata in prossimità dell’udienza e non notificata alla controparte: “La richiesta di pronuncia, in sede di legittimità, sull’istanza di rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte per resistere vittoriosamente all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di merito impugnata, può essere esaminata alla condizione che l’istanza, e i relativi documenti da produrre, siano stati notificati alla controparte, ovvero che il contraddittorio con la medesima sia stato comunque rispettato in ragione della sua presenza all’udienza, così da permetterle di interloquire sul punto” (Cass. n. 18079/2020; n. 21198/2015).

Ci sono le condizioni per dare atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso contro l’ordinanza della Corte d’appello di Napoli; rigetta il ricorso contro la sentenza del Tribunale della stessa città; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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