Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16184 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/07/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 25/07/2011), n.16184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – est. Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16147/2009 proposto da:

G.R., in proprio e quale legale rappresentante della

società “Ortofrutta Giordano di Giuliani Rosa & C.

s.a.s.”,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE SS. PIETRO E PAOLO 50,

presso lo studio dell’avvocato TOMASSINI CLAUDIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato CASAMASSIMA Domenico, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI BARI, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20313/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 23/07/2008 R.G.N. 14833/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato CASAMASSIMA DOMENICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Trani – Sezione distaccata di Canosa di Puglia – regolarmente depositato, G. R., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Ortofrutta Giordano di Giuliani Rosa e C. s.a.s. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione con la quale la Direzione Provinciale del Lavoro di Bari le aveva contestato le violazioni di cui alla L. n. 608 del 1996, artt. 9 bis e 9 quater, in materia di collocamento di manodopera agricola, intimandole di pagare la somma di L. 26.023.700 a titolo di sanzione amministrativa.

Il Tribunale adito accoglieva l’opposizione ed annullava l’ordinanza ingiunzione.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Direzione Provinciale del Lavoro di Bari con un unico articolato motivo di impugnazione.

L’intimata non ha svolto alcuna attività difensiva.

Con sentenza del 23 luglio 2008 n. 20313 questa Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso, ha cassato l’impugnata sentenza rinviando, anche per le spese, al Tribunale di Trani.

La G. propone ricorso per revocazione ex art. 392 bis c.p.c., affidato ad un unico motivo.

Resiste con controricorso l’intimata.

Nella Camera di consiglio tenuta il 23 giugno 2011 è stato, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., u.c., sostituito per stendere la motivazione della sentenza, il relatore consigliere, Dott. Pietro Zappia, con il Presidente, Dott. Guido Vidiri.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso per revocazione la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 141 e 171 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., comma 2, in relazione all’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4.

In particolare rileva che essa ricorrente, ed il suo procuratore, difensore domiciliatario, non avevano mai ricevuto la notifica del ricorso per cassazione proposto dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Bari avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Trani.

Ciò in quanto la notifica del ricorso, richiesta a mezzo del servizio postale, era stata tentata presso lo studio dell’avv. Domenico Casamassima, con domicilio al n. 296 di un inesistente Corso Vittorio Emanuele di Canosa di Puglia, laddove l’effettivo domicilio era stato eletto in Corso Vittorio Emanuele n. 296 di Trani. Quindi nella fattispecie il luogo indicato nella notificazione non solo non aveva alcun rapporto con il difensore di essa ricorrente ma, come risultava dalla certificazione del Comune di Canosa, era addirittura inesistente.

Di conseguenza la Corte di cassazione, nel momento in cui aveva valutato l’ammissibilità e la procedibilità del ricorso, non si era avveduta della mancanza di tale notificazione e, pertanto, era incorsa in un errore di fatto ritenendo, contrariamente al vero, che la notifica si fosse perfezionata, mentre avrebbe dovuto dichiarare la inesistenza della notifica e quindi l’inammissibilità del ricorso.

2. Il ricorso della G. va dichiarato inammissibile.

2.1 Al fine di un ordinato iter motivazionale vanno fatte alcune preliminari considerazioni sul disposto dell’art. 391 bis c.p.c., alla cui stregua si chiede dalla ricorrente la revocazione della sentenza n. 20313 del 2008 di questa stessa Corte.

2.2. La revocazione è stata configurata come un mezzo di impugnazione di natura eccezionale ed a critica vincolata, che può aggiungersi o sovrapporsi alle altre impugnazioni, e cioè all’appello ed al ricorso per cassazione; ed è stato anche puntualmente evidenziato come tale rimedio, per riprodurre sostanzialmente lo stesso oggetto del giudizio anteriore, segua il regime della devoluzione automatica tanto da postulare una pronunzia sostitutiva; il che ha indotto un consistente indirizzo dottrinario a nutrire riserve circa la qualificazione dell’istituto come essenzialmente rescindente, rimarcandosi a tale fine come la prima fase della revocazione non sia rivolta a porre nel nulla la sentenza impugnata ma solo a dar adito al riesame della controversia al fine, appunto, di sostituire, con altra sentenza, quella viziata.

2.3. L’istituto in esame , come noto, è un rimedio dalle origini remote, che per lungo tempo non è stato contemplato come mezzo impugnatorio delle sentenze della cassazione. Tale scelta ordinamentale è stata, in epoca risalente, giustificata in base alla considerazione che – poichè la sentenza di cassazione “non è sentenza di merito”, bensì per la sua funzione rescindente, “sentenza di rito” – la revocazione delle decisioni di legittimità non risultava compatibile in un sistema che attribuiva alla revocazione il ruolo “vicario” rispetto all’appello, ed i cui vizi denunziabili con essa involgevano, da parte del giudice della impugnativa, apprezzamenti di fatto.

2.4. In questo quadro necessariamente succinto dell’istituto revocatorio va ricordato che la Corte Costituzionale ha aperto – con la sentenza 30 gennaio 1986 n. 17 (i cui principi sono stati di recente richiamati da Corte Cost. 9 giugno 2009 n. 207) – come è stato con felice espressione evidenziato – un “varco” nel precedente assetto codicistico statuendo, con riferimento a sentenza affetta di vizi processuali (art. 360 c.p.c., n. 4), che negarne la revocabilità in presenza dell’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, comporterebbe la violazione del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento garantito dall’art. 24 Cost., comma 2, ed in tal modo finirebbe per svuotare di rilevanza il comandamento di giustizia che di per sè permea la ripetuta disposizione del codice di rito civile, perchè “l’indagine cognitoria cui da luogo dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non è diversa da quella condotta da ogni e qualsiasi giudice di merito allorquando scrutina la ritualità degli atti del processo sottoposto al suo esame”.

L’esigenza evocata da parte del giudice delle leggi nella pronunzia citata di ampliare normativamente – ed al di là della specifica fattispecie da essa esaminata – le ipotesi di revocazione ha finito per essere recepita dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che, nel riscrivere l’art. 391 bis c.p.c., ha portato a riconoscere tra i provvedimenti impugnabili con la revocazione pure le sentenze della Corte di cassazione (e le ordinanze pronunziate a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 ed ora anche a norma del n. 1, a seguito di Corte Cost. 9 luglio 2009 n. 207 cit.), ma solo per errore di fatto.

2.5. Pur limitando l’indagine a quello che interessa in questa sede – e cioè alla revocazione ordinaria ex art. 395 c.p.c., n. 4 – risulta utile – per quanto si verrà in seguito ad esplicitarsi osservare più in generale che all’estensione della revocazione alle sentenze della Corte di cassazione, oltre al ricordato precedente della Corte Costituzionale, hanno forse con maggiore incidenza contribuito altre ragioni.

2.6. Ed invero non può sottacersi che la modifica – ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006 – dell’art. 384 c.p.c., con il consentire, con il secondo comma, nel giudizio di legittimità anche decisioni di merito della controversia con conseguenti apprezzamenti di fatto – tanto che da taluni si è vista la Cassazione anche come giudice di terza istanza – ha fatto venire meno la ragione che, come già ricordato, si reputava ostativa all’estensione dell’istituto scrutinato. Si è al riguardo puntualmente evidenziato che, nella misura in cui ex art. 384 c.p.c., può divenire sostitutiva della sentenza di merito, la pronunzia della Corte di cassazione deve essere parimenti sottoposta alla stessa latitudine di rimedi previsti per la suddetta sentenza di merito, in rapporto agli stessi, determinati vizi.

2.7. Sotto altro versante non può neanche trascurarsi la considerazione che il principio costituzionalizzato con la L. 23 novembre 1999, n. 2 del “giusto processo” (art. 111 Cost., comma 1), ha di certo contribuito ad incrementare le ipotesi di impugnazione delle pronunzie del supremo organo della giustizia ordinaria, sia perchè è stata nella giurisprudenza già ampiamente sperimentata la capacità innovativa del principio costituzionalizzato attraverso la rivisitazione con corretti processi ermeneutici di molte norme del codice di rito e di molti suoi istituti, sia perchè a ciò l’interprete è indotto – per quanto riguarda la revocazione – da quella che da sempre è stata ravvisata la sua rado, di pervenire, appunto, ad un giusto approdo della controversia con decisioni che siano esenti da errori di apprezzamento e dagli altri vizi di cui all’art. 395 c.p.c..

3. Passando ora all’esame del presente ricorso va dichiarato infondato l’assunto della controricorrente laddove sostiene che la denunzia di una erronea notificazione del ricorso per cassazione nel giudizio in relazione al quale si chiede la revocazione non configura un errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4 e art. 391 bis c.p.c., versandosi in una ipotesi di erroneo apprezzamento delle risultanze processuali.

3.1. E’ stato affermato in giurisprudenza che ove si lamenti che il giudice d’appello abbia erroneamente ritenuto la regolarità della notifica dell’atto di appello e di conseguenza la ritualità e procedibilità dell’impugnazione, si verta in una ipotesi di errore revocatorio, da rimuovere a mezzo dello specifico strumento di impugnazione disciplinato dall’art. 395 c.p.c., rimanendo esclusa la possibilità di avvalersi del ricorso per cassazione che, se proposto, deve essere dichiarato inammissibile (cfr. Cass. 14 marzo 2006 n. 5450). E nella stessa direzione – in una fattispecie che verteva su di una istanza di revocazione ex art. 391 bis c.p.c., fondata sul presupposto che la ammissibilità del ricorso per cassazione, implicitamente ritenuta dalla Corte nella sentenza di accoglimento, fosse inficiata dalla mancata percezione dell’avvenuta notifica della sentenza impugnata – si è pure affermato dai giudici di legittimità che la configurabilità dell’errore di fatto nella valutazione di determinate situazioni processuali, ai fini della revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non può ritenersi esclusa allorchè tale valutazione sia implicita, in quanto anche in tale ipotesi la valutazione (pur non espressa) del giudice ben può eventualmente essere inficiata da una percezione inesatta dello stato del processo, risultante in modo incontrovertibile, a meno che dalla stessa decisione non risulti che lo stesso fatto – denunciato come erroneamente percepito – sia stato oggetto di giudizio (cfr. Cass. 25 agosto 2003 n. 12483).

3.2. Questa Corte ritiene di condividere gli enunciati dieta che – seppure non sempre condivisi (cfr. infatti Cass. 1 marzo 2005 n. 4295 e, più di recente, Cass. 9 luglio 2009 n. 16136) – appaiono la risultante di una interpretazione della norma di rito costituzionalmente orientata perchè, come è stato già ricordato, il giudice delle leggi ha evidenziato come, ai fini revocatori di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, non appaia giustificata una differenza tra vizi che incidono sulla cognizione e l’apprezzamento dei fatti e vizi della stessa natura riguardanti invece gli atti processuali cfr. in motivazione: Corte Cost. 30 gennaio 1986 n. 17 cit. cui adde Corte Cost. 9 giugno 2009 n. 207 cit.) e perchè questa stessa Corte, a Sezioni Unite, ha di recente ricordato che il fatto sul quale può cadere l’errore revocatorio “può consistere anche nel contenuto degli atti processuali oggetto di cognizione del giudice” (cfr. in motivazione: Cass., Sez Un., 30 giugno 2009 n. 15227). Corollario di quanto detto è, dunque, l’infondatezza dell’eccezione sollevata da controparte in relazione alla non configurabilità di un errore revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 5, perchè nel caso di specie non si sarebbe in presenza di un errore di fatto ma di un errore di diritto, attinente alla ritualità dell’atto notificatorio.

4. Sotto altro versante l’inammissibilità del presente ricorso per revocazione non può neanche dichiararsi sul presupposto che la G. si sia limitata soltanto a denunziare – senza cioè una compiuta esposizione del merito della controversia – che la sentenza ora impugnata fosse stata preceduta da una notifica del ricorso da considerarsi inesistente perchè avvenuta a mezzo posta in luogo non avente nessun rapporto con il suo difensore.

Ed infatti, è stato in giurisprudenza più volte ribadito che la domanda di revocazione della sentenza della Corte di cassazione per errore di fatto, da proporre, in base al disposto dell’art. 391 bis c.p.c., con ricorso ai sensi dell’art. 365 c.p.c., e segg., deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione del motivo della revocazione, prescritta dall’art. 398 c.p.c., comma 2, e la esposizione dei fatti di causa rilevanti, richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 3, e non invece anche la riproposizione dei motivi dell’originario ricorso per cassazione (cfr. ex plurimis: Cass., Sez. Un, 30 dicembre 2004 n. 24170 cui adde, più di recente, Cass. 2 novembre 2010 n. 22292 e Cass. 19 ottobre 2006 n. 22386).

4.2. I compiti di nomofilachia devoluti a questa Corte di Cassazione inducono ad applicare alla fattispecie in esame i principi ora enunciati non essendo state prospettate ragioni capaci di mettere in dubbio una statuizione che trova la sua fondatezza nella chiara lettera delle sopra richiamate norme di rito.

5. Le argomentazioni sinora svolte non ostano, comunque, alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso della G..

5.1. Come evidenziato in precedenza la sentenza oggetto di revocazione nell’accogliere il ricorso spiegato dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Bari avverso la decisione del primo giudice – che aveva accolto l’opposizione contro l’ordinanza con la quale era stata contestata alla G. la violazione della L. n. 609 del 1996, artt. 9 bis e 9 quater, in materia di collocamento di manodopera agricola (omessa trasmissione del primo e secondo esemplare del registro d’impresa rispettivamente all’INPS e alla competente Sezione circoscrizionale per l’impiego nonchè omessa consegna – all’atto dell’assunzione – del terzo esemplare ai lavoratori) – ha cassato la pronunzia del giudice di merito rinviando per il riesame della causa al Tribunale di Trani.

5.2. Indottrina è stato da tutti rimarcato come prima della riforma del 2006 la revocazione delle decisioni della Corte Suprema fosse consentita in termini molto ristretti, ma è stato anche osservato che il D.Lgs. n. 40 del 2006, pur avendo considerevolmente ampliato l’ambito dell’istituto lo abbia fatto rispetto alle sole sentenze con cui la Corte abbia direttamente deciso il merito della controversia a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2. Conclusione questa che trova una incontestabile conferma nella lettera comma 1, art. 391 ter c.p.c., che, dopo l’incipit “il provvedimento con il quale la Corte ha deciso la causa nel merito”, aggiunge che tale provvedimento è “altresì” impugnabile per i vizi di cui all’art. 395, nn. 1, 2, 3 e 5, motivi che giustificano la revocazione straordinaria.

5.3. Questa Corte ritiene che l’art. 391 bis c.p.c., interpretato alla stregua della lettera del comma 1 del successivo art. 391 ter c.p.c. – in cui si rinviene la parola “altresì” che funge da congiunzione con le ipotesi revocatorie previste nella precedente norma di rito – porta ad accreditare la conclusione che allorquando la sentenza della Cassazione impugnata non abbia deciso nel merito ma abbia ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rinviato la causa ad altro giudice per l’ulteriore esame della controversia, possano in questa sede di prosecuzione della controversia farsi valere quegli errori di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, relativi anche a vizi processuali – come quello in esame – che la parte rimasta contumace avrebbe potuto conoscere a seguito del ricorso in riassunzione davanti al giudice di rinvio, cui incombe in ogni caso la valutazione sul verificarsi di preclusioni o decadenze e/o sulla possibilità di sanatoria delle nullità processuali da effettuarsi sulla base dell’entità delle loro ricadute in termini del rispetto del diritto di difesa delle parti in causa valutazioni queste che pure con riferimento agli errori di rito abbisognano sovente di accertamenti di fatto e dell’esercizio di poteri istruttori non consentiti in sede di giudizio di legittimità.

5.4. A tale riguardo non può sottacersi che questa Corte ha già riconosciuto – in una fattispecie avente ad oggetto una problematica con qualche analogia con quella in esame perchè relativa alla configurabilità della revocazione per errore di fatto – la possibilità nel corso del processo di sanatorie di precedenti errori commessi dal giudice ai danni del contumace, laddove ha statuito che non costituisce errore di fatto che giustifichi la revocazione di una sentenza del tribunale, quello in cui, nell’ambito di un giudizio contumaciale, sarebbe incorso il giudice nella percezione delle risultanze istruttorie per trattarsi infatti di un vizio che la parte contumace avrebbe potuto conoscere al momento della notifica della sentenza di primo grado e che doveva essere fatto valere con l’appello (cfr.: Cass. 25 gennaio 2007 n. 1647).

6. Per concludere, la soluzione che questa Corte condivide è conseguenza di una interpretazione rispettosa del principio costituzionalizzato del giusto processo, che porta per quanto attiene specificatamente l’istituto dell’art. 391 bis c.p.c., a maggiormente accreditare la tesi che la prima fase della revocazione – e cioè la fase rescindente – più che diretta ad annullare la sentenza impugnata è funzionalizzata a consentire il riesame globale della controversia al fine di pervenire ad un approdo finale, definitivo e non più contestabile della controversia.

6.1 Può infatti qualificarsi – pur nella estrema difficoltà di delinearne esaustivamente la nozione – “processo giusto” quello che si svolge in tempi ragionevoli, secondo le garanzia del contraddittorio, della parità delle parti e della imparzialità e terzietà del giudice e che sia tendenzialmente rivolto ad una pronunzia capace di garantire in via definitiva la tutela sostanziale degli interessi azionati in giudizio attraverso la effettiva cessazione della loro lesione e la loro completa reintegrazione.

Finalità non perseguibili nella stessa misura in tema di revocazione con l’applicazione di diversi principi in fattispecie come quella in esame, che con il rendere impraticabile la fase rescissoria, finirebbero per portare all’accoglimento del ricorso, ed ad impedire l’accertamento della verità materiale attraverso il quale poi pervenire ad una effettiva, concreta e doverosa tutela dei diritti e degli interessi ingiustamente lesi.

7. La mancanza di precedenti giurisprudenziali in materia e le notevoli difficoltà scaturenti dall’esame delle questioni giuridiche affrontate da questa Corte – e collegate in buona misura alle modifiche apportate dal recente D.Lgs. n. 40 del 2006 ed ai loro riflessi capaci di incidere sull’intera disciplina della revocazione – inducono la Corte alla compensazione delle spese del presente giudizio, ricorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di revocazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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