Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16182 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/07/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 25/07/2011), n.16182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19953/2007 proposto da:

S.F., rappresentato e difeso dall’avvocato GARLATTI

Alessandro, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria

della Corte Suprema di Cassazione, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO Alessandro, NICOLA

VALENTE, GIUSEPPINA GIANNICO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 152/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/02/2007, R.G.N. 863/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato GARLATTI ALESSANDRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.F. adiva il Tribunale di Milano chiedendo che venisse accertato il suo diritto all’accredito dei contributi previdenziali, assolti in forma figurativa ai sensi della L. n. 25 del 1955, per il periodo 1 gennaio 1964 – 16 febbraio 1966, in cui egli aveva lavorato come apprendista fornaio alle dipendenze di G.L., titolare del Panificio Galimberti.

L’I.N.P.S. contestava la domanda eccependo che la condizione per la concessione delle agevolazioni previste dalla L. n. 25 del 1955, era la iscrizione all’albo delle imprese artigiane da parte del datore di lavoro, mentre il G. all’epoca dei fatti di causa, risultava iscritto alla gestione commercianti.

Il Tribunale respingeva la domanda per difetto di prova circa la natura artigiana dell’attività svolta dal datore di lavoro.

Il S. proponeva appello lamentando una erronea valutazione dei mezzi di prova, ed in particolare dei documenti prodotti, formulando richiesta di prova testimoniale.

Resisteva l’INPS chiedendo la conferma della sentenza.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 16 febbraio 2007, respingeva il gravame.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il S., affidato a due motivi.

Resiste l’I.N.P.S. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il S. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 25 del 1955, sull’apprendistato, nonchè insufficiente motivazione relativamente alla documentazione prodotta.

Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 437 c.p.c., in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale richiesta, da ritenersi indispensabile ai fini del decidere anche alla luce della documentazione prodotta che comunque costituiva “indizio da potersi integrare con la prova testimoniale richiesta”.

I motivi, stante la loro connessione, possono essere congiuntamente esaminati e risultano infondati.

La Corte di merito, pur attribuendo natura dichiarativa e non costitutiva alla iscrizione all’albo delle imprese artigiane, riteneva che la prova offerta (circa la natura artigiana della attività del datore di lavoro nel periodo de quo) risultava insufficiente, mentre la prova testimoniale proposta dal S. risultava inammissibile, per essere stata richiesta per la prima volta in grado di appello, in contrasto col divieto di cui all’art. 437 c.p.c., comma 2.

La sentenza impugnata si sottrae alle censure mossele.

In primo luogo con riguardo alla valutazione della documentazione prodotta: il giudice d merito ha ritenuto inidonea a provare l’assunto attoreo sia il certificato della Camera di commercio relativo alla “ditta Galimberti” (indicante quale oggetto e scopo sociale “panificio e fiaschetteria”), sia la licenza rilasciata dal Comune di Cusano Milanino (ove solo si leggeva: “vendita al pubblico Forno, panetteria e fiaschetteria”).

Riteneva in particolare che da tali documenti non si evinceva con sufficiente chiarezza se il G. svolgesse, prevalentemente, attività di produzione di beni, ovvero attività di vendita al pubblico (di pane e bevande).

La circostanza che il S. avesse poi svolto attività di fornaio, come si evinceva dal certificato della camera di commercio in atti, aveva infine valore meramente indiziario da solo non sufficiente a provare l’assunto se non confortato da altre prove.

La censura dell’odierno ricorrente riguarda un tipico apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito incensurabile in sede di legittimità se, come visto, congruo ed immune da vizi logici (Cass. 18 luglio 2008 n. 20027; Cass. 9 agosto 2007 n. 17477; Cass. 5 marzo 2007 n. 5066; Cass. 16 gennaio 2007 n. 828).

Quanto alla inammissibilità della prova testimoniale richiesta solo in secondo grado, esso risulta perfettamente in linea col divieto di cui all’art. 437 c.p.c., posto che il giudizio di indispensabilità della prova nuova in appello implica una valutazione sull’attitudine della stessa a dissipare un perdurante stato di incertezza sui fatti controversi riservata al giudice di merito, a cui non può sostituirsi la Corte di cassazione (Cass. 13 marzo 2009 n. 6188;

Cass. 20 giugno 2006 n. 14133).

A ciò va aggiunto il rispetto del principio di unità ed infrazionabilità della prova, applicabile anche alle controversie individuali di lavoro, in base al quale non è consentita la proposizione in appello di una prova già esaurita o la deduzione di una prova diretta a completare, modificare o contraddire quella già espletata in primo grado (Cass. 4 marzo 1987 n. 2285; Cass. 22 febbraio 1985 n. 1583; Cass. 5 febbraio 1983 n. 983).

Quanto al mancato esercizio dei poteri ufficiosi, invocati dal ricorrente, occorre osservare che essi, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità (Cass. 25 maggio 2010 n. 12717), non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti – il cui esercizio è del tutto discrezionale e come tale sottratto al sindacato di legittimità – in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale (Cass. 22 luglio 2009 n. 17102; Cass. 21 maggio 2009 n. 11847).

Deve inoltre rimarcarsi che l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza dell’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, senza però che il giudice possa porre rimedio ad una totale carenza di allegazione sui fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, potendo soltanto supplire ad eventuali lacune delle risultanze di causa ai fini dell’accertamento della verità materiale (cfr. al riguardo: Cass. Sez. Un. 20 aprile 2005 n. 8202, cui adde, più di recente, ex plurimis: Cass. 26 maggio 2010 n. 12847; Cass. 2 febbraio 2009 n. 2577; Cass. 12 maggio 2006 n. 11039).

Circostanze queste che nella specie debbono escludersi, considerato che la prova testimoniale, ben possibile in primo grado, venne richiesta solo in sede di gravame.

L’esercizio dei poteri ufficiosi da parte del giudice nel processo del lavoro, è dunque possibile e doveroso (ex plurimis, Cass. sez. un. 17 giugno 2004 n. 11353) solo allorquando si sia in presenza di allegazioni e di un quadro probatorio ritualmente delineati dalle parti e che, nonostante il suo svolgimento, presenti incertezze circa i fatti costitutivi o impeditivi dei diritti azionati.

Con riferimento alla prova testimoniale, in particolare, deve evidenziarsi che in essa, ove i testi sono chiamati a deporre su specifiche circostanze di fatto tempestivamente dedotte dalla parte (art. 244 c.p.c.), è massimo il collegamento tra l’onere di allegazione dei fatti (quali fonti materiali di prova) e la prova richiesta, mentre il principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma 2) ne impedisce, in via generale, il frazionamento tra il primo ed il successivo grado di giudizio.

Nella specie lo stesso ricorrente ha ritenuto di dover richiedere una prova testimoniale a sostegno ed integrazione degli elementi documentali prodotti, ma solo in grado di appello, imbattendosi così nella preclusione di cui all’art. 437 c.p.c., non superabile, per le ragioni dette, con l’esercizio dei poteri ufficiosi.

Il ricorso va pertanto respinto.

La peculiarità della vicenda, consiglia la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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