Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16180 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/06/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 09/06/2021), n.16180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13053-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente-

contro

GRUPPO PAM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA 66, presso lo studio

dell’avvocato AUGUSTO FANTOZZI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati LORIS TOSI, ANTONIO FRANCHINI;

– controricorrente –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza n. 1073/1/2018

della COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE di VENEZIA, depositata il

18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

ANTONIO FRANCESCO;

lette le conclusioni scritte dal PUBBLICO MINISTERO, in persona del

SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE DOTT. ZENO IMMACOLATA, con cui chiede

disporsi la prosecuzione del giudizio sospeso, in accoglimento del

ricorso per regolamento di competenza.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Espone l’Agenzia delle entrate che, a seguito di attività ispettiva svolta dalla Guardia di Finanza di Venezia, veniva emesso PVC da cui emergevano, per gli anni dal 2003 al 2006, una serie di violazioni in materia di IRES, IVA ed IRAP, derivanti dalla partecipazione del Gruppo PAM S.p.A. (in prosieguo: “PAM”) ad una frode carosello avente ad oggetto cessione di telefoni cellulari. Dal predetto PVC era scaturito un “primo filone” accertativo avente ad oggetto il recupero delle imposte dirette e dell’IVA evase, in quanto relative a fatture dedotte da PAM per operazioni soggettivamente inesistenti; un “secondo filone” di accertamenti che riguardava l’IVA in vendita, recuperata dall’Ufficio stante la carenza dei requisiti che permetterebbero di considerare le cessioni effettuate da PAM come cessioni intracomunitarie.

I consequenziali avvisi di accertamento – relativi agli anni d’imposta 2003, 2004, 2005 e 2006 – venivano impugnati da PAM dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Venezia.

Le cause relative agli avvisi di accertamento per gli anni 2003, 2004 e 2005 risultano attualmente pendenti in Cassazione.

La causa relativa all’avviso di accertamento per l’anno 2006 veniva discussa alla pubblica udienza del 18.12.2018, all’esito della quale la Commissione tributaria provinciale di Venezia emetteva l’ordinanza n. 1073/01/2018, con la quale così statuiva: “La Commissione, non definitivamente pronunciando, ritiene fondato il ricorso con riguardo alla contesta applicazione del regime intracomunitario (c.d. secondo filone) e per l’effetto annulla l’atto impugnato con riguardo a tale motivo; sospende ex art. 295 c.p.c. per il resto (c.d. primo filone) il presente contenzioso in attesa dell’esito dei ricorsi pendenti avanti la Corte di Cassazione”.

Per la parte in cui ha contenuto di sentenza parziale – di annullamento della parte dell’avviso di accertamento riguardante l’IVA in vendita (“secondo filone”) – il provvedimento della commissione provinciale veniva impugnato con appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto. Per la parte in cui esso ha contenuto di ordinanza di sospensione per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c. del giudizio concernente la parte dell’avviso di accertamento relativa alla indebita detrazione dell’IVA sugli acquisti soggettivamente inesistenti (“primo filone”), il provvedimento è impugnato con il regolamento di competenza in scrutinio, sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la società contribuente.

Il P.M. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, e art. 39, comma 1 bis, nonchè dell’art. 295 c.p.c., esponendo quanto segue.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, prevede che “non sono ammesse sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande”; il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, comma 1 bis, stabilisce che “la commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.

Sostiene la ricorrente che dalla lettura congiunta delle norme suddette emerge che la sospensione dei processo per pregiudizialità di altra controversia è ammessa, nel processo tributario, soltanto se essa sia integrale. Non è invece ammessa la sospensione parziale, finalizzata a consentire alla commissione tributaria di decidere, inammissibilmente, solo una parte della domanda e di attendere l’esito di altra controversia per decidere la parte restante.

La commissione provinciale avrebbe quindi dovuto o sospendere integralmente il processo, qualora fosse emerso un effettivo rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, e non meramente fattuale, tra la controversia al suo esame e le controversie attualmente all’esame della Suprema Corte, aventi ad oggetto gli autonomi avvisi di accertamento relativi agli anni 2003, 2004 e 2005 (c.d. primo filone); oppure, non ravvisando alcuna pregiudizialità in senso proprio, avrebbe dovuto escludere qualsiasi sospensione e decidere integralmente e non parzialmente il merito.

In entrambi i casi, il provvedimento impugnato, nella parte in cui sospende parzialmente il processo, si palesa illegittimo.

Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, comma 1 bis, e dell’art. 2909 c.p.c.

Censura la ricorrente la decisione impugnata per avere erroneamente ravvisato un nesso di pregiudizialità necessaria tra controversie concernenti avvisi di accertamento basati sul medesimo processo verbale di constatazione, ma aventi ad oggetto anni di imposta diversi, nei quali la frode IVA ipotizzata si sarebbe sottratta. Il legame tra i diversi accertamenti, difatti, è di tipo meramente fattuale, poichè tutti i fatti sono stati appurati in un’unica verifica generale, formalizzata in un unico processo verbale di constatazione, ben potendo tuttavia la frode ritenersi sussistente in un anno e non in un altro.

La società contribuente, con il controricorso, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per regolamento di competenza. Sostiene che la violazione del divieto di emanare una sentenza tributaria non definitiva, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, è “assorbente” rispetto alla sospensione parziale del giudizio, in asserita violazione dell’art. 295 c.p.c., in quanto laddove fosse illegittima la sentenza parziale, altrettanto illegittima sarebbe la successiva sospensione parziale del processo, a prescindere dalla sussistenza o meno dei presupposti dell’art. 295 c.p.c.. In tale prospettiva, considerato che la contestata violazione dell’art. 35 cit. è suscettibile di impugnazione solo con lo strumento dell’appello (che controparte ha espressamente affermato di voler proporre), anche la “dipendente” violazione dell’art. 295 c.p.c. è eliminabile mediante il predetto mezzo di impugnazione.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso.

Ed invero, la tesi propugnata dalla controricorrente muove dall’assunto che, poichè il vizio concernente l’emanazione di una sentenza non definitiva in materia tributaria – preliminare e “assorbente” rispetto alla successiva e “dipendente” sospensione necessaria del processo – è suscettibile di impugnazione solo con lo strumento ordinario dell’appello, anche la violazione dell’art. 295 c.p.c. è eliminabile solo con il predetto mezzo di impugnazione.

Tale assunto, tuttavia, non può essere condiviso, ben potendo l’Ufficio (che ha prospettato l’impugnazione della sentenza parziale di annullamento dell’avviso di accertamento in relazione al “secondo filone”), in base ad una legittima opzione processuale, proporre appello esclusivamente in relazione al merito della vicenda, divenendo così irretrattabile la separazione dei giudizi, impugnando quindi la sospensione del giudizio in riferimento al “primo filone” con l’unico strumento utilizzabile del regolamento di competenza.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Il divieto di pronuncia di sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, costituisce un precetto carattere eccezionale, che introduce una deroga rispetto al regime previsto per il processo civile dall’art. 279 c.p.c., giustificata come precisato dalla Relazione ministeriale sullo schema del D.Lgs. n. 546 del 1992, per la riforma del contenzioso tributario – dall’esigenza di evitare gli inconvenienti a cui il frazionamento dei giudizi dà generalmente luogo anche nel processo civile, avuto specifico riguardo alla peculiare struttura del processo tributario ed al sistema di riscossione frazionata dei tributi contro cui l’istituto delle sentenze non definitive e, a maggior ragione, quello delle impugnazioni differite che solitamente vi si accompagna, verrebbe inevitabilmente a confliggere.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, comma 1 bis, prevede che “la commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.

Orbene, se non sono ammesse nel processo tributario sentenze parziali non è ammissibile, per logica conseguenza, una sospensione parziale del processo, in quanto essa presuppone giustappunto la decisione solo di una parte della domanda o solo di alcune domande, soggetta al divieto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3. Il giudizio deve essere definito nella sua interezza e, consequenzialmente, anche la sospensione del processo non può che essere integrale; la sospensione parziale del processo postula difatti una inammissibile pronuncia non definitiva.

Anche il secondo motivo è fondato.

Non sussiste, invero, un rapporto di pregiudizialità necessaria tra controversie concernenti avvisi di accertamento basati su un’unica verifica generale e sul consequenziale unico processo verbale di constatazione, ma aventi ad oggetto anni di imposta diversi, nella specie relativi ad indebita detrazione dell’IVA su acquisti soggettivamente inesistenti.

Va rammentato che “la sentenza del giudice tributario che definitivamente accerti il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicchè, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità, ancorchè, siano coinvolti tratti storici comuni” (Cass. n. 1837 del 2014). Nella specie, l’evasione d’imposta ben può essersi verificata in un anno e non in un altro e non sussiste pertanto alcuna necessità logico-giuridica di decidere in modo uniforme sugli accertamenti riguardanti tutti gli anni d’imposta in contestazione, sì da giustificare la sospensione necessaria del giudizio, ricorrendo, invece, tra le cause soltanto un nesso meramente fattuale.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto e il provvedimento impugnato cassato. Le parti vanno rimesse dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Venezia anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e dispone la prosecuzione del giudizio dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Venezia, anche per le spese del regolamento di competenza.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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