Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1618 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. II, 19/01/2022, (ud. 10/11/2021, dep. 19/01/2022), n.1618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D�ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11562-2016 proposto da:

D.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 23, presso

lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PIERO POLLASTRO, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente principale –

contro

T.B.G.L., T.B.T.,

T.B.E., elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio

dell’avvocato NICOLETTA MERCATI, che li rappresenta e difende,

unitamente all’avvocato CELESTINO CORICA, e FRANCESCO CORICA, giusta

procura in calce al controricorso;

– ricorrenti incidentali –

nonché contro

B.C., B.D., C.M., rappresentati e difesi

dall’avvocato CLAUDIO BOSSI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 2160/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 02/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Udito il PUBBLICO MINISTERO, nella persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. DE RENZIS LUISA, che ha chiesto, conformemente alle

conclusioni scritte, l’accoglimento del quinto e del sesto motivo

del ricorso di D.r., con rigetto dei restanti motivi; per il

rigetto del ricorso proposto da B.C., B.D. e

C.M., con assorbimento del ricorso incidentale proposto da

T.B.T., T.B.E., e T.B.G.;

Udito l’avvocato Piero Pollastro per la ricorrente D.R.,

l’avvocato Gabriele Ferabelli, per delega dell’avvocato Claudio

Bossi, per i ricorrenti B.C., B.D. e C.M., e

l’avvocato Nicoletta Mercati, per i ricorrenti incidentali

T.B.G., T. ed E.;

Lette le memorie depositate dalla ricorrente principale e dai

ricorrenti incidentali B.C., B.D. e C.M. in

prossimità dell’udienza.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

B.C., B.D. e C.M., con citazione del 3/12/2008, nella qualità di eredi legittimi della defunta Bo.Ro.Pi.An., convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Novara T.B.T., T.B.E., T.B.G. e D.R., chiedendo l’annullamento dei testamenti olografi del 20/1/1996 e delle postille olografe del 1/2/1997, con i quali erano stati beneficiati i convenuti B.T., e del 14/12/2006, con il quale era stata successivamente istituita erede universale la D..

Assumevano che entrambi i testamenti erano affetti da incapacità di intendere e di volere della testatrice, che era stata sottoposta a cure psichiatriche sin dal (OMISSIS), e che era affetta da grave patologia mentale all’epoca di redazione delle due schede olografe.

Si costituiva D.R. che insisteva per l’accertamento della validità della scheda testamentaria posteriore, mentre i T.B. nel chiedere il rigetto della domanda di annullamento delle schede a loro favorevoli, in via riconvenzionale chiedevano dichiararsi l’invalidità del testamento del quale era risultata beneficiaria D.R..

All’esito dell’istruttoria, consistita nell’espletamento di una CTU medica e di una CTU grafologica, il Tribunale adito, con la sentenza n. 862/2012, ha dichiarato D.R. unica erede testamentaria, rigettando le domande di annullamento delle schede olografe.

Avverso tale sentenza proponevano appello principale T.B.T., E. e G., che insistevano per la declaratoria di invalidità del testamento del 2006.

Si costituiva D.R. che instava per il rigetto del gravame. Si costituivano anche gli attori che in via di appello incidentale insistevano per l’accoglimento delle domande in origine proposte.

La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 2160 del 2/12/2015, in riforma della sentenza gravata, annullava per incapacità naturale il testamento olografo del 14/10/2006, rigettava l’appello incidentale degli attori, e per l’effetto dichiarava che gli appellanti principali erano eredi testamentari in forza dell’olografo del 24/1/1996; condannava gli attori e D.R., in solido tra loro al rimborso delle spese del doppio grado in favore degli appellanti principali.

La Corte distrettuale, dopo avere richiamato il contenuto della decisione di primo grado, che aveva escluso che fosse stata offerta la prova dell’incapacità naturale della de cuius al momento della redazione delle schede impugnate, riteneva non condivisibile la conclusione del Tribunale quanto all’asserzione circa la mancata prova della incapacità della de cuius alla data di redazione della scheda del 2006.

Secondo i giudici di appello rilevava la natura della malattia di cui era affetta la testatrice (schizofrenia), insorta già in età giovanile, allorché nel (OMISSIS) la de cuius aveva solo venti anni. La CTU aveva riferito di una patologia progressivamente ingravescente, e su tale caratteristica tutte le perizie mediche svolte concordavano.

Tuttavia, la stessa patologia aveva avuto un’evoluzione temporale, della quale si dava puntualmente atto nella perizia d’ufficio.

Dopo un aggravamento del quadro clinico a partire dagli anni (OMISSIS) (che aveva visto anche alcuni ricoveri della testatrice), emergeva che lo scompenso era successivamente migliorato sino a raggiungere una condizione di discreto equilibrio verso la fine del (OMISSIS) e l’inizio del (OMISSIS), fatta salva una ricaduta nel giugno del (OMISSIS).

La condizione patologica si era riacutizzata solo a partire dal (OMISSIS), ed a far data dal (OMISSIS) la patologia si era evoluta verso una forma di schizofrenia cronicizzata (come da certificazioni sanitarie in atti).

Significativa risultava un’annotazione dei sanitari dell'(OMISSIS) attestante l’assenza di totale autonomia della paziente, frutto di un costante stato di scompenso psicopatologico.

L’esistenza di una patologia con tali connotazioni trovava poi conforto anche nel contenuto della scheda del 2006, redatta in maniera disordinata, essenziale ed influenzata dal vissuto e dalle distorsioni ideative tipiche della patologia.

Il Tribunale non aveva colto la progressiva evoluzione della malattia, assumendo una generalizzata capacità della de cuius, che trovava però smentita nei dati clinici esaminati.

In particolare, doveva ritenersi che il secondo testamento fosse stato compiuto in una fase in cui la schizofrenia aveva raggiunto il suo apice degenerativo. Altro errore commesso era quello di pretendere, ai fini dell’incapacità, uno stato di incoscienza sul piano neuro-vegetativo, laddove la norma, per come interpretata, presuppone l’inidoneità della parte ad avere piena consapevolezza dei propri atti.

L’intervenuta cronicizzazione della malattia già nel (OMISSIS) escludeva che la Bo. potesse essere ritenuta capace di redigere un valido testamento, dovendo reputarsi che il quadro costante di alterazione delirante non consentisse un’espressione di volontà libera.

Lo stesso contenuto del testamento del 2006, con il convincimento della stessa de cuius di essere in perfette condizioni di salute fisica e mentale, ed il riferimento ad una malattia del trigemino, erroneamente identificata come causa dei disturbi mentali della quale la defunta era da tempo affetta denotavano l’assoluta carenza di competenza decisionale della Bo..

Una volta quindi affermata l’incapacità naturale della de cuius alla data del testamento in favore della D., del quale andava dichiarata l’invalidità, la Corte d’appello reputava necessario pervenire a diverse conclusioni quanto al testamento del 1996 (la cui validità non era stata esaminata dal Tribunale sul rilievo assorbente del riconoscimento della validità del testamento posteriore).

Dalle indagini del CTU emergeva che la de cuius aveva avuto, dopo un momento di stabilizzazione ed equilibrio del quadro clinico, una ricaduta nel (OMISSIS), e quindi in epoca successiva a quella della redazione della scheda. Occorreva anche evidenziare che il testamento de quo risultava redatto con una piena coscienza della de cuius della consistenza e della composizione del proprio patrimonio, che appunto distribuiva tra i vari beneficiari. Inoltre, anche la postilla del 1997, sebbene denotasse una serie di dubbi della stessa Bo. circa la propria capacità, non poneva però in discussione la capacità alla data del (OMISSIS).

La conclusione, circa l’assenza di una incapacità permanente nel (OMISSIS), non poteva essere smentita dalle indagini peritali svolte nel procedimento di interdizione che aveva coinvolto la Bo., e che si era concluso nel (OMISSIS) con una pronuncia di inabilitazione, e ciò sia perché la perizia ivi redatta risaliva al (OMISSIS), sia perché non teneva conto dei dati clinici che attestavano un successivo miglioramento delle condizioni cliniche della de cuius, fatto salvo poi un successivo e definitivo peggioramento.

Ne derivava che era onere degli attori dimostrare che la scheda del (OMISSIS) fosse stata redatta in condizioni di incapacità di intendere o di volere della de cuius, ma tale onere non era stato soddisfatto.

La sentenza escludeva, poi, che vi fossero altri profili di invalidità del detto testamento, non potendo incidere su tale esito la circostanza che la testatrice si fosse in precedenza consultata con degli esperti al fine di meglio formulare le proprie volontà.

Del tutto generica era quindi la richeista di annullamento del testamento per dolo, mancando la specifica indicazione circa le modalità di intervento dei terzi sulla volontà della de cuius. Inoltre, non era stata specificamente impugnata l’affermazione del Tribunale secondo cui non era in discussione l’autografia del testamento.

Per l’effetto la domanda di annullamento per dolo era inammissibile per essere del tutto generica, essendo del pari generiche le allegazioni svolte in grado di appello.

Peraltro, l’annullamento del testamento del 2006 per incapacità naturale della testatrice rendeva irrilevante anche accertare se vi fosse stata attività captatoria, che presuppone una piena capacità della de cuius.

Quanto invece al dolo relativo al testamento del 1996, e ribadita la genericità dell’allegazione difensiva, la stessa richiesta si fondava su interferenze che sarebbero state poste in essere a partire dal (OMISSIS), e cioè in data successiva alla redazione della scheda, il che denotava anche l’inidoneità del contenuto delle prove articolate a fondare una diversa decisione.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.R. sulla base di sei motivi.

T.B.T., T.B.E. e T.B.G. hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Hanno proposto autonomo ricorso B.C., B.D. e C.M. sulla base di cinque motivi.

A tale ricorso ha resistito con controricorso D.R..

Hanno resistito con controricorso anche T.B.T., E. e G..

La ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali, B.C., B.D. e C.M., hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente rileva il Collegio che avverso la medesima sentenza risultano essere stati proposti due autonomi ricorsi principali, separatamente avanzati da D.R. e dalle originarie parti attrici, sicché, per ragioni di ordine cronologico, la qualifica di ricorso principale deve essere attribuita al ricorso proposto per primo, e cioè al ricorso avanzato da D.R. (notificato in data 29/4/2016 prima della notifica dell’altro ricorso avvenuta in data 2/5/2016), convertendosi l’altro in ricorso incidentale (cfr. ex multis Cass. n. 33809/2019).

2. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la falsa applicazione dell’art. 591 c.c., comma 2, n. 3, quanto alla declaratoria di invalidità del testamento del quale è beneficiaria D.R..

Si sostiene che tale invalidità sia stata dichiarata senza però il necessario accertamento della ricorrenza di un’incapacità di intendere e di volere al momento della redazione della scheda, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che pone a carico di chi invoca l’incapacità l’onere di fornirne la prova.

La difesa della ricorrente ha costantemente ribadito che la patologia di cui era affetta la Bo. non escludeva l’esistenza di lucidi intervalli, ma tali deduzioni non sono state affatto esaminate dalla Corte d’Appello.

Il secondo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 l’omessa pronuncia, con violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’eccezione di merito relativa all’esistenza di ampi e lucidi intervalli della de cuius, anche in epoca prossima alla morte, e quindi nel periodo cui risale la scheda testamentaria invocata dalla ricorrente principale.

2.1 I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono privi di fondamento.

Giova a tal fine, ed anche in vista della successiva disamina dei motivi del ricorso incidentale, richiamare i tradizionali e costanti principi ai quali si è attenuta questa Corte nel valutare la corretta applicazione dell’art. 591 c.p.c., quanto alla invalidità per incapacità naturale del testatore.

In tema di annullamento del testamento, l’incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo (Cass. in. 3934/2018).

In senso conforme, e sempre nella giurisprudenza più recente, è stato ribadito che, nel caso di infermità tipica, permanente ed abituale, l’incapacità del testatore si presume e l’onere della prova che il testamento sia stato redatto in un momento di lucido intervallo spetta a chi ne afferma la validità; qualora, invece, detta infermità sia intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità e di incapacità, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell’incapacità deve essere data da chi impugna il testamento (Cass. n. 25053/2018).

E’ stato poi precisato che il giudice del merito può trarre la prova dalle sue condizioni mentali, anteriori o posteriori, sulla base di una presunzione; posto che la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, una volta dimostrata una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, spetta a chi afferma la validità del testamento la prova della sua compilazione in un momento di lucido intervallo (Cass. n. 26873/2019; Cass. n. 27351/2014; Cass. n. 9508/2005).

Va poi ricordato che la giurisprudenza, sia pure nella vigenza della vecchia e meno rigorosa formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, aveva affermato che l’apprezzamento del giudice del merito circa l’incapacità d’intendere e di volere, prevista dall’art. 591 c.c., n. 3, al fine di dedurre l’incapacità di disporre per testamento, costituisce indagine di fatto e valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità, se fondata su congrua motivazione, immune da vizi logici ed errori di diritto. (Cass. n. 162/1981; Cass. n. 1851/1980; Cass. n. 3205/1971).

Peraltro, ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere del “de cuius” al momento della redazione del testamento, il giudice del merito non può ignorare il contenuto dell’atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle relative disposizioni, nonché ai sentimenti e ai fini che risultano averle ispirate. Nell’ambito di tale valutazione, il dato clinico, comunque necessario, costituisce uno degli elementi su cui il giudice deve basare la propria decisione, non potendosi mai prescindere dalla considerazione della specifica condotta dell’individuo e della logicità della motivazione dell’atto testamentario (Cass. n. 8690/2019; Cass. n. 230/2011; Cass. n. 5620/1995).

Posti tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, le censure mosse dalla ricorrente si palesano del tutto prive di fondamento.

Come sopra ricordato nel riassumere il contenuto della sentenza di appello, la Corte distrettuale, in dissenso rispetto al giudizio del Tribunale, ha provveduto ad una complessiva rivalutazione del materiale probatorio valorizzando a tal fine proprio gli elementi di carattere sanitario, quali complessivamente emergenti dalla CTU e dalle varie perizie di parte.

Una volta esclusa la possibilità di attribuire carattere decisivo alla perizia svolta nell’ambito del giudizio di interdizione che aveva visto coinvolta la Bo., in quanto di molto anteriore alla data del testamento del quale era beneficiaria la D., ha osservato che effettivamente la de cuius risultava affetta sin da giovane età da schizofrenia, rilevando però come la patologia avesse avuto una progressiva evoluzione che non immediatamente si era tradotta una condizione di incapacità tale da rientrare nella previsione di cui all’art. 591 c.c., n. 3.

I giudici di appello, con ampia ed esaustiva motivazione, hanno ricordato come, dopo una prima fase di acutizzazione della patologia, era subentrata una fase di equilibrio psichico che però aveva visto il succedersi di una ricaduta nel (OMISSIS) (e cioè in epoca successiva alla redazione della prima scheda olografa).

Si è poi sottolineato come a partire dal (OMISSIS) il quadro clinico si era ancor più deteriorato, tanto che lo stesso sanitario (Dott. D.S.) che nel (OMISSIS) e nel (OMISSIS) aveva ritenuto che la Bo. fosse capace di intendere e di volere, nel (OMISSIS) riferiva di una cronicizzazione della patologia, come confermato anche dalla successiva diagnosi della Dott. V. del (OMISSIS).

Lo scompenso psicopatologico risultava, come da certificazione dell'(OMISSIS), ormai costante e rendeva la Bo., per l’ingravescenza delle facoltà cognitive, non già incosciente ma priva della coscienza dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi.

La sentenza, pur dando atto di una patologia che ha costantemente afflitto la de cuius, ha però correttamente ritenuto necessario distinguere le modalità con le quali nel tempo la medesima ha potuto incidere sulle facoltà cognitive della testatrice, evidenziando che, quindi, solo a far data dal (OMISSIS) circa fosse divenuta permanente la assoluta menomazione delle capacità cognitive della de cuius, tale da determinare una condizione di permanente e stabile incapacità di intendere o di volere.

La sentenza ha perciò sottolineato che, se la patologia poteva ritenersi permanente nel corso degli anni, avendo sempre la Bo. sofferto di schizofrenia, è pur vero che non altrettanto permanente era stata l’incidenza della patologia sulla capacità negoziale della de cuius, così che il progredire della malattia, con la cronicizzazione dei suoi effetti perturbanti la piena capacità psichica, rendeva possibile affermare una permanente incapacità a partire dai primi anni di questo secolo, e quindi ancor prima della redazione del testamento invocato dalla ricorrente principale.

Ne consegue che correttamente è stata fatta applicazione della detta regola giurisprudenziale di riparto dell’onere della prova, assumendosi che, proprio la permanenza delle condizioni di minorata capacità della de cuius, esimeva la parte che invocava l’invalidità del testamento dal dover fornire la prova della incapacità della de cuius al momento della sua redazione, essendo invece onere dell’erede testamentaria provare che la scheda era stata redatta in un momento di lucido intervallo.

Peraltro, la valutazione compiuta dai giudici di merito in appello, lungi dall’arrestarsi al solo dato clinico – sebbene ritenuto particolarmente indicativo e significativo – è stata corredata da un’indagine estesa al contenuto della scheda, sottolineandosi come il suo contenuto, disordinato, essenziale era il riflesso delle distorsioni ideative cagionate dalla patologia, e confermava l’incapacità di autodeterminarsi della de cuius a quella data (cfr. la sentenza impugnata alle pagg. 57-61).

L’ampiezza, l’intrinseca coerenza delle argomentazioni svolte in sentenza, il puntuale richiamo agli elementi istruttori, con la disamina critica anche delle emergenze che parte ricorrente assume invece a sé favorevoli, consentono di affermare come non ricorra la dedotta violazione di legge, né ancor più l’omessa disamina dell’eccezione di cui al secondo motivo in esame.

La critica della ricorrente si risolve a ben vedere nella contestazione, non consentita, per quanto sopra detto, dell’accertamento di fatto circa la condizione di incapacità a carattere permanente della de cuius alla data del (OMISSIS), e pretende, in contrasto con quanto accertato dal giudice di merito, di dover invece ritenere che lo stato di incapacità non fosse permanente in quanto intervallato da ampi lucidi intervalli.

A tal fine si richiamano le proprie precedenti deduzioni difensive, come supportate dagli elementi di prova a tal fine versati in atti, deduzioni che però risultano, quanto meno implicitamente, disattese dalla sentenza impugnata che ha individuato le diverse fonti probatorie dalle quali ricavare la affermata conclusione circa la permanente incapacità naturale della testatrice.

Il quadro cognitivo della de cuius, come appunto emerge dalla ricostruzione operata in sentenza, imponeva quindi alla convenuta di dover offrire la prova che il testamento fosse stato redatto in un momento di lucido intervallo, prova che però non risulta essere stata offerta.

Quanto poi all’omessa pronuncia sulla ricorrenza di un lucido intervallo, in disparte il richiamo alla regola di riparto dell’onere probatorio, sopra richiamata, occorre altresì ribadire che quando un giudizio – come, nella specie, quello sulla capacità di intendere e di volere della persona defunta (al fine di valutarne la capacità di testare) – deve necessariamente risultare dall’esame coordinato di numerosi elementi, l’adeguatezza della motivazione del giudice del merito deve essere vagliata con riferimento all’insieme degli stessi nonché alle difese delle parti; peraltro, l’eventuale silenzio della motivazione su taluni dei predetti elementi non può essere considerato omesso esame di punti decisivi qualora, nel suo complesso, il giudizio risulti adeguatamente e concretamente giustificato e non si possa affermare che, senza quel silenzio, la decisione avrebbe potuto essere diversa (Cass. n. 23900/2016; Cass. n. 2407/1981, che estende tale principio anche al caso di silenzio della motivazione su taluni degli argomenti contenuti nel complesso delle difese dedotte dalle parti contrapposte; Cass. n. 1454/1969).

3. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia l’omesso esame di fatti controversi fra le parti decisivi per il giudizio.

Si deduce che la Corte d’Appello è pervenuta all’annullamento del testamento del 2006 senza prendere in esame alcuni fatti che avrebbero invece deposto per la soluzione opposta.

In particolare, nel (OMISSIS), pochi mesi prima della redazione del testamento, la Bo. aveva preso parte a due atti notarili, senza che in tali atti il notaio avesse riferito di alcuna difficoltà o incertezza nella sottoscrizione.

Inoltre, nel (OMISSIS) in occasione di un ricovero, in calce al modulo relativo al consenso informato sottoscritto dalla de cuius, vi era un’annotazione del sanitario che attestava che a suo avviso la paziente aveva perfettamente inteso quanto oggetto della informativa.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

In disparte la considerazione secondo cui gli atti del 2006 sono stati compiuti dalla de cuius, con l’assistenza del curatore, in quanto già in precedenza inabilitata, sicché è proprio tale assistenza che esimeva dal dover verificare in maniera approfondita la ricorrenza della capacità naturale in capo alla disponente, e rilevato che la ricorrente riferisce dell’assenza di problemi nell’apposizione della sottoscrizione, laddove le condizioni di salute come ricostruite dalla Corte d’Appello non erano tali da influire sulla materiale capacità di redigere atti o di apporre firme (avendo la CTU grafologica escluso che il testamento de quo sia stato oggetto di interventi eterografi), occorre altresì richiamare il principio secondo cui lo stato di sanità mentale del testatore, seppure ritenuto e dichiarato dal notaio per la mancanza di segni apparenti di incapacità del testatore medesimo, può essere contestato con ogni mezzo di prova, senza necessità di proporre querela di falso, poiché, ai sensi dell’art. 2700 c.c., l’atto pubblico fa piena prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma nei limiti della sola attività materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dallo stesso pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (Cass. n. 2702/2019).

L’assenza di rilievi da parte del notaio non assume carattere, quindi, decisivo ai fini della affermazione della capacità della testrice, e ciò anche alla luce del fatto che si trattava di atti compiuti con l’assistenza del curatore, così come del pari non assume carattere decisivo la valutazione resa dal sanitario in calce al modulo del consenso informato, non trattandosi analogamente di dichiarazione avente carattere fidefaciente, sicché ben può essere smentita dalla diversa ricostruzione dello stato di salute della de ciuus, quale operato con ampia motivazione dal giudice di appello.

Ma l’infondatezza del motivo appare ancor più evidente alla luce del principio richiamato in occasione della disamina dei primi due motivi, per cui non costituisce omessa disamina di elementi decisivi il silenzio serbato in motivazione su alcuni degli elementi ed argomenti spesi da una delle parti, ove la sentenza dia adeguata contezza, alla luce del complesso degli elementi vagliati, delle ragioni che hanno indotto a ravvisare l’incapacità della testatrice.

4. Il quarto motivo del ricorso principale denuncia l’assoluta mancanza di motivazione in ordine al mancato accoglimento delle istanze probatorie con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Si assume che la ricorrente aveva reiterato l’istanza di ammissione di mezzi di prova volti a dimostrare le buone condizioni di salute della de cuius anche in epoca successiva al 1997, avendo la parte sollecitato anche la rinnovazione della CTU.

La sentenza impugnata ha però deciso la controversia senza fornire alcuna motivazione in ordine alle ragioni della loro mancata ammissione.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

E’ inammissibile in quanto, pur denunciando la mancata ammissione di mezzi istruttori, omette però di riportarne in ricorso lo specifico contenuto, assumendo in maniera del tutto generica che le prove erano volte a documentare la condizione fisica e psichica della de cuius.

Ma è altresì infondato, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento (cfr. Cass. n. 16214/2019; Cass. n. 27415/2018).

Con specifico riferimento alla materia in esame, è stato poi già in passato affermato che qualora il giudice di merito ritenga che, dalle prove acquisite, possa desumersi, in maniera tranquillante, lo stato di sanità (o di infermità) del testatore e di tale convincimento dia congrua motivazione, non può essere denunciato come omesso esame di punto decisivo la mancata ammissione di ulteriori mezzi di prova stante la loro superfluità ai fini della decisione (Cass. n. 886/1970).

In tal senso deve reputarsi che, a fronte della esaustiva ed analitica ricostruzione della condizione psicofisica della de cuius nel 2006, la valutazione di superfluità, sebbene espressamente riferita solo alla richiesta di rinnovazione della CTU, deve reputarsi quanto meno implicitamente estesa anche alla richiesta di ammissione delle prove testimoniali in quanto inidonee a sovvertire il quadro probatorio già emerso sulla base della combinata disamina delle certificazioni sanitarie e del contenuto della scheda testamentaria.

5. Il quinto motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. quanto all’omessa pronuncia su di una domanda riconvenzionale proposta dalla ricorrente.

Si ricorda che nel costituirsi in giudizio la D., per l’ipotesi di accoglimento della domanda di annullamento del testamento del 2006, aveva chiesto la condanna degli eredi della Bo. al rimborso delle spese sostenute quale erede testamentaria per l’ammontare di Euro 172.624,10.

Si specifica che tale domanda, assorbita in primo grado, stante il rigetto della domanda di annullamento, era stata però reiterata in appello sia nella comparsa di costituzione sia in sede di conclusioni.

Tuttavia, pur essendo stata riformata la decisione di primo grado, ed insorgendo quindi l’interesse della ricorrente alla decisione su tale domanda, la medesima non è stata in alcun modo esaminata.

Il sesto motivo del ricorso principale denuncia, ove si reputi che l’espressione contenuta in dispositivo “respinge nel resto” equivalga ad un esplicito rigetto della domanda riconvenzionale de qua, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p. c., comma 2, n. 4, per l’assoluta mancanza di motivazione quanto alle ragioni del rigetto.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.

Della proposizione di tale domanda riconvenzionale dà atto la stessa sentenza gravata a pag. 41, nella parte relativa alla narrazione dei fatti di causa, e la sua riproposizione ex art. 346 c.p.c. risulta testimoniata sempre dalla sentenza gravata, nella parte relativa alla riproduzione delle conclusioni di parte.

La stessa difesa dei controricorrenti T.B. non contesta tale evento, ma si limita a dedurre circa l’infondatezza nel merito della pretesa della ricorrente.

Effettivamente, a seguito dell’accoglimento della domanda di annullamento del testamento del 2006, è divenuto attuale l’interesse della D. ad una pronuncia sulla richiesta di rimborso delle spese asseritamente sostenute nell’interesse dell’eredità, ma la Corte d’Appello ha del tutto omesso di statuire sul contenuto della domanda riconvenzionale, incorrendo pertanto nella violazione dell’art. 112 c.p.c.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione ai motivi in esame, e deve quindi essere rinviata per nuovo esame alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione.

6. Il primo motivo del ricorso incidentale, così qualificato quello proposto dalle originarie parti attrici, denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 nonché dell’art. 591 c.c. Si contesta l’affermazione di validità del testamento olografo del 1996 e della postilla del 1997, in quanto la sentenza sarebbe del tutto priva di motivazione.

Ancora, oltre a effettuare un richiamo ad un inesistente art. 591 c.c., comma 1 la sentenza sarebbe il frutto di un’erronea interpretazione delle risultanze istruttorie, emergendo delle contraddizioni intrinseche quanto alla diversa soluzione raggiunta in merito ai due diversi testamenti.

Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 591 c.c., con omessa motivazione circa l’esistenza del cosiddetto intervallo di lucidità, resa necessaria e palese dal tenore stesso del provvedimento impugnato.

La Corte non ha argomentato circa l’ingravescenza della patologia in epoca prossima alla redazione della prima scheda, e da tale omissione è scaturita l’erronea conclusione circa la validità del testamento.

6.1 I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

A tal fine appare opportuno richiamare le considerazioni svolte al punto 2.1 della presente sentenza, ove sono stati esposti i principi applicabili in tema di incapacità del testatore e le conclusioni in punto di fatto raggiunte dalla Corte d’Appello. L’ampia ed analitica motivazione della Corte distrettuale esclude che possa ravvisarsi una nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c.

Infatti, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).

La disamina delle argomentazioni spese in sentenza, ed in particolare per quanto attiene alla verifica circa la validità del testamento del 1996 (pagg. 62 e ss.), esclude che ricorra una situazione di anomalia motivazione come sopra delineata e quindi denota l’infondatezza della denuncia di nullità.

Ne’ ricorrono intrinseche contraddittorietà avuto riguardo alla soluzione raggiunta in merito al diverso testamento del 2006, avendo la sentenza, come sopra ricordato, sottolineato il progressivo aggravamento della patologia che a partire dai primi anni di questo secolo aveva raggiunto caratteristiche di cronicità, in passato non ravvisabili, tali da rendere permanente l’incapacità di testare della de cuius.

Ebbene, se per il testamento posteriore era effettivamente onere dell’erede testamentario documentare che la sua redazione era avvenuta, nonostante il quadro psichico, in un momento di lucido intervallo, per il testamento anteriore, avvenuto prima che intervenisse una ricaduta della testatrice, doveva invece presumersi la nomale capacità di intendere o di volere della de cuius, che spostava sulla parte interessata a farne valere l’invalidità, l’onere della prova che la sua redazione fosse avvenuta allorquando la testatrice era effettivamente incapace ai sensi dell’art. 591 c.c., n. 3 (il richiamo al comma 4 della norma de qua deve intendersi come mero errore materiale, privo peraltro di ripercussioni sulla correttezza in diritto della soluzione raggiunta).

Inoltre, il diverso esito decisorio cui si è pervenuti per i due testamenti non risulta ancorato al solo dato clinico, ma è supportato dalla verifica anche del contenuto intrinseco delle due schede, sottolineandosi come solo quella posteriore avesse un tenore tale da estrinsecare la, ormai, perduta capacità di autodeterminazione, a differenza della prima scheda, il cui contenuto denotava la consapevolezza in capo alla testatrice dell’entità e della consistenza del patrimonio di cui intendeva disporre, senza che potesse assumere rilievo determinante anche l’eventuale attività di consiglio prestata da terzi maggiormente esperti, cui la testatrice possa essersi rivolta.

Ancorché, effettivamente la sentenza riferisca a pag. 70 anche per il testamento del (OMISSIS)della redazione in un momento di lucido intervallo, deve escludersi che tale affermazione contrasti con il superiore rilievo circa la ricorrenza di una ordinaria capacità di intendere e di volere nei primi mesi del (OMISSIS) (cfr. in particolare il richiamo alle certificazioni del Dott. D.S. fatto a pag. 53), e deve intendersi piuttosto che con tale espressione si facesse riferimento alla circostanza che la redazione della scheda era avvenuta allorquando la Bo. aveva raggiunto una condizione di equilibrio tra la fine del (OMISSIS) e l’inizio del (OMISSIS), prima della ricaduta risalente al (OMISSIS) (cfr. sempre pag. 53).

7. Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia l’omessa valutazione delle risultanze della perizia grafologica compiuta sulle schede, la contraddittorietà emergente dalla motivazione del provvedimento, della valutazione delle prove versate in atti con omessa e contraddittoria motivazione.

Si lamenta che la sentenza non ha effettuato alcuna indagine sul tenore letterale del testamento del 1996, che invece è frutto di una costruzione tecnica specifica e puntuale poco rispondente al comune linguaggio della de cuius, e che manca ogni riferimento al contenuto della perizia grafologica, in quanto il giudizio è supportato dalla sola disamina della CTU medica.

Il motivo è inammissibile in quanto, oltre che richiamare la formula non più applicabile dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto al vizio di omesso e/o contraddittoria motivazione, si risolve nella sollecitazione alla Corte ad una complessiva rivalutazione del materiale probatorio.

I giudici di merito hanno concluso per la validità del testamento del 1996 sulla base della congiunta valutazione dei vari elementi di prova, costituiti sia dalle consulenze medico legali d’ufficio e di parte, sia dal contenuto del testamento, essendosi per quest’ultimo sottolineata la coerenza e precisione che testimoniavano, in raffronto con la seconda scheda, uno stato di lucidità sicuramente tale da escludere l’incapacità naturale, e senza che l’eventuale suggerimento fornito da terzi potesse incidere sulla validità, anche in vista della diversa domanda di annullamento per dolo.

Del tutto generico è poi il richiamo al mancato esame delle perizie grafologiche, mancando la puntuale individuazione dell’elemento da queste ritraibile che avrebbe deposto invece per l’accoglimento della domanda di annullamento.

La critica, come sviluppata nel motivo, si palesa quindi del tutto generica, e, come accennato, mirante esclusivamente a pervenire, in maniera non consentita, ad una diversa rivalutazione degli elementi di prova.

8. Il quarto motivo del ricorso incidentale denuncia l’omessa motivazione circa l’esclusione anche in grado di appello delle istanze istruttorie riproposte dalle parti, in quanto la sentenza non ha fornito alcuna motivazione in merito alla mancata ammissione delle richieste istruttorie reiterate in appello.

Il motivo deve essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato, sulla base delle medesime argomentazioni già esposte al punto 4., in occasione della disamina del quarto motivo del ricorso principale.

9. Il quinto motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 624 c.c., quanto al rigetto della subordinata domanda di annullamento per dolo.

La sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto che la domanda fosse stata formulata in maniera generica, e che tale genericità connotasse anche le successive allegazioni.

Tuttavia, non si è tenuto conto del fatto che le condizioni di salute della testatrice, anche nel 1996, si prestavano ad un condizionamento esterno.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, la censura non contesta adeguatamente la ratio posta a fondamento della decisione della Corte d’Appello che ha ritenuto che la domanda di annullamento per dolo del testamento del 1996 fosse stata formulata in maniera inammissibile, in ragione della assoluta genericità delle circostanze poste a suo fondamento.

Inoltre il motivo che omette di riportare, in violazione del principio di specificità, il contenuto dei capitoli di prova non ammessi, ed asseritamente idonei a fornire la prova della captazione in danno della de cuius, non si confronta con la motivazione della Corte d’Appello, che, a pag. 70, ha sottolineato come le interferenze, tali da denotare l’ipotesi di invalidità di cui all’art. 624 c.c., sarebbero successive al mese di (OMISSIS), e cioè ad una data posteriore a quella cui risale il testamento, dovendo l’attività dolosa sussistere già al momento della formazione della volontà.

10. Atteso l’accoglimento del quinto e del sesto motivo del ricorso principale, e dovendo il giudice di rinvio, all’esito della decisione sulla domanda riconvenzionale della D., regolare anche le spese delle precedenti fasi di merito tra la stessa D. ed i convenuti T.B., deve reputarsi assorbito il motivo di ricorso incidentale avanzato da questi ultimi con i quali si lamenta l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., sulla domanda proposta in appello, di condanna degli appellati alla restituzione delle somma versata alla D. a titolo di saldo della quota spese, come liquidata all’esito del giudizio di primo grado.

11. Il giudice del rinvio, come sopra designato, provvederà alla liquidazione anche delle spese del presente giudizio.

12. Poiché il ricorso incidentale proposto da B.C., B.D. e C.M. è rigettato, essendo stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei detti ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale proposto da D.R., rigettando per il resto gli altri motivi; rigetta il ricorso incidentale proposto da B.C., B.D. e C.M.; dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto da T.B.T., E. e G.;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi del ricorso principale accolti e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso incidentale proposto da B.C., B.D. e C.M., a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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