Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16179 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 28/07/2020), n.16179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in Roma, via Sebino n. 2

presso lo studio dell’Avv. Erminia Mazzoni che lo rappresenta e

difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore generale pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12 presso gli uffici

dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 13/18/13 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il 16 gennaio 2013;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 febbraio 2020 dal relatore Cons. Crucitti Roberta.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A.S. propone ricorso, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso) per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale della Campania, nella controversia relativa all’impugnazione degli avvisi di accertamento relativi a IRPEF; IVA e IRAP degli anni 2000, 2001 e 2002, aveva dichiarato cessata la controversia per condono relativamente agli anni 2000 e 2001 e accolto l’appello dell’Ufficio per l’anno di imposta 2002;

in particolare, per quanto ancora rileva, il Giudice di appello riteneva che il contribuente, malgrado Iscritto all’AIRE, avesse mantenuto in Italia il centro dei propri interessi, come dimostrato dall’intestazione di numerose polizze assicurative, stipulate con istituti aventi sede legale nel territorio italiano, dalla titolarità di carte di credito rilasciate da istituti bancari operanti sul territorio italiano, dalla corresponsione, nell’anno 2000, di una somma di danaro dalla “Fondazione Teatro Massimo di Palermo, nonchè dallo stesso mantenimento del proprio nucleo familiare, con la frequenza scolastica dei figli di scuole di Benevento;

il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in camera di consiglio, in prossimità della quale il contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata laddove i richiami svolti dalla C.T.R. agli indirizzi ermeneutici di questa Corte erano contraddittori rispetto alle prove, alle argomentazioni della difesa e alle attestazioni della sentenza di primo grado;

2. con il secondo motivo si denunzia l’omessa motivazione della sentenza impugnata su aspetti rilevanti ai fini della decisione della controversia, quali la documentazione completa e la motivazione della effettiva residenza nel Principato di Monaco e le relative argomentazioni della sentenza di primo grado, ignorandosi il documentato possesso in quel Paese di una casa di proprietà idonea a essere utilizzata come stabile dimora con tutte le relative utenze, l’inoperatività delle carte di credito, l’attestata attività canora del ricorrente in varie città del mondo;

3. con il terzo motivo, per le ragioni svolte con il secondo motivo e che consentivano, secondo la prospettazione difensiva, di superare la presunzione di residenza in Italia, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione di svariate norme di legge;

4. secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sentenza n. 8053 del 7.4.2014) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile al ricorso in esame, per essere stata la sentenza impugnata depositata il 16.1.2013) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Inoltre “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

alla luce di tali principi i primi due motivi con i quali si deduce, secondo la previgente disposizione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contraddittorietà della motivazione e l’omessa motivazione su aspetti rilevanti;

riguardo al primo è, infatti, sufficiente rilevare che, per le ragioni sopra svolte, non è censurabile la “contraddittorietà” della motivazione rispetto a questioni di diritto;

in ordine al secondo, invece, va rilevato che con il mezzo di impugnazione non si denunzia l’omesso esame di un “fatto” ma si deduce un’omessa motivazione su aspetti rilevanti proponendo, nella sostanza, inammissibilmente una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quello insindacabilmente accertato dal Giudice di merito;

conseguentemente è inammissibile anche il terzo Motivo, siccome presupponente l’accoglimento del secondo;

alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente, soccombente, condannato alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese che liquida in complessivi Euro 4.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 1l5 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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