Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16179 del 26/06/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 16179 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 8190-2007 proposto da:
LIONETTI GIOVANNA C.F.LNTGNN43R604669J, elettivamente
domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 150, presso lo
studio dell’avvocato MARZANO RENATA, che la
rappresenta e difende;
– ricorrente 2013
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contro

COND VIA FERDINANDO D’ARAGONA 177 BARLETTA, IN PERSONA
DEL SUO AMM.RE P.T. P.I.81003910726, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo
studio dell’avvocato PANARITI BENITO, rappresentato e

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Data pubblicazione: 26/06/2013

difeso dall’avvocato SPINAZZOLA FRANCESCO M.;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 877/2006 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 05/10/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MANNA;
udito l’Avvocato Marzano Renata difensore della
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avv. Spinazzola Francesco M. difensore del
controricorrente che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

‘t

udienza del 05/03/2013 dal Consigliere Dott. FELICE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Giovanna M.R. Lionetti si oppornr.ra al decreto ingiuntivo emesso dal
Tribunale di Trani, sezione distaccata di Barletta, su ricorso del condominio di
via Ferdinando D’Aragona, 177, Barletta, decreto col quale le era stato

dal 1984 al 1995, relativi a varie unità abitative. A sostegno dell’opposizione
deduceva di non essere proprietaria di tali immobili, ancora intestati ad
Antonio Centaro e ai suoi eredi, il quale aveva costruito l’edificio
condominiale su area di proprietà del padre, Matteo, di cui ella era erede, in
forza di un contratto di permuta del terreno fabbricabile con una parte degli
appartamenti che ivi sarebbero stati costruiti.
Il condominiQ. replicava che l’opponente aveva già acquistato la proprietà
degli immobili e che, in ogni caso, si era comportata quale apparente
proprietaria di essi, locandoli a terzi.
Il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo,
ritenendo tardiva la produzione della sentenza della Corte d’appello di Bari n.
356/99, che nella controversia tra la Lionetti e il Centaro aveva attribuito alla
prima la proprietà delle unità abitative cui inerivano gli oneri condominiali
controversi.
Tale pronuncia era ribaltata dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza del
5.10.2006. Riteneva la Corte territoriale che la produzione della sentenza era
da ritenersi ammissibile, sia perché avente ad oggetto un provvedimento
giurisdizionale sopravvenuto alla data (22.9.1998) di chiusura d2ristruzione
probatoria, sia in base all’interpretazione dell’art. 345 c.p.c. così come fornita
da Cass. S.U. n. 8202 e 8203 del 2005. Quindi, ricavava dalla sentenza n.
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ingiunto il pagamento della somma di lire 14.507.020 per oneri condominiali

356/99, pronunciata nella causa Lionetti/Centaro, che le unità immobiliari
erano divenute di proprietà Lionetti sin dalla loro costruzione, avvenuta negli
anni ’70 del secolo appena decorso, tant’è che già nel 1981 la stessa Lionetti
le aveva concesse in locazione. Precisava, quindi, che nel caso in esame non

materia condominiale, bensì l’effettiva titolarità degli immobili, così come
emergente dalla predetta vicenda processuale Lionctti/Centaro; e che la
circostanza che solo con detta sentenza n. 356/99 della medesima Corte
d’appello sarebbe stato possibile trascrivere l’acquisto della proprietà, non era
argomento che potesse giovare alla difesa della Lionetti, considerato il
carattere meramente dichiarativo della trascrizione stessa. Quanto
all’eccezione di prescrizione del credito azionato in via monitoria, la Corte
pugliese rilevava l’esistenza di vari atti interruttivi posti in essere dal
condominio.
Per la cassazIwle di tale sentenza ricorre Giovanna Lionetti, articolando sei
mezzi d’annullamento.
Il condominio resiste con controricorso, illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Tutti i motivi deducono, oltre a violazioni di legge, processuale o

sostanziale, anche vizi di motivazione, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3

(rectius, nel caso di norme processuali 4) e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Tuttavia, le censure veicolate ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. mancano
del necessario momento di sintesi prescritto dall’art. 366-bis c.p.c.
(applicabile ratione temporis alla fattispecie), il quale oltre ad indicare il fatto
controverso e decisivo su cui inciderebbe il vizio denunciato, deve altresì
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veniva in rilievo il principio dell’apparenza del diritto, non operante in

riassumere la parte della motivazione della sentenza impugnata asseritamente
affetta da insufficienze o da contraddizioni.
Ed infatti, questa Corte ha già avuto modo di affermare che in tema di
ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di motivazione della sentenza

tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente,
imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo
illustrando il re.,…tivo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di
esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris
rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare
immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso. Tale sintesi non si
identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 comma 1, n. 4
c.p.c., ma assume l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del
nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto
ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione
favorevole al ricorrente (così e per tutte, Cass. n. 5858/13).
Tutti i dedotti vizi motivazionali sono, pertanto, inammissibili.
2. – Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione del
divieto di mutare la domanda in appello e dell’art. 345 c.p.c.
Sul presupposto di fatto processuale che l’intero giudizio di primo grado si
sia svolto per accertare se la Lionetti fosse tenuta al pagamento degli oneri
condominiali in quanto titolare apparente delle unità abitative di riferimento,
parte ricorrente deduce sillogisticamente la conclusione che la Corte
territoriale nel rigettare l’opposizione abbia mutato la causa petendi della
domanda. Formula, quindi, il seguente quesito ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.:
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impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente

”dica la Corte Suprema se la causa prt.mdi fondata sulla titolarità apparente
della proprietà in materia di oneri condominiali sia differente ed, anzi
contrastante con la causa petendi fondata sulla titolarità effettiva del diritto
di proprietà, sempre in materia di oneri condominiali, e se sia consentito il

per la prima volta in Corte di Appello”.
2.1. – Il motivo è inammissibile.
Il quesito di diritto, prescritto dall’art.366-bis c.p.c., assolve la funzione di
collegare alla fattispecie concreta una regula iuris non solo alternativa a
quella enunciata (anche solo in via implicita) nella sentenza impugnata, ma
anche potenziahrente valevole per una pluralità di casi simili, di modo che
con un’unica operazione di logica giuridica sia affermato lo ius litigatoris ed
esercitata l’attività nomofilattica propria della Corte di cassazione. Applicato
in materia processuale, il quesito implica che siano intatti e fermi i fatti
processuali su cui deve operare il principio proposto, sicché non è dato al
ricorrente di formularlo sulla base di fatti diversi da quelli accertati nella
sentenza impugnata, o dando per presupposti fatti neppure implicitamente
affermati dal giudice di merito, senza aver dapprima attaccato e demolito
l’enunciazione dei primi ovvero dimostrato l’esistenza dei secondi.
2.1.1. – Nella specie parte ricorrente suppone, senza alcun fondamento, che
la causa petendi della domanda risieda nelle difese formulate (tal è quella
sulla titolarità apparente) e nell’istruzione probatoria svoltz, non già
nell’atto introduttivo del giudizio (cioè del ricorso per decreto ingiuntivo, che
non a caso la censura non riproduce neppure in sintesi). In particolare, è
tutt’altro che dimostrato il fatto processuale asserito, ossia che la causa
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mutamento della domanda sotto il profilo del mutamento della causa petendi

petendi della domanda consista nell’allegazione di una proprietà apparente.
Del resto, ciò equivarrebbe a sostenere che il condominio nell’agire in
giudizio abbia affermato di agire contro la Lionetti non già perché proprietaria
degli immobili, ma per essersi comportata come se lo fosse.

diritto che parte ricorrente ne fa discendere è inammissibile.
3. – Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.
101 c.p.c. Sostiene, in subordine, parte ricorrente, che la Corte territoriale, una
volta ammessa la nuova produzione, per garantire il contraddittorio avrebbe
dovuto rimettere la causa sul ruolo allo scopo di consentire alla parte appellata
di svolgere le proprie difese, anche istruttorie.
Segue il quesito: “dica la Suprema Corte se la Corte di Appello di Bari,

ritenuta ammissibile la nuova produzione avversaria in secondo grado, alla
luce del mutamento della domanda o (4’e1la nuova prospettazione della stessa,
per garantire il contraddittorio, avrebbe dovuto rimettere la causa sul ruolo
per consentire all’appellata di produrre nuovi documenti o domandare nuovi
mezzi di prova”.
3.1. – Il motivo è infondato.
In materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di
ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per
cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della
sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., non tutela
l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto
l’eliminazione dz.-: pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla
parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della
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Ne consegue che, presupposto un fatto processuale inesistente, il quesito di

sentenza impugnata si rende necessario solo allorché nel successivo giudizio
di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole
rispetto a quella cassata (Cass. nn. 3024/11 e 4340/10; nello stesso senso,
Cass. nn. 6686/10, 4435/08 e 16630/07).

processuale avrebbe subito, nel senso che non specifica in alcun modo quali
iniziative di carattere istruttorio avrebbe adottato per confutare la portata della
sentenza n. 356/9;.
Oltre a ciò, e premesso che la parte ha l’onere di svolgere tutte le proprie
attività difensive, di carattere assertivo e probatorio, prima della (e a
prescindere dalla) decisione del giudice sull’ammissibilità di nuovi mezzi di
prova, va osservato che la ricorrente non indica quale sarebbe stato l’ostacolo
di carattere processuale che le avrebbe impedito di controdedurre anche in via
istruttoria a tale produzione, prima di conoscere l’avviso espresso al riguardo
dalla Corte d’appello con la propria sentenza.
4. – Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
112 e 345 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che la sentenza impugnata,
decidendo su di una pretesa efficacia riflessa della sentenza n. 356/99
pronunciata dalla medesima Corte d’appello in altra causa, senza uno
specifico motivo d’impugnazione circa il punto decisivo della mancata prova
del passaggio in giudicato di detta sentenza, ha violato il principio di
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e quello sulla decadenza
dell’appellante dalle domande ed eccezioni.
Tale è il quesito: “Dica la Suprema Corte se la Corte di Appello di Bari,

decidendo con la sentenza n. 877/06, sulla efficacia riflessa del giudicato
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3.1.1. – Nello specifico, parte ricorrente non chiarisce quale pregiudizio

della sentenza n. _356/99 della stessa Corte — intervenuta tra gli eredi Centaro
e Giovanna Lionetti nei confronti dei condomini e del condominio, in difetto
di specifici motivi d’appello del Condominio, sulla esistenza di un giudicato e
della sua efficacia riflessa, abbia violato i principi posti dagli artt. 112 e 346

5. – Col quarto mezzo è censurata la violazione e falsa applicazione
dell’art. 2909 c.c.
Parte ricorrente lamenta che la Corte barese abbia ritenuto opponibile la
ridetta sentenza n. 356/99 addirittura prima della sua pubblicazione e già in
epoca anteriore al periodo 1984/1995, sia per un giudicato riflesso sul

decisum, sia in – conseguenza di un’autorità di mero fatto. Al contrario,
prosegue parte ricorrente, delle due l’una: o la ridetta sentenza n 356/99 era
passata in giudicato al momento della proposizione dell’appello, e allora
doveva decidersi circa la sua efficacia verso i condomini; o, diversamente,
tutte le circostanze di fatto diffusamente illustrate nella sentenza impugnata
per accertare la proprietà degli immobili in questione non ha significato
logico-giuridico.
Segue il quesito: “Dica la Suprema Corte se sia stato provato in giudizio

che si era formato il giudicato sulla sentenza n. 356/99 della Corte di Appello
di Bari, ed in caso positivo, se la stessa sentenza potesse avere efficacia nei
confronti dei condomini e del Condominio; in caso negativo, se una sentenza
emessa tra altre parti possa avere autorità di fatto nei confronti di terzi
estranei’.
6. – Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
2643 e ss. e 2652 e ss. c.c.
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c.p.c.”.

Sostiene parte ricorrente che l’unico mezzo valido per accertare la
proprietà delle unità abitative condominiali, ai fini della regolare costituzione
delle assemblee e del corretto riparto delle spese, è la trascrizione, la quale
non ha i limitati scopi indicati nella sentenza impugnata, ma svolge la

la verifica della particolare forma di comunione che è il condominio negli
edifici.
Segue il quesito: “Dica la Suprema Corte se la sentenza della Corte di

Appello di Bari n. 356/99, prima della sua trascrizione fosse opponibile agli
altri condomini dello stabile di via F. D ‘Aragona n. 1777, in Barletta, e
conseguentemente al Condominio, ai fini della partecipazione alle assemblee
condominiali e all’esercizio dei relativi diritti, e se i condomini avessero altro
mezzo, al di fuori della trascrizione, per accertare chi fosse comproprietario
effettivo delle cose comuni”.
7. – Il terzo, il quarto e il quinto motivo — da esaminare con oiuntamente
perché riferiti alla medesima questione del valore attribuito alla ridetta
sentenza n. 356/99 emessa tra la Lionetti e il Centaro — sono infondati.
7.1. – La Corte territoriale non ha affatto sostenuto che detta sentenza abbia
efficacia di giudicato anche tra la Lionetti e il condominio, tant’è che senza
prendere partito tra l’ipotesi di una sua efficacia riflessa o di una sua autorità
di mero fatto, ha valutato gli accertamenti contenuti in tale decisione e li ha
giudicati conformi “ai principi regolativi sul conseguimento della titolarità

dei beni nella permuta di cosa presente per cosa futura, quanto
all’incontestabile quadro fattuale delineato dalla sent. App. Bari n. 356/1999
e dalle decisioni giudiziali collegate e presupposte. Trattasi di quadro fattuale
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funzione di rendere tutti i diritti immobiliari pubblici ad ogni effetto, inclusa

non solo non contrastato dalla Lionetti ma confermato, sul piano logico e
circostanziale, dalle risultanze dell’inchiesta testimoniale espletata nel
presente giudizio e valorizzabile dunque ad colorandum” (pag. 8 sentenza
impugnata).

condominio di attribuire la proprietà immobiliare e di collegarvi
l’obbligazione di pagamento degli nri ,-ri condominiali, sicché, prima o in
difetto della trascrizione, la proprietà non sarebbe altrimenti dimostrabile.
In un sistema di pubblicità dichiarativa come è — incontestabilmente —
quello delineato dagli artt. 2643 e ss. c.c., la trascrizione non assolve la
funzione di rendere una data vicenda giuridica pubblica “ad ogni effetto”
(come azzardatamente si sostiene nel quinto motivo). Al contrario, la
trascrizione costituisce un presidio di certezza solo nel traffico dei diritti
immobiliari; al di fuori di tale esigenza, vale a dire nei rapporti fra soggetti
non coinvolti nella (né altrimenti interessati alla) circolazione dei diritti su di
un dato immobile, essa perde la propria funzione di strumento di tutela, con la
conseguenza chela sua effettuazione o la sua assenza né nuoce né giova.
Così come del tutto fuori luogo è il richiamo, contenuto nel quinto quesito,
al concetto di opponibilità, che esprimendo l’efficacia ultra partes di un atto,
è categoria logico-giuridica non invocabile da chi tale efficacia intenda
ricusare.
7.2.1. – Nello specifico, la Corte territoriale ha accertato la proprietà delle
unità abitative in relazione alle quali sono dovuti gli oneri sulla base della più
volte citata sentenza n. 356/99; e tale accertamento di fatto, in sé sorretto da
una motivazione sufficiente, logica e non adeguatamente attaccata dalla parte
11

7.2. – Né ha pregio l’assunto per cui solo la trascrizione consentirebbe al

ricorrente (per le ragioni premesse sopra, al § 1), è insindacabile in questa
sede di legittimità.
8. – Col sesto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.
115 c.p.c. e 2943 c.c. Sostiene parte ricorrente che non risulta che le lettere,

dell’interruzione della prescrizione, siano state prodotte anche nel giudizio
d’opposizione.
Formula, pertanto, il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se la Corte

di Appello di Bari con il generico riferimento ad atti che non risultano
prodotti, abbia violato l’art. 115 c.p.c. che impone al Giudice di porre a
fondamento della decisione le prove proposte dalle parti e abbia
erroneamente dichiarato l’interruzione della prescrizione, :-2ttando la
relativa eccezione, senza adeguata motivazione”.
8.1. – Il motivo è inammissibile.
Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della
sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di
diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di
contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si
tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di
nuovi profili di diritto compresi nel dihqttito e fondati sugli stessi elementi di
fatto dedotti (Cass. n. 4787/12).
8.1.1. – Nella specie, la censura in esame introduce una questione — la
produzione anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dei
documenti dimostrativi l’interruzione della prescrizione del diritto azionato
dal condominio — che è da qualificarsi nuova. Infatti, la relativa trattazione
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prodotte in fase monitoria, su cui la sentenza impugnata ha basato la prova

non emerge dalla sentenza impugnata, né la sua allegazione specifica è
dimostrata dalla parte ricorrente, che non indica in quale atto difensivo
l’avrebbe introdotta o mantenuta nel giudizio d’appello.
9. – In conc1iic_3(lne il ricorso va respinto.

della ricorrente.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in
2.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 5.3.2013.

10. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza

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