Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16178 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 28/07/2020), n.16178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

L.D., elettivamente domiciliato in Roma, viale di Pigna Pia

n. 32 presso lo studio dell’Avv. Emmidio Perreca rappresentato e

difeso dall’Avv. Gennaro Di Maggio, per procura in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 116/28/13 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il giorno 8 aprile

2012;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 febbraio 2020 dal relatore Cons. Crucitti Roberta.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L.D. propose ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, rilevata l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2007, rideterminò i ricavi non dichiarati, ai fini dell’IRPEF, IVA e IRAP;

la Commissione tributaria di prima istanza accolse parzialmente il ricorso ma la decisione, appellata da entrambe le parti, è stata riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania (d’ora in poi C.T.R.) la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate e rigettata quella incidentale proposta dal contribuente, ha confermato integralmente l’atto impositivo;

in particolare, la C.T.R. riteneva pienamente legittimo l’accertamento induttivo operato dall’Ufficio, originato dalla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi; di contro, riteneva che le circostanze fattuali opposte dal contribuente ‘”furto e danneggiamento della merce) e sulla base delle quali la Commissione di prima istanza aveva fondato la riduzione dell’accertato, erano in parte irrilevanti e in parte indimostrate;

avverso la sentenza L.D. propone ricorso, affidato a due motivi;

l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e censura, sostanzialmente, l’operato dell’Ufficio che gli aveva di fatto impedito di svolgere un efficace contraddittorio endoprocedimentale, non invitandolo a prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, a produrre la documentazione necessaria;

1.1 la censura è inammissibile giacchè la stessa si rivolge all’operato dell’Ufficio e neppure indica le argomentazioni con le quali la sentenza impugnato avrebbe violato o falsamente applicato la norma invocata;

1.2 secondo la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 640 del 14/01/2019), infatti, “le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità;

in particolare, poi, Cass. n. 24298 del 29/11/2016 ha, condivisibilmente, statuito che “il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata”;

2. con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omesso grame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 laddove, secondo la prospettazione difensiva, la sentenza impugnata aveva esaminato solo alcuni dei motivi esposti nel giudizio dal contribuente, omettendone integralmente l’esame di altri;

2.1 anche tale censura è inammissibile, denunciandosi con il mezzo di impugnazione, pretesi errori omissivi nella giustificazione della decisione sul fatto, con riferimento al rapporto tra motivazione della sentenza di appello e dati processuali, il che trova un duplice e assorbente ostacolo: quello della selezione dei dati offerti o comunque disponibili e quello dei limiti di controllo del giudice di legittimità sulla estensione della motivazione della decisione impugnata (cfr. Cass. 21/01/2015 n. 961);

2.2 è, infatti, oramai consolidato in giurisprudenza il principio che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed Idonee alla formazione dello stesso (Cass. 3601/2006). Inoltre, l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c. non richiede che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. E’, infatti, necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. (Cass. 520/2005). In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purchè tale valutazione risulti logicamente coerente (v. Cass. n. 961/2015 cit., in motivazione;

2.3 sotto tale profilo, dunque, l’odierna censura del ricorrente di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri. -Il che esule dai poter del giudice di legittimità;

3. dalle considerazioni che precedono consegue, quindi, l’inammissibilità del ricorso, senza pronuncia sulle spese per l’assenza di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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