Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16176 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 03/08/2016, (ud. 20/05/2016, dep. 03/08/2016), n.16176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, via De Carolis

34/b, presso l’avv. Maurizio Cecconi, rappresentato e difeso

dall’avv. Alessandro Bonni, del Foro di Livorno, per procura in

atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BIBBONA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, via Crescenzio 2, presso l’avv. Guglielmo

Fransoni, che lo rappresenta e difende, insieme con l’avv. Pasquale

Russo, per procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 115/23/11 della Commissione tributaria

regionale della Toscana, Sezione staccata di Livorno, depositata il

27 settembre 2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20

maggio 2016 dal Pres. Stefano Schirò;

udito, per il ricorrente, l’avv. Maurizio Cecconi, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e, per il controricorrente,

l’avv. Guglielmo Fransoni, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale, dott.ssa ZENO Immacolata, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 27 settembre 2011 la Commissione tributaria regionale della Toscana, Sez. Staccata di Livorno, respingeva l’appello proposto da C.F. avverso la sentenza sfavorevole della Commissione tributaria provinciale di Livorno del 7 maggio 2010, pronunciata sul ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di accertamento del Comune di Bibbona per maggiore imposta Tarsu relativa agli anni 2004-2008. Con detto avviso di accertamento l’ente impositore aveva contestato al contribuente di aver inserito i propri immobili nella categoria delle “abitazioni private” anzichè in quella dovuta di “alberghi, affittacamere, collegi, convitti, bar, ristoranti, pizzerie”.

A fondamento della decisione, la Commissione regionale osservava che:

– la scelta del contribuente di qualificare i propri immobili, adibiti a residence, come abitazioni private era stata effettuata in palese e consapevole violazione del regolamento comunale, che invece includeva nello stesso gruppo le attività alberghiere e quelle di ristorazione;

– il legislatore, nel concedere ai Comuni, attraverso la previsione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68 il necessario potere regolamentare, aveva posto limiti alla discrezionalità delle norme secondarie, in particolare per quel che concerne la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti, indicando però solo in via di massima i gruppi di attività o di utilizzazione ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, senza vincolare i Comuni ad applicare tariffe necessariamente differenziate tra i gruppi indicati, rientrando così nella discrezionalità dei Comuni la equiparazione, ai fini della tariffa da applicare, di uno o più gruppi di attività indicati;

– il Comune di Bibbona, includendo nello stesso gruppo le attività alberghiere e quelle di ristorazione, aveva compiuto una scelta, che, se non necessariamente condivisibile, non era censurabile sotto il profilo della conformità alle disposizioni di legge;

– quanto all’asserito difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, doveva ritenersi che, se l’avviso indicava chiaramente la categoria regolamentare a cui apparteneva l’immobile, non era necessario addurre specifiche motivazioni relative alla individuazione della categoria, mentre alla commissione non era consentito entrare nel merito del regolamento e delle sue singole norme.

Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione il contribuente, sulla base di due motivi e memoria, a cui resiste il Comune di Bibbona con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 68 e 69 e dell’art. 12 preleggi, deducendo che il Comune impositore aveva errato nell’aver assimilato a una vera e propria attività alberghiera quella da lui svolta, che consisteva invece nella semplice locazione di appartamenti, e nell’aver assoggettato alla medesima aliquota Tarsu, all’interno di un’unica categoria, alberghi, comprensivi dei residence per assimilazione, e bar, ristoranti e pizzerie, in violazione del criterio di omogenea potenzialità di rifiuti.

Con il secondo motivo si denuncia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la Commissione tributaria regionale affermato, senza darne spiegazione, che il Comune di Bibbona, includendo nello stesso gruppo le attività alberghiere e quelle di ristorazione, aveva compiuto una scelta non censurabile sotto il profilo della conformità alle disposizioni di legge, anche se ritenuta dallo stesso giudice di appello, con argomentazione contraddittoria, non necessariamente condivisibile. Deduce altresì.,ricorrente che il giudice di appello non avrebbe chiaramente motivato la propria affermazione, secondo cui la scelta del contribuente di inserire i propri immobili nella categoria delle civili abitazioni sarebbe avvenuta in palese violazione del regolamento comunale e degli altri deliberati adottati dal Comune in materia di Tarsu.

I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, non sono fondati.

A) Quanto all’ erronea assimilazione all’attività alberghiera di quella svolta dal C., asseritamente consistita, invece, nella semplice locazione di appartamenti, la doglianza è inammissibile, sostanziandosi in una censura di fatto non deducibile in sede di giudizio di legittimità, per giunta smentita dalle risultanze processuali, in quanto lo stesso ricorrente ha dedotto nel ricorso per cassazione che la società gestisce a fini turistico-ricettivi alcuni appartamenti in (OMISSIS) (v. f. 2 del ricorso), fornendo servizi agli ospiti del residence, quali una lavabiancheria a gettone e altri genericamente considerati come non produttivi di rifiuti in misura similare a una tipica attività alberghiera, ma non specificamente indicati, così implicitamente riconoscendo di non limitarsi a svolgere un’attività di mera locazione di semplici unità abitative.

B) Quanto alla censura rivolta alla sentenza di appello per non avere la Commissione regionale ritenuto il mancato rispetto da parte dell’ente impositore, nell’applicazione della Tarsu, del criterio di omogenea potenzialità di rifiuti, deve condividersi e ribadirsi l’orientamento già espresso da questa Corte, nel senso che “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce infatti un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore; i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d’altronde riferito alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica” (Cass. 2007/5722; conf. Cass. 2010/302; Cass. 2012/12859).

C) Il vizio di motivazione dedotto è inammissibile sotto diversi profili. In primo luogo, deve ritenersi che, in tema di ricorso per cassazione, la denunzia di omessa motivazione, formulata congiuntamente con la denunzia di motivazione insufficiente o contraddittoria, è affetta da insanabile contrasto logico, non potendo il primo di tali vizi coesistere con gli altri, in quanto, come desumibile dalla formulazione alternativa e non congiuntiva delle ipotesi in questione contemplate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, una motivazione mancante non può essere insufficiente o contraddittoria, mentre l’insufficienza e la contraddittorietà presuppongono che una motivazione, della quale appunto ci si duole, risulti comunque formulata (Cass. 2004/1317; Cass. 2011/7575). Invero l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. 2011/19443). Inoltre il vizio di motivazione prospettato cade su una questione di mero diritto (l’aver ritenuto la conformità a disposizioni di legge della inclusione nel medesimo gruppo delle attività alberghiere e di quelle di ristorazione) e non su una questione di fatto, laddove il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, giacchè – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata (Cass. S.U., 2008/28054). Inoltre, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass. 2014/21152).

La doglianza è comunque anche infondata, in quanto la Commissione tributaria regionale ha congruamente ed esaurientemente motivato la propria affermazione, rilevando che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, anche se ha indicato gruppi di attività, non ha vincolato i Comuni ad applicare tariffe necessariamente differenziate tra i gruppi indicati, con la conseguenza che rientra nella discrezionalità dei Comuni la equiparazione, ai fini della tariffa da applicare, di uno o più gruppi di attività individuati dal citato secondo comma. Non è neppure dato cogliere la dedotta contraddittorietà della motivazione, in quanto l’affermazione che la scelta del Comune può non essere necessariamente condivisibile attiene al merito della compiuta scelta discrezionale, mentre l’affermazione della sua incensurabilità attiene al diverso profilo della conformità della scelta stessa alle disposizioni di legge.

Palesemente infondata risulta infine la censura di vizio della motivazione in ordine all’affermazione del giudice di appello, secondo cui la scelta del contribuente di inserire i propri immobili nella categoria delle civili abitazioni sarebbe avvenuta in palese violazione del regolamento comunale e degli altri deliberati adottati dal Comune in materia di Tarsu. Il giudice di appello ha infatti chiaramente e condivisibilmente premesso a tale argomentazione la constatazione che il contribuente scelse di inserire i propri immobili, adibiti a residence, in una categoria, quella delle civili abitazioni, a cui non appartenevano.

Il ricorso va pertanto rigettato e le spese processuali, da liquidarsi come in motivazione, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Bibbona delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 2.000,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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