Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16175 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 13/06/2017, dep.28/06/2017),  n. 16175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25704-2012 proposto da:

AVIVA ITALIA HOLDING SPA in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA L.GO DEL TEATRO VALLE 6,

presso lo studio dell’avvocato LUCIANO FILIPPO BRACCI, rappresentato

e difeso dall’avvocato BRUNO AIUDI (avviso postale ex art. 135);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54/2012 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata il 26/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. SCARCELLA ALESSIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 54/1/12, emessa in data 26.01.2012, depositata in data 26.04.2012, la Commissione tributaria regionale delle Marche respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio controlli di Pesaro – Urbino, confermando la sentenza emessa dalla CTP di Pesaro, compensando le spese. La controversia ha ad oggetto l’impugnativa di un avviso di liquidazione n. (OMISSIS) del 30.09.2009, relativo ad imposta di registro.

2. Al fine di consentire una migliore intelligibilità dell’impugnazione, va premesso in fatto che con atto denominato “atto di ricognizione di trasferimento di titoli azionari” sottoscritto in data (OMISSIS), registrato a (OMISSIS), si faceva pubblicamente risultare che la società AVIVA ITALIA HOLDING S.p.A. aveva venduto alla Fondazione Cassa di Risparmio di Fano la piena proprietà di n. (OMISSIS) azioni ordinarie della società Banca delle Marche S.p.A.; nel predetto atto le parti contraenti dichiaravano altresì, al punto 2, che la vendita di cui sopra era stata effettuata al prezzo complessivo di Euro 27.912.620,60 e che lo stesso era stato pagato con bonifico bancario nello stesso giorno della sottoscrizione dell’atto; il notaio rogante qualificava a fini fiscali detta operazione come cessione di azioni e provvedeva al versamento, in sede di autoliquidazione, dell’imposta di registro in misura fissa, pari ad Euro 168,00, ai sensi dell’art. 11, tariffa prima parte, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986; l’Ufficio in sede di controllo dell’atto, riscontrava delle incongruenze tra la tassazione applicata ed il contenuto dell’atto medesimo, in particolare considerandolo per sua natura un atto di ricognizione di una compravendita già avvenuta precedentemente D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 21, comma 3, tassava la quietanza rilasciata nell’atto applicando la percentuale dello 0,50% sul valore dichiarato; veniva pertanto emesso il relativo avviso di liquidazione con cui si procedeva al recupero dell’imposta suppletiva D.P.R. citato, ex art. 42, per un importo complessivo pari ad Euro 139.563,00.

Avverso il predetto atto impositivo proponeva ricorso la società AVIVA, lamentando sostanzialmente l’illegittimità dello stesso per erronea motivazione, essendo del parere che l’atto in questione rientrasse tra quelli tassabili D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 11, in quanto compravendita di titoli.

3. La CTP adita respingeva il ricorso della contribuente AVIVA, in sintesi ritenendo che, in base al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, l’A.F. ai fini di applicare correttamente l’imposta non può essere vincolata soltanto dall’intestazione e dalla forma di un atto, dovendosi accertare anche la reale natura dello stesso.

4. A seguito dell’appello interposto dalla contribuente – con cui si criticava il percorso motivazionale utilizzato dai Giudici prime cure per respingere il ricorso, ribadendo che l’atto in questione andava correttamente interpretato e tassato come compravendita azioni, così come si è verificato nella realtà laddove il notaio aveva liquidato l’imposta registro in misura fissa – la CTR con la sentenza qui ricorsa confermava la decisione dei giudici di prime cure, ritenendo che, con l’atto in questione, avente la forma del rogito notarile, le parti avessero inteso dare ricognizione del contratto di compravendita di azioni anteriormente concluso affinchè ne rimanesse pubblica traccia, con la conseguenza che si trattava in sostanza di un atto meramente ricognitivo di una cessione di titoli azionari precedentemente perfezionatasi. Poichè la quietanza era stata viceversa rilasciata con l’atto notarile in questione e siccome la stessa quietanza si riferiva a disposizioni (quelle concernenti la vendita di titoli azionari) che non si palesavano contenute nel rogito notarile di ricognizione, la quietanza andava autonomamente tassata. Correttamente l’Ufficio, dunque, avrebbe recuperato l’imposta di registro in misura proporzionale (pari all’aliquota dello 0,50%) ai sensi dell’art. 6 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.

5. L’Ufficio si è costituito nei termini di legge mediante controricorso.

6. All’udienza del 13/06, presente solo l’Avv. P. Garofoli dell’Avvocatura Generale dello Stato per l’Agenzia delle Entrate, il ricorso è stato trattenuto in decisione, chiedendone la Dott.ssa I. Zeno, in rappresentanza della P.G. presso questa S.C., il rigetto.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso la società contribuente AVIVA ITALIA HOLDING S.p.A., impugnando la decisione con cui deduce cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

7.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. e correlato vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

In sintesi la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente l’affermazione, contenuta in ambedue le decisioni di merito, secondo cui per discostarsi dalla certezza legale privilegiata generata dall’intestazione dell’atto quale atto di ricognizione di trasferimento di titoli azionari, sarebbe occorso un giudicato a seguito di proposizione di querela di falso, tesa ad inficiare il contenuto dell’atto pubblico, sarebbe illegittima e viziata sotto il profilo motivazionale; l’interpretazione di un atto di autonomia privata non può esaurirsi nel come il notaio ha ritenuto di poter interpretare la volontà delle parti, traducendola in termini giuridico formali; quanto affermato dalle due Commissioni di merito si sarebbe attestato a difesa dell’errato presupposto sul valore probatorio assoluto dell’attestazione notarile, sancendo l’intangibilità del modo in cui questi ha ritenuto di intestare l’atto da lui redatto; si sarebbe trattato di un modo di procedere illegittimo, come del resto confermato in consimili ipotesi dalla giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è a Cass. 13655/2012).

7.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 21, e art. 1362 c.c., e correlato vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

In sintesi la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente, le Commissioni di merito, pur avendo correttamente richiamato la norma applicabile (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20,), non avrebbero svolto l’indagine richiesta dalla norma stessa, ossia quella di valutare l’effettivo intento perseguito dalle parti, desumendolo dal contenuto dell’atto, senza limitarsi al senso letterale delle parole, come imposto dall’art. 1362 c.c., e come invece operato dai giudici dei primi gradi; sarebbe stato invece necessario individuare l’esatto contenuto dell’atto e la sua sussumibilità nel novero di quelli previsti dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, artt. 20 e 21, dedicato agli atti che contengono più disposizioni.

In particolare, si censura, da un lato, la circostanza che i giudici di merito abbiano concentrato la propria attenzione sul fatto che nell’atto de quo le parti non “convengono e stipulano”, frasi che figurano in ogni atto pubblico di compravendita, ma, “fanno pubblicamente risultare quanto segue” con ciò a voler partecipare gli altri soggetti di un fatto già avvenuto tra le stesse parti contraenti; si sarebbe trattato di una mera formula di stile, tipica dell’atto pubblico, divenuta tuttavia l’oggetto sostanziale del medesimo, espressione peraltro contenuta nel preambolo introduttivo, destinato a fingere come premessa generale del medesimo.

In secondo luogo, si censura l’affermazione della CTR secondo cui il tempo adoperato nella stesura dell’atto è un tempo “passato” (passato prossimo) e ciò a differenza del tempo adoperato negli atti di compravendita che è incontestabilmente il “presente” in ossequio al noto principio per cui nei contratti ad effetti reali, la proprietà si trasferisce per effetto e nel momento, del consenso delle parti legittimamente manifestato; in altri termini, secondo la CTR, anche in questo caso l’uso del passato (passato prossimo) costituisce qualificante indizio circa la propedeutica esistenza di un precedente accordo di compravendita (di azioni) che, per motivi non esternati, le parti avevano già concluso; a ciò si aggiunge, secondo la CTR che, a sostegno della tesi dell’Ufficio, un ulteriore elemento è costituito dalla dichiarazione contenuta nella seconda parte dell’art. 2, comma 2, dell’atto notarile di ricognizione, con cui la società che ha venduto, così si legge: “rilascia pertanto quietanza di saldo, con dichiarazione di null’altro a pretendere per fatta vendita”, rilevando come per la prima volta nella narrativa dell’atto si adopera il tempo presente; ciò indurrebbe fortemente a ritenere che la quietanza è contenuta in un atto diverso da quello che documenta le obbligazioni cui la quietanza si riferisce; in altre parole, la quietanza enunciata nell’atto notarile ha un valore autonomo rispetto alla ricognizione operata dalle parti; si duole la contribuente in quanto tali elementi non avrebbero alcuna valenza significativa della volontà delle parti, ma rifletterebbero solo l’espressione della cultura e del modo di scrivere del notaio, ditalchè l’aver coniugato i verbi che descrivono l’oggetto del contratto al passato piuttosto che al presente rientrerebbe a pieno titolo in questo personale e caratteristico ambito rappresentativo, quale espediente retorico attuato nella piena consapevolezza che l’azione descritta si svolge in un tempo diverso rispetto a quello in cui si volge il contesto principale di riferimento; si tratterebbe di una regola completamente trascurata dalla CTR che, peraltro, trascurerebbe deliberatamente l’impostazione grammaticale dell’intero atto, non tenendo conto che il verbo al presente viene di nuovo utilizzato agli artt. 3, 4 e 5 dell’atto; in altri termini, conclusivamente, se la regola sulla coniugazione dei verbi fosse stata estesa a tutto il contratto, nella sua globalità, e non solo alle due espressioni sopra riferite, quella sull’acquisto delle azioni e quella sulla quietanza, sarebbe emersa la propensione del notaio ad una livellazione semantica del valore dei tempi, donde la predetta regola non era un indice significativo cui ancorare l’esegesi del contenuto essenziale dell’atto.

7.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c., e correlato vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

In sintesi la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente, la CTR aveva preso in considerazione due circostanze di fatto che la contribuente aveva allegato a sostegno della domanda; pur non essendovi alcun rilievo, da un lato, sul fatto che il pagamento del prezzo non costituisce elemento essenziale di un contratto, così come, dall’altro, sul fato che il trasferimento dei titoli azionari non necessita dell’atto pubblico, ciò non significherebbe, tuttavia, per la ricorrente che possa affermarsi che le predette circostanze siano estranee al contratto stesso e che esse non rilevino nemmeno per stabilire quando il contratto può ritenersi concluso; se è ben vero che l’art. 1325 c.c., non pone il pagamento del corrispettivo tra i requisiti essenziali del contratto, ciò tuttavia non osta a che il pagamento del medesimo non possa far parte della proposta, così condizionandone il momento in cui il contratto può dirsi concluso; la CTR avrebbe peraltro svalutato, da un lato, il fatto che si trattava di contratto intervenuto tra enti con personalità giuridica nel cui oggetto sociale non rientrava la compravendita di titoli azionari, donde per potersi dire che le trattative si erano concluse, occorreva che tanto la proposta quanto l’accettazione seguissero determinate forme; dall’altro, si sarebbe svalutato il fatto che il rappresentante di AVIVA era intervenuto nell’atto di compravendita con procura speciale autenticata il 5.08.2009, procura rilasciata dalla società venditrice affinchè il rappresentante così nominato avesse a vendere in nome e per conto della società mandante le azioni della Banca delle Marche S.p.A.; inoltre, se il contratto si era concluso il medesimo giorno del rogito, esattamente qualche minuto prima della sua sottoscrizione, risulterebbe difficile comprendere se non con la prevenzione di giudizio e con la manifestazione contraddizione logica, i successivi passaggi delle sentenze; ancora, si osserva come se la procura AVIVA era stata rilasciata per vendere ciò che era stato poi venduto effettivamente, una precedente e diversa vendita rispetto a quella oggetto dell’atto di cui si discute sarebbe dovuta avvenire sulla base di altra e diversa procura, posto che con la medesima il contratto si era concluso esattamente con il rogito per il cui contenuto si controverte; infine, vi sarebbe assoluto silenzio nelle sentenze di merito circa le trattative intercorse tra le parti, non facendosi riferimento alla racc.ta 29.07.2009 con cui era stata comunicata dalla Fondazione Cassa di Risparmio alla AVIVA l’interesse ad acquistare le azioni, come alla comunicazione a mezzo fax del 3.08.2009 con cui quest’ultima manifestava la disponibilità a vendere le azioni e alla coeva comunicazione a mezzo fax con cui la Fondazione fissava il per il 6.08.2009 l’appuntamento per la conclusione delle trattative e la stipula della compravendita; se la CTR si fosse soffermata sulle predette circostanze, sarebbe emerso che il rogito di cui si discute sebbene intestato come “atto di ricognizione” altro non rappresentava se non l’atto conclusivo delle trattative in precedenza avviate.

7.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 21, nonchè degli artt. 1363, 1376, 1378, 2355 e 2022 c.c., e correlato vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

In sintesi la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente, i giudici di merito avrebbero fatto riferimento espresso al fatto che il contratto intercorso tra le parti avesse effetti reali, così richiamando l’art. 1376 c.c.; a tal proposito, si rileva come gli artt. 4 e 5 del rogito che escludono la natura ricognitiva dell’atto, poichè se ciò fosse stato vero, il contratto non avrebbe dovuto fare alcuna menzione al trasferimento del diritto di proprietà delle azioni o al massimo avrebbe dovuto farne cenno come di un effetto già avvenuto in altro contesto; diversamente, la circostanza che il contratto ne abbia fatto espresso riferimento utilizzando il tempo indicativo presente, stabilendo che gli effetti decorrono dalla data odierna e che la banca emittente sarebbe stata autorizzata ad annotare nel libro soci l’avvenuta cessione, altro non poteva significare che detti effetti tipici del contratto reale, si stavano verificando proprio in quel momento e, dunque, in conseguenza del consenso delle parti legittimamente manifestato ex art. 1376 c.c.; inoltre, trattandosi di azioni nominative, la Fondazione avrebbe acquisito la qualità di socio solo a motivo dell’iscrizione del proprio nominativo nel libro soci, sicchè avrebbe potuto far risultare la qualità di socio di Banca delle Marche S.p.A. solo in seguito a tale iscrizione, effettuata sulla base dell’atto notarile; se così non fosse stato, ove il notaio avesse in precedenza autenticato la girata dei titoli azionari ex art. 2355 c.c., comma 3, la girataria Fondazione CDR non avrebbe avuto bisogno di altro per farsi iscrivere nel registro soci di Banca della Marche S.p.A.; avendo optato per una forma diversa dalla girata dei titoli azionari, altro non significava che il contratto di vendita di detti titoli era divenuto perfetto in tutti i suoi elementi costitutivi, e, quindi, attesa la natura consensuale del contratto di cessione di azioni di società, solo a seguito del rogito notarile in cui tale consenso era stato raggiunto; solo a seguito di ciò del resto le parti avevano potuto procedere nella fase esecutiva, certificativa e pubblicitaria del trasferimento, donde il rogito non poteva ridursi a mera ricognizione di un precedente atto di vendita.

7.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1378 c.c., e correlato vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

In sintesi la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente, avrebbero errato i giudici di merito nell’affermare che la quietanza enunciata nell’atto notarile avesse un valore autonomo rispetto alla ricognizione operata dalle parti, non rilevando la circostanza che dal rogito risultasse il pagamento del prezzo in data pari a quella dello stesso rogito dal momento che il pagamento del prezzo convenuto (ovvero le sue modalità) non costituisce elemento essenziale del contratto di compravendita, di talchè questo non può rappresentare indice indiscusso di un contestuale passaggio di proprietà; poichè nel rogito si attesta che l’atto è stato sottoscritto alla 11.45 e poichè non è pensabile che il compito del notaio si fosse esaurito nella sottoscrizione dell’atto ma che sia stato preceduto da atti necessariamente prodromici (dalla identificazione delle parti, alla verifica dei poteri, etc.) sarebbe logico affermare che il bonifico bancario a saldo della compravendita, avvenuto due minuti prima della sottoscrizione, fosse in effetti sigillo del raggiungimento dell’accordo, intervenuto nel corso della redazione di tale atto; ne conseguirebbe che l’affermazione secondo cui la CTR sarebbe fortemente indotta a ritenere che la quietanza è contenuta in un atto diverso da quello che documenta le obbligazioni cui la quietanza si riferisce (ossia, in altre parole, che la quietanza enunciata nell’atto notarile ha un valore autonomo rispetto alla ricognizione operata dalle parti), sarebbe non solo frutto di un’arbitraria ed immotivata illazione, ma si paleserebbe contrario al principio della buona fede ex art. 1366 c.c., principio che deve essere seguito anche in fase di interpretazione giudiziale; inoltre, se l’atto notarile si fosse ridotto a quietanzare l’avvenuto pagamento, ci si sarebbe trovati di fronte ad un atto irrilevante ed inutile, in quanto prova già contenuta nell’atto laddove si attesta che il prezzo delle azioni era stato pagato con il bonifico bancario fatto in pari data, sicchè, a fronte di tale tenore dell’atto, null’altro avrebbe dovuto certificare la AVIVA nei confronti della Fondazione per attestare di aver riscosso il correlato credito; di questo elementare principio di economicità, la CTR non avrebbe tenuto però conto.

8. L’Ufficio, in sede di controricorso, ha chiesto dichiararsi inammissibile o infondato il ricorso, deducendo quanto segue sui motivi proposti dalla contribuente.

8.1. Anzitutto, quanto al primo motivo, se ne chiede l’inammissibilità in quanto volto a censurare una ratio decidendi diversa da quella sottesa dalla decisione impugnata; la contribuente avrebbe equivocato il senso della motivazione della sentenza, in particolare laddove afferma che il notaio abbia attribuito la definizione di atto di ricognizione è contestabile solo con querela di falso, sottolineando poi che la qualificazione “atto di ricognizione” attribuita all’atto rogato dallo stesso notaio aveva importanza determinante per ricostruire la natura del negozio; la contribuente avrebbe invece equivocato il senso della motivazione, separando arbitrariamente il passo della stessa dal successivo sviluppo, in cui la CTR, dopo avere enunciato l’importanza del fatto che il notaio steso abbia qualificato l’atto come ricognizione e non come compravendita, illustra nei dettagli gli elementi testuali del negozio deponenti in tal senso; difetterebbe pertanto l’interesse processuale, non scalfendo il rilievo la decisione della CTR.

8.2. Quanto al secondo motivo, se ne chiede il rigetto perchè infondato, in quanto il D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 21, sono norme antielusive, le quali consentono all’Ufficio di ricercare un’intrinseca natura del negozio difforme dal titolo o dalla forma apparente, ma non impongono certo di ravvisarla qualora non vi sia; in altri termini, le norme citate non impongono di individuare necessariamente una natura intrinseca dell’atto diversa dal suo titolo o dall’espressione formale, quando tale natura occulta non vi sia; nella specie, i giudici di merito, all’esito di un’argomentata analisi dei fatti e dell’atto, hanno ritenuto che il titolo corrispondesse alla reale natura dell’atto, ossia un atto di ricognizione; la contribuente si sarebbe limitata a contrappore alle argomentazioni dei giudici di merito proprie valutazioni su elementi di fato, finendo per formulare una richiesta di riesame del merito della lite non consentita in questa sede di legittimità.

8.3. Quanto al terzo ed al quarto motivo, congiuntamente esaminati in sede di controricorso, se ne chiede l’inammissibilità, anzitutto perchè il terzo motivo sarebbe inammissibile in quanto tende a censurare indistintamente sia violazioni di norma di diritto dell’art. 360 c.p.c., ex n. 3, che vizi di motivazione dell’art. 360 c.p.c., ex n. 5, così contravvenendo alla regola di chiarezza che presiede alla formulazione del ricorso per cassazione; in ogni caso entrambi i motivi sarebbero inammissibili poichè attraverso gli stessi la contribuente tenta di proporre argomentazioni di merito che non possono trovare accesso in sede di legittimità; in ogni caso, sarebbero comunque manifestamente infondate le doglianze con detti motivi sollevate; da un lato, le circostanze dedotte come non valutate dai giudici di merito (ossia che il pagamento del prezzo fosse avvenuto nella stessa data del rogito e che la procura rilasciata al L. in rappresentanza di AVIVA fosse stata formalizzata il giorno antecedente alla data del rogito) non sarebbero dirimenti, in quanto le parti ben avrebbero potuto raggiungere l’accorso nella stessa data, ma prima della stipula del rogito; dall’altro, come affermato dai giudici di merito, il pagamento non costituisce elemento essenziale del contratto di compravendita, sicchè questo non può rappresentare indice indiscusso di contestuale passaggio di proprietà, essendo anzi il pagamento del prezzo un’obbligazione che nasce a seguito della stipula del contratto di compravendita in capo al compratore ex art. 1498 c.c., dunque di norma successivamente al verificarsi del trasferimento della proprietà; quanto alla procura, la stessa era necessaria per la redazione dell’atto pubblico redigendo, quale che ne fosse il contenuto negoziale, mentre la cessione delle azioni, ossia dei titoli di credito, non necessitava certo la forma dell’atto pubblico per perfezionarsi; nè, si osserva, rileva la corrispondenza intercorsa in precedenza tra le parti, in quanto dall’esame emerge che tutti gli elementi dell’accordo erano già stati definiti in precedenza, non significando tutto ciò che l’atto in questione non avesse natura ricognitiva; sarebbe invece decisivo il fatto che le parti abbiano deciso di chiedere al notaio non di ricevere le rispettive dichiarazioni di vendere ed acquistare le azioni, ma semplicemente di redigere un atto con cui si operasse una ricognizione della già avvenuta cessione dei titoli, donde questa è l’atto che andava tassato, secondo la sua propria natura ricognitiva; quest’ultima natura non può essere disconosciuta sol perchè nella corrispondenza intercorsa si era parlato di stipula del contratto di vendita da effettuarsi il 6.08.2009, in quanto le parti nell’ambito della propria autonomia negoziale hanno deciso di non far rivestire della forma pubblica il contratto di cessione dei titoli, ma la mera ricognizione, successiva e distinta, dalla cessione vera e propria, ciò che era consentito dall’ordinamento che non richiede la forma pubblica del negozio di cessione dei titoli; una volta esercitata tale opzione, le parti devono pertanto sottostare alle conseguenze fiscali che ne derivano, ossia la tassazione autonoma della quietanza, in quanto inserita in un atto in cui non sono contenute le disposizioni relative alla cessione del bene cui è connesso il pagamento D.P.R. n. 131 del 1986. ex art. 21, comma 3.

8.4. Quanto al quinto motivo, se ne chiede l’inammissibilità, in quanto si sottopone a critica una ratio decidendi ipotizzata difforme da quella sottesa in realtà nella decisione, con conseguente difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., alla decisione; in particolare, si osserva, in nessuna parte della sentenza della CTR si afferma che l’atto notarile sarebbe stato redatto al solo scopo di quietanzare il pagamento; la CTR avrebbe diversamente affermato che con l’atto in questione le parti hanno inteso dare ricognizione del contratto di compravendita di azioni anteriormente concluso affinchè ne rimanesse pubblica traccia, donde il suo valore ricognitivo dell’atto di cessione antecedentemente perfezionatosi; la CTR aggiunge poi che la quietanza sarebbe stata rilasciata successivamente con l’atto notarile e siccome la stessa quietanza si riferisce a disposizioni concernenti i titoli azionari non contenute nel rogito notarile, detta quietanza andava autonomamente tassata.

9. Il ricorso dev’essere rigettato.

10. Ed invero, quanto al primo ed al quinto motivo – che attesa l’omogeneità dei profili di doglianza ad essi sottesa meritano congiunta trattazione -, colgono nel segno le osservazioni della difesa Erariale, laddove se ne chiede l’inammissibilità in quanto volti a censurare una ratio decidendi diversa da quella sottesa dalla decisione impugnata.

Effettivamente, quanto al primo motivo, la contribuente equivoca il senso della motivazione della sentenza. La CTR afferma infatti che “analizzando attentamente il contenuto dell’atto in questione, trattasi di “Atto di ricognizione di trasferimento di titoli azionari” rogato in data 06/08/2009 dal Dott. Ce.Al., Notaio di Fano, emerge la effettiva corrispondenza del contenuto dell’atto al titolo del medesimo: l’atto è in effetti un “Atto di ricognizione di trasferimento di titoli azionari””. Prosegue la sentenza specificando che “il rogito in questione è pur sempre qualificato quale “Atto di ricognizione di trasferimento di titoli azionari” e non “Atto di compravendita”. Se è vero che ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, l’imposta (di registro) è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, è altrettanto vero che l’intestazione di un rogito notarile, qual è quello in questione, comporta un riconoscimento indubbio del dettato letterale impiegato dal notaio rogante al momento di qualificare l’atto medesimo”. La conclusione è quindi, per i giudici della CTR che “avendo il Notaio rogante intestato l’atto quale “Atto di ricognizione di trasferimento di titoli azionari”, la parte deve attribuire all’atto medesimo il valore giuridico derivante dalla qualificazione imposta dallo stesso Notaio rogante a meno di non ottenere, come sostengono i Giudici di prime cure, un giudicato a seguito di proposizione della querela di falso tesa appunto ad inficiare il contenuto dell’atto pubblico”. Ed allora, è evidente che la contribuente ha equivocato il senso della motivazione, separando arbitrariamente un passo della stessa dal successivo sviluppo, in cui la CTR, dopo avere enunciato l’importanza del fatto che il notaio stesso abbia qualificato l’atto come ricognizione e non come compravendita, si sofferma ad illustrare nei dettagli gli elementi testuali del negozio deponenti in tal senso.

Allo stesso modo, quanto al quinto motivo, si sottopone a critica una ratio decidendi ipotizzata difforme da quella sottesa in realtà nella decisione, con conseguente difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., alla decisione. Effettivamente, nella sentenza della CTR qui impugnata non si afferma che l’atto notarile sarebbe stato redatto al solo scopo di quietanzare il pagamento. La CTR ha invece affermato (v. pag. 5) che “la quietanza è contenuta in un atto diverso da quello che documenta le obbligazioni cui la quietanza si riferisce; in altre parole, la quietanza enunciata nell’atto notarile ha un valore autonomo rispetto alla ricognizione operata dalle parti”. Sempre alle pagg. 5/6 della sentenza, si aggiunge testualmente che “anche questo Collegio ritiene fondatamente che con l’atto in questione, avente la forma del rogito notarile, le parti hanno inteso dare ricognizione del contratto di compravendita di azioni anteriormente concluso affinchè ne rimanesse pubblica traccia. Trattasi in sostanza di un atto meramente ricognitivo di una cessione di titoli azionari precedentemente perfezionatasi. La quietanza è stata viceversa rilasciata con l’atto notarile in questione e siccome la stessa quietanza si riferisce a disposizioni (quelle concernenti la vendita di titoli azionari) che, come innanzi detto, non si palesano contenute nel rogito notarile di ricognizione, la quietanza va autonomamente tassata”.

Difetta pertanto l’interesse processuale ex art. 100 c.p.c., non scalfendo il rilievo la decisione della CTR, trovando applicazione il consolidato principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui il ricorrente non ha un interesse giuridico a censurare l’interpretazione data dal giudice di merito ad una determinata questione della causa, allorchè tale interpretazione non abbia minimamente influito sulla ratio decidendi della sentenza (Sez. 1, Sentenza n. 1179 del 30/05/1967, Rv. 327633 – 01).

11. Parimenti inammissibili sono il secondo ed il terzo motivo.

Ed infatti, quanto al secondo motivo, se è ben vero che in tema di determinazione dell’imposta di registro, in caso di pluralità di atti non contestuali va attribuita preminenza, in applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20 alla causa reale dell’operazione economica rispetto alle forme negoziali adoperate dalle parti, sicchè, ai fini della individuazione del corretto trattamento fiscale, è possibile valutare, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali (Sez. 5, Sentenza n. 6405 del 19/03/2014, Rv. 630589 – 01), è tuttavia altrettanto indubbio che sia la CTP che la CTR, all’esito di un’argomentata analisi dei fatti e dell’atto notarile, hanno ritenuto che il titolo corrispondesse alla reale natura dell’atto, ossia un atto di ricognizione. Diversamente, la contribuente si è limitata a contrapporre alle argomentazioni dei giudici di merito proprie valutazioni su elementi di fato, finendo per formulare una richiesta di riesame del merito della lite non consentita in questa sede di legittimità. Ne discende che il ricorso per cassazione è inammissibile atteso che con lo stesso il ricorrente non lamenta che il giudice abbia omesso di valutare elementi a sè favorevoli (motivazione insufficiente), ovvero che abbia adottato una motivazione illogica, ma prospetta che il giudice avrebbe omesso di ricercare l’effettivo intento delle parti che avrebbe dovuto invece individuare in adesione alle valutazioni di fatto della società, in sostanza dolendosi del fatto che gli elementi valutati dal giudice erano suscettibili di una diversa lettura, conforme alle proprie attese e deduzioni, pur prospettando apparentemente un presunto vizio di violazione di legge (D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 21; art. 1362 c.c.).

Quanto, poi al terzo motivo, è evidente come mediante gli stessi la contribuente tenta di proporre argomentazioni di merito che non possono trovare accesso in sede di legittimità.

12. In ogni caso, correttamente la difesa erariale evidenzia come le stesse doglianze sollevate al terzo (come quelle sollevate in relazione al quarto motivo) risultano comunque infondate.

Effettivamente, si osserva, le circostanze dedotte come non valutate dai giudici di merito (ossia che il pagamento del prezzo fosse avvenuto nella stessa data del rogito e che la procura rilasciata al L. in rappresentanza di AVIVA fosse stata formalizzata il giorno antecedente alla data del rogito) non sono dirimenti, in quanto le parti ben avrebbero potuto raggiungere l’accordo nella stessa data, ma prima della stipula del rogito. A ciò va aggiunto, come affermato dai giudici di merito, che il pagamento non costituisce elemento essenziale del contratto di compravendita, sicchè questo non può rappresentare indice indiscusso di contestuale passaggio di proprietà, essendo anzi il pagamento del prezzo un’obbligazione che nasce a seguito della stipula del contratto di compravendita in capo al compratore ex art. 1498 c.c., dunque di norma successivamente al verificarsi del trasferimento della proprietà.

Quanto poi alla questione della procura, effettivamente, come rileva la CTR, la stessa era necessaria per la redazione dell’atto pubblico redigendo, quale che ne fosse il contenuto negoziale, mentre la cessione delle azioni, ossia dei titoli di credito, non necessitava certo la forma dell’atto pubblico per perfezionarsi. Allo stesso modo, assume rilievo la corrispondenza intercorsa in precedenza tra le parti, in quanto dall’esame emerge che tutti gli elementi dell’accordo erano già stati definiti in precedenza, non significando tutto ciò che l’atto in questione non avesse natura ricognitiva: è invece decisivo il fatto che le parti abbiano deciso di chiedere al notaio non di ricevere le rispettive dichiarazioni di vendere ed acquistare le azioni, ma semplicemente di redigere un atto con cui si operava una ricognizione della già avvenuta cessione dei titoli, donde correttamente questo era l’atto che andava tassato, secondo la sua propria natura ricognitiva. Correttamente pertanto la difesa Erariale rileva come detta natura ricognitiva non poteva essere disconosciuta sol perchè nella corrispondenza intercorsa si era parlato di stipula del contratto di vendita da effettuarsi il 6.08.2009, in quanto le parti nell’ambito della propria autonomia negoziale in realtà avevano deciso di non far rivestire della forma pubblica il contratto di cessione dei titoli, ma la mera ricognizione, successiva e distinta, dalla cessione vera e propria, ciò che era consentito dall’ordinamento che non richiede la forma pubblica del negozio di cessione dei titoli. Una volta esercitata tale opzione, le parti pertanto dovevano sottostare alle conseguenze fiscali che ne erano derivate, ossia alla tassazione autonoma della quietanza, in quanto inserita in un atto in cui non risultavano essere contenute le disposizioni relative alla cessione del bene cui è connesso il pagamento D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 21, comma 3.

13. Deve, da ultimo, richiamarsi lo specifico precedente giurisprudenziale, rappresentato dalla recente sentenza pronunciata da questa Corte in identica fattispecie tra le stesse parti (Sez. V, sentenza n. 8796 del 2017 – ud. 9.03.2017 – dep. 5.04.2017, non massimata), che assume valenza dirimente della questione. Questa Corte, in particolare, con riferimento alla vicenda sottoposta al suo esame con la predetta decisione, così motiva: “La valutazione di sintesi resa dalla commissione tributaria regionale – secondo cui l’atto in questione produrrebbe effetti giuridici non rispondenti al contratto di cessione azionaria, perchè di mera ricognizione di un contratto di compravendita di azioni anteriormente concluso – non può dunque dirsi illogica nè incongruamente motivata. Tanto più considerato che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, lo scopo dell’atto non era unicamente limitato a dare quietanza dell’avvenuto pagamento; estendendosi altresì alla pubblica ed ufficiale esternazione del fatto che la cessione azionaria era, tra le parti, precedentemente intercorsa nelle modalità indicate (sebbene nella forma libera consentita dall’ordinamento). Nè doveva apparire essenziale, ai fini di causa, individuare le ragioni di tale opzione, posto che l’art. 20 cit. non tanto a quest’ultimo elemento, di natura volitiva, si riferisce, quanto ai requisiti della natura intrinseca e degli effetti giuridici dell’atto, così come obiettivamente rilevabili in sede di applicazione di una tipica “imposta d’atto” qual è quella di registro. Da tutto ciò discende anche la correttezza in diritto della decisione qui censurata, circa l’effettiva debenza dell’imposta suppletiva (0,50% del valore dichiarato) richiesta con l’avviso di liquidazione opposto; ciò in osservanza dell’art. 6 della tariffa prima parte D.P.R. n. 131 del 1986, e del D.P.R. cit., art. 21, comma 3, vertendosi nella specie di quietanza non rilasciata nello stesso atto contenente le disposizioni negoziali alle quali essa si riferisce”.

Trattasi di considerazioni del tutto condivise da questo Collegio che vanno pertanto ribadite anche nel presente giudizio.

14. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, il ricorso della contribuente dev’essere rigettato, con conseguente conferma integrale dell’impugnata sentenza.

15. Alla soccombenza deve seguire la condanna della contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che vengono liquidate come da dispositivo, in base ai parametri disciplinati dal D.M. n. 55 del 2014, recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 comma 6”, nella misura di Euro 7.000,00 per compensi in ragione del valore della causa (pari ad Euro 139.563,00), oltre spese prenotate a debito.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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