Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16174 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 28/07/2020), n.16174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11102/14 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

D.T.M., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al

ricorso, dall’avv. Giuseppe Fausto Di Pede, con domicilio eletto

presso lo studio dell’avv. Maria Bruna Chito, in Roma, viale Regina

Margherita, n. 290;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Basilicata n. 154/1/13 depositata in data 26 aprile 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 febbraio

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate notificava a D.T.M., esercente attività di commercio di autoveicoli usati, avviso di accertamento con il quale, contestando l’indebito utilizzo del regime del margine su cessioni effettuate, procedeva al recupero a tassazione di maggiore imponibile ai fini IRPEF, IRAP e I.V.A. per l’anno d’imposta 2003.

Avverso tale atto proponeva ricorso il contribuente eccependo nullità dello stesso per mancata sottoscrizione del Direttore dell’Agenzia delle entrate e per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, poichè l’anno 2003 era già stato oggetto di precedente accertamento e non sussistevano elementi idonei a giustificare un accertamento integrativo.

La Commissione tributaria provinciale di Matera accoglieva il ricorso e avverso tale decisione proponeva tempestivo appello l’Ufficio, rilevando che aveva legittimamente proceduto alla determinazione di nuovi redditi per il medesimo anno d’imposta e che il precedente accertamento era stato impugnato; il contribuente depositava copia della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Chieti in data 19 ottobre 2010.

La Commissione regionale della Basilicata, con la sentenza in epigrafe indicata, rigettava l’appello dell’Ufficio. Osservava, in particolare, che la decisione di primo grado dava atto dell’iter logico seguito per pervenire alla decisione e che apparivano pretestuose le ragioni addotte per giustificare l’emissione del nuovo avviso di accertamento, in quanto l’Ufficio ben avrebbe potuto esercitare il potere di autotutela, revocare il precedente atto ed emetterne uno completo di tutti gli accertamenti; aggiungeva che, essendo stata accertata in sede penale l’insussistenza del fatto addebitato alla ditta C., con la quale il contribuente aveva intrattenuto rapporti, veniva meno anche la presunzione che il Trani fosse a conoscenza di una situazione di fatto mai esistita, ossia che le autovetture dovessero essere assoggettate al regime del margine.

Avverso la sentenza d’appello ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, con due motivi, cui resiste il contribuente con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la difesa erariale, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, censura la decisione impugnata laddove la C.T.R. afferma che “appaiono pretestuose le ragioni addotte dall’ufficio per giustificare l’emissione del nuovo avviso di accertamento…”. Precisa che è sempre possibile per l’Amministrazione finanziaria, in pendenza del termine fissato dai citati artt. 43 e 57, agire in via di autotutela, ossia annullare un precedente atto illegittimo e sostituirlo con uno nuovo, immune da vizi; di contro, il potere di accertamento integrativo presuppone che, al verificarsi della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Ufficio, si proceda ad emanare un nuovo atto impositivo che integra e modifica l’avviso di accertamento originariamente adottato senza annullarlo. Nel caso di specie, l’operato dell’Amministrazione è del tutto legittimo e rientra in tale seconda ipotesi, in quanto il secondo accertamento ha comportato una rivalutazione nuova del volume d’affari del contribuente e l’applicazione di una diversa aliquota di imposta; i nuovi elementi sono scaturiti dal processo verbale della Guardia di Finanza, notificato in data 2 aprile 2008, e da altro verbale in esso richiamato relativo a violazioni poste in essere da altri soggetti coinvolti nel commercio di autovetture provenienti dall’estero; il nuovo avviso di accertamento è, quindi, scaturito dalla sopravvenuta conoscenza e conoscibilità di nuovi elementi fattuali emersi successivamente alla notifica del primo avviso di accertamento risalente al 2006.

2. In controricorso il contribuente ha preliminarmente eccepito la improcedibilità del ricorso per violazione dell’art. 369 c.p.c., per omessa allegazione degli atti processuali e dei documenti sui quali lo stesso si fonda, nonchè l’inammissibilità dello stesso per violazione dell’art. 366 c.p.c., per difetto di autosufficienza.

Le eccezioni sollevate non sono fondate. Quanto alla prima, va rilevato che la parte ricorrente, in ragione dell’indisponibilità del fascicolo di parte, che resta acquisito, D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 25, comma 2, al fascicolo d’ufficio del processo svoltosi davanti alla Commissione tributaria, non è tenuta ad un nuovo onere di produzione documentale (Cass., sez. U, 3 novembre 2011, n. 22726), risultando a tal fine sufficiente la richiesta di trasmissione, ex art. 369 c.p.c., comma 3, del fascicolo alla segreteria della Commissione tributaria regionale.

Ciò, tuttavia, non esonera la parte dal diverso onere previsto, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 6, che richiede “la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda”, con l’indicazione dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della loro produzione nei gradi di merito (Cass. n. 22726 del 2011, cit.; Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 18 novembre 2015, n. 23575).

Nella specie, il ricorso contiene specifici riferimenti al contenuto dei documenti in esso richiamati e, peraltro, è incontestato tra le parti che, a seguito di una prima verifica eseguita nel 2004, sono stati eseguiti ulteriori controlli incrociati da parte della Guardia di Finanza, dai quali è emerso che l’odierno contribuente aveva acquistato otto autovetture usate dalla ditta C.S. auto import export di C.S., che aveva emesso fatture con la dicitura “operazione soggetta al regime del margine D.L. n. 41 del 1995 ex art. 36”, sicchè deve ritenersi rispettato anche il principio dell’autosufficienza.

3. Tanto premesso, il motivo è fondato.

3.1. Occorre richiamare l’orientamento di questa Corte che distingue il potere di accertamento integrativo dall’atto di autotutela. Il primo ha per presupposto un atto, ossia l’avviso originariamente adottato, che continua ad esistere e non viene sostituito da un nuovo avviso di accertamento, il quale, ricorrendo la conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Ufficio, integra e modifica l’oggetto ed il contenuto dell’originario atto al fine di integrare l’oggetto dell’imposta, pur conservando ciascun atto la propria autonomia ed efficacia. L’atto di autotutela, invece, presuppone un precedente atto di accertamento che è viziato e lo sostituisce con innovazioni che possono investire i diversi elementi strutturali dell’atto, quali l’oggetto ed il contenuto, avendo come scopo la eliminazione dal mondo giuridico del precedente e la sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato (Cass. 22 febbraio 2002, n. 25, Cass. 7 luglio 2009, n. 15874; Cass. 3 febbraio 2010, n. 2424).

3.2. Emerge dalla sentenza e dalle stesse affermazioni delle parti che nel caso che ci occupa l’Amministrazione finanziaria ha inteso emettere un secondo avviso di accertamento avente natura integrativa di quello precedentemente adottato nel 2006, avendo proceduto ad una nuova rideterminazione del reddito d’impresa originariamente accertato, cosicchè non si verte in ipotesi di esercizio di potere di autotutela.

La Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione della norma denunciata che imponeva di verificare se sussistessero i presupposti per l’integrazione o modificazione in aumento del primo avviso di accertamento. Infatti, il presupposto per l’integrazione o modificazione in aumento dell’avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi, è costituito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, dal dato oggettivo che gli elementi posti a base del nuovo atto siano nuovi, il che non ricorre in presenza di diversa, o più approfondita, valutazione del materiale probatorio già acquisito dall’ufficio, dovendosi ritenere che con l’emissione dell’avviso di rettifica l’Amministrazione consuma il proprio potere di accertamento in relazione agli elementi posti a sua disposizione (Cass. n. 10526 del 8/5/2006).

In forza di tale principio, si è ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso ai sensi dell’art. 43 sulla base di dati già conosciuti da un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’avviso di accertamento iniziale al momento dell’adozione di esso (Css. n. 11507 del 12/5/2006; Cass. n. 576 del 15/1/2016; Cass., sez. 6-5, ordinanza n. 1542 del 22/1/2018), ma non quando si tratti di diversa o più approfondita valutazione del materiale probatorio già in precedenza acquisito dall’Ufficio (Cass., sez. 5, n. 8029 del 3/4/2013).

Tali principi si giustificano se si considera che la tendenziale unitarietà dell’avviso di accertamento, desumibile proprio dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comporta che è ammissibile il frazionamento dell’accertamento in caso di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, ma che non è, invece, consentito all’Ufficio sostituire un primo atto di accertamento con altro successivo sulla base dei medesimi elementi diversamente valutati (Cass., sez. 5, n. 11421 del 3/6/2015; Cass., sez. 5, n. 26279 del 20/12/2016).

La decisione impugnata deve, quindi, essere cassata sul punto.

4. Con il secondo motivo la parte ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20 e dell’art. 116 c.p.c., nella parte in cui i giudici di appello affermano che la sentenza di assoluzione emessa in sede penale nei confronti del C., titolare della ditta C.S. auto import export di C.S., faccia venire meno la presunzione che il contribuente fosse a conoscenza della circostanza che le autovetture non dovessero essere assoggettate al regime del margine; deduce, al riguardo, che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, ma deve in ogni caso verificarne la rilevanza.

Il motivo è fondato.

La sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass., sez. 5, ordinanza n. 17258 del 27/06/2019; Cass. n. 10578 del 22/5/2015).

La Commissione regionale era dunque tenuta a valutare specificamente, ancorchè al fine della formazione del proprio libero convincimento, la sentenza penale assolutoria pronunciata nei confronti del titolare dell’impresa C.S. auto import export di C.S., mentre ne ha omesso totalmente l’esame, limitandosi a desumere che l’assoluzione in sede penale fosse di per sè sufficiente a far ritenere insussistente la presunzione di conoscenza della frode carosello in capo al contribuente.

5. Il ricorso va dunque accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, per nuovo esame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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