Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16174 del 08/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 08/07/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 08/07/2010), n.16174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 30058/2008 proposto da:

GARINDO SRL, in persona del proprio Presidente del Consiglio di

amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34, presso lo studio

dell’avvocato RUGGIERI Francesco, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RUGGIERI GIANFRANCO, giusta procura speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

e contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 148/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA del 20/09/07, depositata il 23/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. La società Garindo s.r.l. propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e della banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (concessionaria per la riscossione tributi, che è rimasta intimata) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella di pagamento per Iva concernente l’anno 1990, la C.T.R. Lazio confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della contribuente.

2. Il primo motivo (col quale si deduce violazione e/o falsa nonchè omessa applicazione della L. n. 156 del 2005, art. 1, comma 5 bis, per non avere i giudici d’appello rilevato nella specie la decadenza dal potere impositivo della P.A., evidenziando che i giudici della C.T.R., pur in mancanza di uno specifico motivo di gravame sul punto, avrebbero dovuto annullare la cartella opposta per tardività della sua notificazione, essendo intervenuta nelle more del giudizio di appello la normativa sopra citata, da ritenersi applicabile anche ai processi ancora sub iudice) è inammissibile innanzitutto per novità della questione. E’ in particolare da rilevare che la ritenuta applicabilità di una determinata normativa ai processi in corso significa solo che, ove la questione controversa nel processo in corso risulti disciplinata dalla normativa sopravvenuta, questa sarà applicabile, ma non comporta certo lo stravolgimento delle regole processuali, della natura tendenzialmente dispositiva del processo tributario e del carattere devolutivo dell’appello al punto da consentire al giudice di decidere su di una questione non oggetto di impugnazione e per giunta in materia (intervenuta decadenza) sottratta al rilievo officioso del giudice, come affermato dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità, secondo la quale la decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio di un potere nei confronti del contribuente, in quanto stabilita in favore e nell’interesse esclusivo di quest’ultimo in materia di diritti da esso disponibili, configura un’eccezione in senso proprio che, in sede giudiziale, deve essere dedotta dal contribuente, non potendo essere rilevata d’ufficio dal giudice (v. Cass. n. 18019 del 2007).

In particolare, se è vero che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, convertito con modificazioni nella L. n. 156 del 2005, (dando seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 280 del 2005, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, nella parte in cui non prevedeva un termine di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alle imposte liquidate del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis) ha fissato, al comma 5 bis, i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, ed ha stabilito all’art. 5 ter, sostituendo il comma 2 del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 36, che per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, per le dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con una norma, di chiaro ed inequivoco valore transitorio, che trova applicazione, come tale, non solo alle situazioni tributarie, anteriori alla sua entrata in vigore, pendenti presso 1 ‘ente impositore, ma anche a quelle ancora “sub iudice” (v. tra le altre case. n. 1435 del 2006) è anche vero che per rapporti giuridici ancora sub iudice, e cioè non esauriti, devono intendersi i rapporti nell’ambito dei quali non siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza per l’esercizio dei relativi diritti e per i quali non si sia formato il giudicato (v. in proposito anche la giurisprudenza in materia di efficacia della declaratoria di illegittimità costituzionale, tra le altre Cass. n. 1661 del 2005), mentre nella specie, pur non essendo intervenuto giudicato, la parte non è più nei termini per far valere un’eccezione di decadenza, senza che in contrario rilevi il fatto (evidenziato in memoria) che al momento del ricorso la norma invocata non esisteva neppure.

Il motivo sarebbe in ogni caso inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per omessa specifica indicazione degli atti e documenti (dichiarazione dei redditi, cartella di pagamento con relativa notifica) sui quali esso è fondato e della relativa sede processuale (come previsto dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità), nonchè improcedibile ex art. 369 c.p.c., n. 4, per omesso deposito, unitamente al ricorso, dei suddetti atti e documenti. In proposito, deve rilevarsi che il suddetto onere di deposito non può ritenersi adempiuto con la mera richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, col deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga), se esso non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c., e se nel ricorso non si specifichi che il fascicolo è stato prodotto, indicando la sede in cui il documento è rinvenibile (v. S.U. n. 28547 del 2008 e tra le altre Cass. n. 24940 del 2009 nonchè n. 303 del 2010 e, da ultimo, SU n. 7161 del 2010), essendo appena il caso di aggiungere che il suddetto onere di deposito si applica anche nel processo tributario, non ostandovi il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 25, comma 2, per il quale “i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo”, in quanto la stessa norma prevede, di seguito, che “le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio”, con la conseguenza che non è ravvisabile alcun impedimento all’assolvimento dell’onere predetto, potendo la parte provvedere al loro deposito anche mediante la produzione in copia, alla quale l’art. 2712 cod. civ., attribuisce lo stesso valore ed efficacia probatoria dell’originale, salvo che la sua conformità non sia contestata dalla parte contro cui è prodotta (v. tra le altre Cass. n. 24940 del 2009).

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

impedimento all’assolvimento dell’onere predetto, potendo la parte

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 900,00 di cui Euro 800,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2010

 

 

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