Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16173 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. un., 25/07/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 25/07/2011), n.16173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente Sezione –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6698/2011 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato TOBIA RENATO, che lo

rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la decisione n. 149/2010 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 25/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato Renato TOBIA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decisione in data 25.2/25.10.2010, il CNF ha respinto l’appello dell’avv. R.S. avverso la decisione del COA di Roma con cui gli era stata inflitta la sanzione disciplinare della cancellazione dall’Albo, siccome ritenuto colpevole di aver sistematicamente adottato il metodo di iscrivere di volta in volta al R. G. delle cause civili presso il Giudice di pace di Roma, sin dal settembre 1988 e fino al 2003, a breve distanza di tempo, la medesima causa, prevalentemente mediante la leggera alterazione dei cognomi delle parti, ma in alcuni casi anche reiterandoli correttamente, così indebitamente determinando l’automatica assegnazione della medesima controversia a giudici diversi e la conseguente possibilità di scegliere il giudice stesso in aperta, sistematica, grave violazione dei doveri di correttezza, lealtà e probità cui deve ispirarsi la professione forense.

Onde commettere i fatti suddetti, necessariamente l’incolpato depositava al registro generale, con il fascicolo di causa, atti di citazione, corredati da mandati alle liti autenticati recanti nominativi diversi da quelli di volta in volta dichiarati ovvero alterati rispetto all’originale rilascio, ovvero apocrifi.

Osservava quel collegio che l’incolpato aveva sostanzialmente ammesso gli addebiti ascrittigli e che la giustificazione fornita (l’aver agito a tutela degli interessi dei propri assistiti, evitando loro le valutazioni di giudici ritenuti meno benevoli di altri nell’applicazione dei criteri di valutazione del danno) non poteva essere presa in considerazione, in quanto l’interesse del cliente deve essere perseguito con mezzi leciti.

Le doglianze afferenti alle lamentate lacune istruttorie poi non avevano pregio a fronte del riconoscimento della commissione dell’illecito; era da considerarsi poi superflua l’indicazione della norma deontologica violata a fronte della dettagliata specificazione del comportamento posto a base dell’incolpazione, di violazione dei principi generali di probità, correttezza e lealtà che regolano l’attività forense,cosa questa che aveva permesso una completa esplicazione del diritto di difesa.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi, l’avv. R.; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta nullità del procedimento e violazione di legge per carenza di motivazione su punti decisivi della controversia; ci si duole del fatto che il procedimento sia pervenuto a dibattimento senza che fosse portata a termine l’istruttoria deliberata dal Consigliere istruttore.

In particolare, si lamenta la mancanza agli atti delle copie dei fascicoli e di qualsiasi notizia relativa allo svolgimento dei giudizi ed all’esito degli stessi. Sarebbe poi omessa la motivazione circa la valutazione del comportamento del R., che aveva ammesso i fatti.

Mancherebbe altresì la prova di danni provocati a terzi, sicchè si prospetta l’ipotesi del “tentativo”.

Il mezzo non ha pregio; l’effettuazione di una istruttoria, a fronte della complete ammissioni dell’incolpato sarebbe risultata superflua ed ultronea, non necessitando elementi di prova ulteriori per accertare i fatti ascritti al R.. Non può, nella presente fattispecie, spiegare rilievo alcuno l’avvenuta ammissione dei fatti da parte dell’incolpato e ciò in ragione della natura documentale degli addebiti mossi, che trovavano quindi pieno riscontro cartaceo.

Ciò che è stato sanzionato è il compimento del comportamento ascritto al R., non le conseguenze di esso, che ove accertate come produttive di danno, avrebbero costituito altra fonte di responsabilità disciplinare.

Appare poi del tutto incongruo ed inconferente l’accenno all’ipotesi delittuosa del tentativo, del tutto avulsa dalla tematica che ne occupa. Il primo motivo deve essere pertanto respinto.

Con il secondo mezzo si lamenta mancata ragionevolezza dell’iter logico della motivazione: ci si duole in particolare, in ragione degli elementi già posti in luce a proposito del primo mezzo, della mancanza di un riscontro probatorio adeguato e dell’applicazione di una sanzione ritenuta esagerata, come aveva rilevato anche il P.G. nel giudizio intercorso di fronte al CNF. Per quanto riguarda l’aspetto istruttorio, ci si deve necessariamente riportare alla considerazioni già svolte con riguardo al mezzo testè esaminato.

Relativamente alla misura della sanzione irrogata, che è la più grave, può rilevarsi che la condotta posta in essere dall’incolpato è risultata particolarmente callida e tale da portare discredito alla Giustizia nel suo complesso, con sistematica (si tratta di oltre cento episodi intercorsi) violazione dei doveri di probità, lealtà e correttezza che dovrebbero informare di se la professione forense.

In ragione di tanto, la sanzione irrogata appare congrua e commisurata alla gravità dell’illecito perpetrato.

Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento; è appena il caso di aggiungere che la richiesta di sospensione dell’esecuzione della decisione impugnata, atteso l’esito del presente giudizio, risulta assorbita.

Non v’ha luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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