Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16168 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. un., 25/07/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 25/07/2011), n.16168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13143/2010 proposto da:

IPOST – ISTITUTO POSTELEGRAFONICI, in persona del Commissario

Straordinario pro tempore, elettivamente 416 domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ROGGIA

Massimo, che lo rappresenta e difende, per delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

T.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARCONI

15, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO D’AMBROSIO, rappresentata

e difesa dall’avvocato LUCCHETTI Dino, per delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2109/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato Massimo BOGGIA;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Latina, decidendo sulla domanda proposta nei confronti di IPOST -Istituto Postelegrafonici – da T. N., ex dipendente di Poste Italiane, collocata in pensione il 1 luglio 1999, domanda avente ad oggetto l’applicazione del beneficio di cui alla L. n. 336 del 1970, art. 2, comma 2 (che, per gli orfani di guerra, prevede al momento del collocamento a riposo la promozione alla qualifica immediatamente superiore), condannava l’istituto convenuto a riconoscere alla ricorrente la qualifica di Q2 ai sensi della norma sopra citata, con adeguamento delle erogazioni future ancora da versare e integrazione di quelle arretrate.

La Corte d’appello di Roma, decidendo sul gravame proposto da IPOST avverso la sentenza di prime cure, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, rientrando la materia nella giurisdizione della Corte dei conti, con riferimento alla domanda avente ad oggetto il riconoscimento del beneficio sopra indicato ai fini della condanna al pagamento delle conseguenti differenze sul trattamento di pensione. Rigettava ne resto il gravame riconoscendo la giurisdizione del giudice ordinario in tema di ricalcolo dell’indennità di buonuscita corredamene riconosciuta in primo grado.

Sotto il primo profilo, premesso che la L. n. 71 del 1994 – che ha trasformato l’amministrazione postale in ente pubblico economico prima e in società per azioni poi – ha affidato alla cognizione del giudice ordinario solo le controversie concernenti il rapporto di lavoro di diritto privato, senza modificare le preesistenti regole di riparto della giurisdizione per quanto riguarda le questioni relative al trattamento pensionistico, ha affermato che relativamente alla domanda avente ad oggetto il trattamento di pensione, priva di riflessi sul rapporto di lavoro essendo stata proposta da un dipendente in quiescenza delle poste italiane, sussisteva la giurisdizione della Corte dei conti.

Per quanto riguarda il profilo concernente il ricalcolo dell’indennità di buonuscita, premesso che, ai sensi del c.c.n.l. 26 novembre 1994, il personale dipendente di Poste Italiane era stato raggruppato in diverse aree (area di base, area operativa e area quadri di primo e secondo livello), e premesso altresì che la lavoratrice al termine del rapporto di lavoro era inquadrata nell’area operativa, osservava che correttamente alla stessa era stato riconosciuto l’inquadramento nell’area quadri di secondo livello, in applicazione del beneficio di cui alla L. n. 336 del 1970, art. 2, in quanto tale inquadramento doveva considerarsi immediatamente superiore a quello già posseduto. Osservava in proposito che l’interpretazione autentica del citato art. 2, contenuta nella L. n. 824 del 1971, art. 3, non era di ostacolo alla suddetta interpretazione atteso che tale norma non impediva il passaggio da un’area all’altra.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’IPOST affidato a due motivi. T.N. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale.

La causa è stata fissata innanzi a queste Sezioni Unite in considerazione del fatto che il primo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale pongono una questione di giurisdizione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

Col primo motivo del ricorso principale l’IPOST denuncia vizio di omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento al mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’istituto stesso con riferimento alla domanda oggetto del giudizio. Sotto altro profilo deduce l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti. Richiama, a sostegno delle proprie tesi, una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. S.U. 15 gennaio 2010 n. 528) secondo la quale la domanda del dipendente di Poste Italiane con la quale viene chiesta la concessione, all’atto de collocamento a riposo, della qualifica superiore quale beneficio combattentistico ai sensi della L. n. 336 del 1970, art. 2, comma 2, non è devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti ma a quella del giudice ordinario, atteso che detto beneficio, pur comportando un più favorevole trattamento pensionistico, ha diretta incidenza sul rapporto di lavoro. Con la stessa sentenza è stata esclusa la legittimazione passiva dell’istituto, spettando la stessa al datore di lavoro.

Col secondo motivo l’Istituto ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 336 del 1970, art. 2, comma 2, e della L. n. 824 del 1971, art. 3, oltre che del c.c.n.l.

26 novembre 1994. Deduce, in particolare, che la corte di merito avrebbe errato nel riconoscere il diritto della lavoratrice all’inquadramento nella qualifica immediatamente superiore a quella attribuitole al momento della cessazione del rapporto di lavoro, e cioè la qualifica di quadro di secondo livello. Ciò in quanto, con la creazione, da parte della contrattazione collettiva, di aree di natura funzionale, ciascuna indipendente dall’altra, non sarebbe più possibile l’attribuzione della qualifica o classe di stipendio immediatamente superiore a quella posseduta in quanto incompatibile col nuovo sistema.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale la T. lamenta l’erroneità della decisione nella parte in cui ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la giurisdizione della Corte dei conti sulla domanda di riconoscimento del beneficio ai fini della condanna al pagamento delle differenze economiche concernenti il trattamento pensionistico.

Il primo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale meritano di essere esaminati congiuntamente attesa la stretta connessione fra le questioni di legittimazione passiva e quelle attinenti alla giurisdizione (queste ultime comuni ad entrambi i motivi).

Deve premettersi che, ai sensi dell’art. 386 cod. proc. civ., la giurisdizione si determina dall’oggetto della domanda secondo il criterio del petitum sostanziale, ossia dello specifico oggetto e della reale natura della controversia, da identificarsi non soltanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma soprattutto in funzione della causa petendi, costituita da contenuto della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuabile in relazione alla sostanziale protezione accordata, in astratto, dall’ordinamento alla posizione medesima, senza che a tal fine possa assumere rilievo la prospettazione della parte (cfr., in particolare, Cass. S.U. 4 gennaio 2007 n. 14).

Alla stregua di tale criterio, si deve osservare che la domanda introduttiva del giudizio di merito, proposta in epoca successiva alla data del collocamento a riposo della ricorrente, risulta, in uno dei suoi capi, specificamente diretta al riconoscimento di un trattamento pensionistico calcolato sulla base di una qualifica (e sul corrispondente livello di retribuzione) superiore rispetto a quella cui era stata commisurata l’originaria liquidazione del trattamento pensionistico, riconoscimento al quale l’interessata assume di aver diritto in applicazione della L. n. 336 del 1970, art. 2, comma 2. La situazione giuridica soggettiva fatta valere con il suindicato capo di domanda riguarda, dunque, esclusivamente la prestazione pensionistica e la sua quantificazione.

Le Sezioni unite della Corte hanno, con orientamento costante, stabilito che la controversia proposta da un dipendente in quiescenza delle Poste Italiane S.p.A. (prima Ente Poste Italiane) che abbia direttamente ad oggetto il trattamento di pensione, senza alcun riflesso sul rapporto di lavoro già risolto, appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti, atteso che la L. n. 71 del 1994 – che ha trasformato l’amministrazione postale in ente pubblico economico – ha affidato alla cognizione del giudice ordinario solo le controversie concernenti il rapporto di lavoro di diritto privato con detto ente, senza modificare le preesistenti regole di riparto della giurisdizione per quanto riguarda le questioni relative al trattamento pensionistico (cfr., in particolare, Cass. S.U. 4 gennaio 2007 n. 14; Cass. S.U. 28 luglio 2004 n. 14171). Sulla base di tale orientamento, che deve essere pienamente ribadito, deve essere pertanto confermata la giurisdizione della Corte dei conti.

Altrettanto infondata è la censura basata sull’assunto del difetto di legittimazione passiva dell’IPOST. Ed infatti, come sottolineato dalla già citata Cass. S.U. 4 gennaio 2007 n. 14, il D.L. 1 dicembre 1993, n. 487, art. 6, comma 7, convertito nella L. 29 gennaio 1994, n. 71 dispone che “a decorrere dal 1 agosto 1994, al trattamento di quiescenza di tutto il personale in servizio presso l’ente Poste Italiane provvede, all’atto del collocamento a riposo o delle dimissioni e salvi i diritti acquisiti, l’Istituto Postelegrafonici, applicando le norme previste per il personale statale”. Tale norma è stata interpretata univocamente nel senso che l’IPOST provvede sia al trattamento pensionistico che a quello concernente l’indennità di buonuscita dovuti ai dipendenti postali cessati dal servizio, come nel caso di specie, dopo il 1 agosto 1994; e tale competenza dell’IPOST è rimasta anche per i dipendenti postali in servizio alla data del 28 febbraio 1998 allorchè è cessato il regime giuridico dell’indennità di buonuscita ed è divenuto applicabile quello del trattamento di fine rapporto previsto dall’art. 2120 cod. civ. (cfr., in particolare, Cass. 6 agosto 2009 n. 17987 la quale ha infatti precisato che in tale ipotesi la buonuscita maturata al 28 febbraio 1998 e calcolata secondo te regole proprie dell’istituto diventa una componente de trattamento di fine rapporto, perdendo la sua originaria natura previdenziale per assumere quella di credito di lavoro, ancorchè la discrezionalità del legislatore sia stata esercitata nel senso di sostituire all’effettivo debitore (anche) del t.f.r. (e cioè il soggetto datore di lavoro) l’IPOST. Sussiste pertanto la legittimazione passiva dell’IPOST in subjecta materia.

Nè giova alla tesi dell’Istituto ricorrente (sia con riferimento alla giurisdizione che alla legittimazione passiva) invocare il principio di diritto enunciato da Cass. S.U. 15 gennaio 2010 n. 528 secondo cui “la domanda con la quale il dipendente delle Poste Italiane s.p.a. chieda la concessione, all’atto del collocamento a riposo, della qualifica superiore quale beneficio combattentistico della L. n. 336 del 1970, ex art. 2, comma 2, non è devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti ma a quella del giudice ordinano, poichè il detto beneficio, pur comportando un più favorevole trattamento pensionistico, ha diretta incidenza sul rapporto di lavoro. Per lo stesso motivo, va altresì esclusa la legittimazione passiva dell’IPOST (Istituto postelegrafonico), spettando la stessa solo al soggetto datore di lavoro”. Nella fattispecie esaminata dalla Sezioni Unite nella sentenza sopra citata, infatti, la domanda di riconoscimento del beneficio era stata proposta dal dipendente (a differenza del caso oggetto del presente giudizio) prima della cessazione dal servizio e quindi aveva una diretta incidenza sul rapporto di lavoro. Di qui la legittimazione passiva del datore di lavoro e la giurisdizione del giudice ordinario.

Anche il secondo motivo del ricorso principale deve essere rigettato.

Esso è incentrato sulla disciplina dettata dalla L. 9 ottobre 1971, n. 824, art. 3, commi 1 e 2, che, integrando la L. n. 336 del 1970, art. 2, ha precisato (al comma 1) che per qualifica o classe di stipendio immediatamente superiore a quella posseduta “si intende quella eventualmente conferibile in relazione alla carriera di appartenenza, quale prevista dall’ordinamento generale della carriera stessa e dai contratti collettivi di lavoro, ai sensi delle leggi vigenti e indipendentemente dal sistema di conferimento”, e (al secondo comma) che “negli ordinamenti nei quali sia prevista la distinzione del personale in dirigenti, funzionar’, impiegati e subalterni, per carriera di appartenenza si intende quella che si articola nei gradi conseguibili in ciascuno degli indicati gruppi”.

Ad avviso dell’Istituto ricorrente la normativa sopra richiamata deve essere interpretata nel senso che il beneficio del riconoscimento della qualifica o classe di stipendio immediatamente superiore di cui alla L. n. 336 del 1970, art. 2, comma 2, opera nel limitato ambito dell’area di appartenenza la quale, nell’assetto previsto dal c.c.n.l. del 1994, è pienamente autonoma rispetto alle altre; tale beneficio non può pertanto essere applicato nel senso dell’attribuzione dell’inquadramento in un’area diversa immediatamente superiore.

Tale tesi deve essere rigettata in coerenza con quanto deciso da queste Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 528 del 2010 sopra citata) in una fattispecie sostanzialmente analoga (la domanda, concernente l’applicazione del beneficio di cui alla L. n. 336 del 1970, art. 2, comma 2, era stata proposta da un dipendente delle poste ex combattente inquadrato nel livello più alto dell’area operativa ed il suo accoglimento aveva determinato il passaggio dell’interessato dall’area operativa all’area quadri). Le Sezioni Unite hanno deciso in favore della tesi del lavoratore valorizzando, in particolare, il rilievo che la qualifica superiore veniva conferita, nel quadro dei benefici previsti a favore degli ex combattenti ed assimilati, all’atto della cessazione del rapporto ed ai soli fini economici. In questo quadro la previsione contrattuale delle aree non doveva considerarsi decisiva ai fini della sussistenza del diritto al beneficio in esame. La sentenza sopra citata conferma, del resto, la validità di un orientamento già espresso dalle stesse Sezioni Unite (Cass. S.U. 5 dicembre 1994 n. 10432) e dalla Sezione lavoro di questa Corte (cfr., ad esempio Cass. 27 gennaio 2006 n. 1739; Cass. 21 gennaio 1994 n. 565), che, nel contesto dell’attribuzione del beneficio in esame ha ritenuto irrilevante il sistema previsto per il conferimento in servizio della categoria superiore posto che tale conferimento avviene ai soli effetti economici del calcolo dell’indennità di buonuscita e della pensione. In particolare, la giurisprudenza da ultimo citata ha precisato che non costituiva elemento ostativo alla sussistenza del diritto al beneficio neanche il fatto che ciò implicava il passaggio all’area quadri.

In definitiva, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con dichiarazione della giurisdizione della Corte dei conti con riferimento alla domanda concernente la determinazione del trattamento pensionistico.

In applicazione del criterio della soccombenza l’Istituto ricorrente principale viene condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, da distrarsi a favore dell’avv. Dino Lucchetti dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; dichiara la giurisdizione della Corte dei conti sulla domanda concernente la determinazione del trattamento pensionistico; condanna l’IPOST al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 3000,00 (tremila) per onorari e oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., da distrarsi a favore dell’avv. Dino Lucchetti dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 16 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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