Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16166 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 28/07/2020), n.16166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19342/2013 R.G. proposto da:

R.A., rappresentato e difeso, per procura speciale in atti,

dagli Avv.ti Tufano Sabato ed Graziani Antonio Filippo, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via

Adige, n. 69;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– resistente –

e contro

EQUITALIA SUD s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, difesa e rappresentata, per procura speciale in atti,

dall’Avv. Di Maggio Gennaro, con domicilio eletto presso lo studio

dell’Avv. Perreca Emilio in Roma, via Adolfo Gandiglio, n. 27;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 187/39/12, depositata in data 13 giugno 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio

2020 dal consigliere Dott. Cataldi Michele.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. R.A. ha impugnato, dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Napoli, le cartelle di pagamento, in materia di Iva ed Irap, relative agli anni d’imposta 2001, 2002, 2003, 2004 e 2005.

2. Avverso la sentenza dell’adita CTP, che ha rigettato il suo ricorso, il contribuente ha proposto appello, che la Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza n. 187/39/12, depositata in data 13 giugno 2012, ha rigettato.

3. Contro la sentenza d’appello ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, il contribuente.

4. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

5. La concessionaria Equitalia Sud si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Giova premettere (anche ad esplicitare ulteriormente le conseguenze immediate della mancanza, nel ricorso, di una sufficiente sommaria esposizione dei fatti di causa, della quale infra si dirà) che le modalità di redazione del ricorso rendono difficoltosa la stessa univoca individuazione dei singoli motivi d’impugnazione, atteso che, sotto la rubrica “Motivi del gravame”, vengono innanzitutto elencati: “A) Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, u.p., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, rilevando che erroneamente la Commissione tributaria Centrale aveva ritenuta valida la notifica della cartella esattoriale non motivando la nullità della cartella per la sola irritualità della notifica dell’atto presupposto (primo motivo); omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. per aver la Commissione centrale omesso di statuire su specifiche censure mosse alla sentenza di seconde cure in relazione ai dedotti vizi-“;

“B) violazione art. 148 c.p.c., e art. 48 disp. att. c.p.c., incompletezza dell’avviso della raccomandata-della notificazione contestata e della mancata notifica del verbale di accertamento.”.

Segue poi, dopo diverse pagine, la seguente frase, che, pur non preceduta da alcuna indicazione che ne evidenzi l’appartenenza, come voce “C)”, all’elencazione di cui alle pagine precedenti, pare voler proporre un ulteriore motivo:

“Insufficiente inesistente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, avendo i giudici tributari non motivato la tesi del contribuente circa la mancata notifica dell’avviso di accertamento al socio di fatto della società occulta. Violazione diritto alla difesa ex art. 24 Cost. e art. 53 Cost. Violazione del litisconsorzio necessario.”.

2.11 ricorso è inammissibile.

Infatti l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dispone, per quanto qui interessa, che il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, ” l’esposizione sommaria dei fatti della causa”.

Nel caso di specie, il ricorso è totalmente carente in ordine all’esposizione, almeno sommaria, dei fatti di causa, atteso che nulla dice sia in ordine al contenuto specifico delle plurime cartelle di pagamento originariamente impugnate, all’individuazione degli atti da ciascuna di esse eventualmente presupposti ed all’oggetto di questi ultimi; sia rispetto alle censure specifiche proposte dal contribuente, con il ricorso introduttivo, contro ognuna di tali cartelle; sia riguardo le ragioni della decisione di primo grado, della quale menziona esclusivamente il dispositivo; sia relativamente ai motivi d’appello riproposti dal medesimo contribuente di fronte alla CTR; sia, infine, riguardo alle difese erariali e della concessionaria nei gradi di merito, oltre che rispetto alle ragioni poste dall’Amministrazione a fondamento delle pretese di cui a ciascun avviso.

A tali omissioni si aggiunge poi, nel corpo dello stesso ricorso, il reiterato riferimento alla pretesa erroneità della pronuncia della ” Commissione tributaria centrale”, relativa a “specifiche censure mosse alla sentenza di seconde cure”, che costituisce un incomprensibile riferimento a circostanze processuali non coerenti con la stessa ricostruzione, pur minima ed insufficiente, dei fatti pregressi prospettata dal medesimo ricorrente.

Come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare (Cass. 13/11/2018, n. 29093), i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza.

Ed anche se non è indispensabile che l’esposizione sommaria dei fatti di causa costituisca parte a sè stante del ricorso, è comunque necessario che essa risulti in maniera chiara almeno dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi (Cass. 28/06/2018, n. 17036), in modo sufficiente ad assolvere la funzione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda (Cass. 04/10/2018, n. 24340), e quindi di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti (cfr. Sez. U., 10/09/2019, n. 22575, sulla necessità dell’esposizione sommaria anche in materia di regolamento di giurisdizione, ” sia pure in funzione della sola questione di giurisdizione da decidere”).

Nel caso di specie, per le ragioni già esposte, il ricorso contiene un’esposizione sommaria dei fatti di causa, tanto processuali che sostanziali, gravemente deficitaria ed ulteriormente compromessa dal riferimento a vicende processuali incoerenti con il suo stesso contenuto. Pertanto, tale atto non è in grado di porre, di per sè solo, questa Corte nella condizione di acquisire la conoscenza, neppure sommaria, della fattispecie controversa.

3.A tale complessiva inammissibilità del ricorso si aggiunge, ad abundantiam, quella che vizia i singoli motivi che esso ospita.

3.1. Inammissibile è infatti il motivo distinto come “A)”, nel quale il ricorrente interseca, in maniera inestricabile, la denuncia di una pretesa violazione di legge con quella di un assunto vizio della motivazione (peraltro neppure correlato ad un fatto specifico controverso e decisivo, come prescritto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, vigente ratione temporis) e di un’asserita omessa pronuncia, peraltro della “Commissione centrale” e non del giudice a quo).

La lettura dell’intero corpo del relativo mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che comporta un’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).

Pertanto, il predetto motivo cumula censure non distinte dallo stesso ricorrente e comunque non autonomamente individuabili senza un’inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.

3.2. Inammissibile, per le medesime ragioni, è pure il motivo distinto come “B)”, nel quale il ricorrente sembra configurare una violazione di legge rispetto alle norme richiamate, sebbene nel corpo del motivo configuri un’omessa pronuncia ed un’immotivata decisione, sempre della “Commissione centrale” e non del giudice a quo.

Inoltre, lo stesso motivo non consente di individuare in concreto l’oggetto (o gli oggetti) ed il contenuto delle censure genericamente riferite alle notifiche; nè, al suo interno, il ricorrente trascrive (o indica di aver prodotto, precisando in quale fase e grado del giudizio di merito), atti relativi alle notifiche che avrebbe inteso censurare.

3.3. Quanto poi al terzo motivo, come sopra individuato, anch’esso è inammissibile perchè prospetta un vizio motivazionale (“insufficiente inesistente motivazione su punto decisivo della controversia”) non correlato ad un fatto specifico controverso e decisivo, come prescritto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, vigente ratione temporis; intrinsecamente contraddittorio (non può logicamente assumersi insufficiente la motivazione che si afferma contemporaneamente inesistente); e comunque genericamente riferito alla “tesi del contribuente”, non al giudizio in fatto della CTR.

3.4. Infine, la già rilevata grave carenza dell’esposizione dei fatti di causa, in ordine alla fattispecie sostanziale controversa, e l’insufficienza del generico riferimento, nel corpo del ricorso, alla “società irregolare Della Torre”, non consentono di apprezzare i presupposti sui quali dovrebbe innestarsi il preteso litisconsorzio necessario del quale il ricorrente lamenta (invero in maniera astratta, con una serie di argomentazioni e citazioni giurisprudenziali che non riconnette specificamente al caso concreto controverso) la pretesa violazione.

3.5. Fermo restando quanto sinora rilevato in termini di insanabile inammissibilità del ricorso, giova precisare, ulteriormente ad abundantiam, che neppure le affermazioni meramente astratte del ricorrente trovano conferma nella giurisprudenza di questa Corte, posto che ” In tema di riscossione delle imposte nei confronti delle società di persone, è legittima la notifica ai soci della cartella di pagamento, anche in difetto di previa notifica agli stessi dell’avviso di accertamento, non determinandosi alcuna compressione del diritto di difesa, stante la possibilità, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di impugnare, unitamente alla cartella di pagamento, anche tutti gli atti presupposti eventualmente non notificati, facendo valere vizi propri di quelli.” (Cass. 25/05/2018, n. 13113; cfr., nello stesso senso, Cass. 24/07/2019, n. 19982, in materia di associazione sportiva non riconosciuta, e Cass. 22/12/2014, n. 27189, in tema di avviso di mora per obbligazione tributaria di una società in nome collettivo). Non è quindi condivisibile, quanto meno nei termini assolutamente generici ed apodittici nei quali è stata formulata, l’affermazione, contenuta nel ricorso, secondo cui il ricorrente, con l’impugnazione della cartella, a causa della mancata o viziata notifica nei suoi confronti degli accertamenti presupposti, “non ha potuto chiedere la riapertura dell’esame del merito della debenza dell’obbligazione tributaria”, perchè gli “è stato praticamente impedito di impugnare il titolo”.

Ed anzi, proprio tali affermazioni del ricorrente, che suppongono la limitazione dell’oggetto (comunque rimasto indeterminato nell’esposizione del ricorso) della sua impugnazione della cartella alla sola mancata o viziata notifica degli accertamenti presupposti, non evidenziano alcun ulteriore aspetto controverso, nel giudizio di merito, che possa giustificare la necessità del litisconsorzio genericamente evocata nel ricorso.

6.Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla sulle spese rispetto alla resistente Agenzia, che non ha svolto difese.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Equitalia Sud s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 24.570,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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