Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16166 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 09/06/2021), n.16166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14567/2015 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI DONNA

OLIMPIA 6, presso lo studio dell’avvocato MICHELE PETRELLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO PIPARO;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

MAZZINI 4, presso lo studio dell’avvocato ALDO PINTO, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANTONIO GUIDA;

CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA, ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI

CAMPOBASSO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGRI n. 1, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO NAPPI, rappresentata e difesa dall’avvocato

NICOLA MANCINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 359/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 12/12/2014 R.G.N. 256/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, visto D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma

8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n.

176, ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza in data 12 dicembre 2014 n. 359 la Corte d’Appello di Campobasso dichiarava estinto il giudizio promosso da P.M. nei confronti della CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA, ARTIGIANATO ED AGRICOLTURA di CAMPOBASSO (in prosieguo: CAMERA DI COMMERCIO) nonchè di S.G. in proprio – nella qualità di segretario generale della CAMERA DI COMMERCIO – per il risarcimento dei danni derivati dalla ritardata assunzione nonchè da condotte di demansionamento successive alla costituzione del rapporto di lavoro.

2. La Corte territoriale esponeva che il giudizio di primo grado -instaurato dal P. con atto di citazione notificato il 27 giugno 2001 – era stato sospeso a seguito del regolamento preventivo di giurisdizione proposto dalla CAMERA DI COMMERCIO, definito con ordinanza n. 4591 del 2.3.2006, dichiarativa della giurisdizione del giudice ordinario per le domande nei confronti dello S. nonchè per le domande nei confronti della CAMERA DI COMMERCIO attinenti al periodo successivo al 30 giugno 1998.

3. Tale ordinanza era stata notificata al P. il 16 marzo 2006; il termine perentorio di sei mesi per la riassunzione del giudizio veniva dunque a scadere – tenuto conto della sospensione feriale dei termini – il giorno 1 novembre 2006, giorno festivo ed era differito al 2 novembre 2006.

4. Il P. aveva curato nel termine soltanto il deposito in cancelleria del ricorso per la riassunzione mentre la notifica alle controparti del ricorso con il decreto di fissazione dell’udienza era avvenuta dopo il decorso del termine.

5. Erroneamente il giudice del primo grado aveva respinto la eccezione di estinzione opposta dai convenuti, ritenendo sufficiente alla riattivazione del rapporto processuale il mero deposito del ricorso in riassunzione; nella fattispecie di causa la riassunzione era disciplinata dall’art. 367 c.p.c., comma 2 e dalla norma generale dell’art. 125 disp. att. c.p.c., a tenore delle quali essa doveva essere compiuta con comparsa contenente la indicazione della data dell’udienza di comparizione.

6. La riassunzione sarebbe potuta avvenire con il deposito del ricorso a condizione che la successiva notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza fosse avvenuta nel termine semestrale.

7. Peraltro, per consolidato orientamento della Suprema Corte, la riassunzione doveva assumere la medesima forma dell’atto introduttivo del giudizio sicchè anche sotto questo profilo era necessaria la notifica dell’atto di riassunzione.

8. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza P.M., articolato in cinque motivi di censura, cui hanno resistito con controricorso la CAMERA DI COMMERCIO e S.G..

9. La causa, già chiamata in Camera di consiglio, è stata rinviata a nuovo ruolo per la fissazione della pubblica udienza con ordinanza del 15/16 settembre 2020.

8. Il P. e lo S. hanno depositato memorie per la Camera di Consiglio; la CAMERA DI COMMERCIO e lo SCORDAMGLIA hanno depositato memorie per la pubblica udienza.

9. Il PM ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza impugnata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – in relazione all’art. 156 c.p.c., per violazione dei principi della sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo e di equivalenza delle forme processuali, esponendo che nella fattispecie di causa si era realizzato lo scopo della riassunzione, in quanto l’iniziativa era stata assunta nel temine di legge e le parti si erano costituite, eccependo la tardività della riassunzione senza allegare alcuna lesione del diritto di difesa.

2. Con la seconda critica si lamenta la nullità della sentenza impugnata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – per violazione, dei principi: del giusto processo; della validità del ricorso ai fini della riassunzione;

della libertà delle forme, del raggiungimento dello scopo dell’atto; della idoneità del ricorso a manifestare la volontà di riassumere la causa, sull’assunto che una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni in materia di riassunzione porta a ritenere idoneo il compimento nel termine perentorio di una mera attività di riattivazione del rapporto processuale, quale è il deposito in cancelleria del ricorso.

3. Con il terzo mezzo il ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 156 c.p.c., sempre sotto il profilo della sanatoria conseguente al raggiungimento dello scopo della riassunzione.

4. Con la quarta censura si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 50,121,297,367 c.p.c., nonchè all’art. 125 disp. att. c.p.c., assumendosi che quando il giudizio, sospeso a seguito della proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, deve essere riassunto davanti al medesimo giudice l’atto di riassunzione deve avere la forma del ricorso, poichè non sussistono le esigenze di edito actionis e di vocatio in ius proprie della riassunzione davanti ad una autorità giudiziaria diversa.

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza impugnata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – in relazione agli artt. 50,121,297,367 c.p.c., nonchè all’art. 125 disp. att. c.p.c., sempre sotto il medesimo profilo.

6. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la connessione che li lega, sono fondati.

7. Giova premettere che nella fattispecie di causa il giudizio si è svolto nei gradi di merito con il rito ordinario e non con il rito del lavoro.

8. Costituisce indirizzo costante di questa Corte quello per cui il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione e costituisce per le parti criterio di riferimento, anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione ed al regime previsto dalla L. n. 742 del 1969, art. 3 (tra le tante: Cass. S.U. n. 10978 del 2001; Cass. n. 6523 del 2002; n. 24649 del 2007; n. 3192 del 2009; n. 22738 del 2010; Cass. n. 12290 del 2011; Sez. 6 n. 15272 del 2014; Sez. 6 n. 4217 del 2014 e n. 14139 del 2020).

9. Poichè la controversia si svolgeva nelle forme del rito ordinario, la parte non poteva giovarsi del principio, parimenti enunciato da questa Corte, secondo cui l’atto di riassunzione per le controversie che si svolgono con il rito del lavoro deve avvenire nelle forme del ricorso (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 12/04/2012, n. 5777).

10. In conclusione, nella fattispecie di causa la riassunzione del giudizio sospeso- regolata dall’art. 367 c.p.c. e dalla generale previsione dell’art. 125 disp. att. c.p.c. – doveva avvenire con comparsa notificata invece che con ricorso.

11. Tanto chiarito, vengono in discussione il principio dell’equivalenza delle forme degli atti processuali ed i limiti di rilevabilità delle nullità, questione in relazione alla quale la causa è stata fissata in pubblica udienza.

12. In questa sede l’ipotesi è quella dell’errore della parte nella scelta del modello formale di un atto di riassunzione richiesto, dopo la instaurazione del giudizio, ai fini della prosecuzione del rapporto processuale, quiescente, nel medesimo grado e davanti al medesimo giudice.

13. Trattasi di fattispecie distinta rispetto a quella dell’atto di avvio di un grado di giudizio ulteriore così come da quella dell’atto di inizio di una seconda fase, solo eventuale, del medesimo grado (come nell’opposizione a decreto ingiuntivo).

14. Quanto all’atto introduttivo di un grado di impugnazione, questa Corte ha affermato che l’erronea scelta del modello formale non determina ex se la inammissibilità del gravame, dovendosi verificare tuttavia se, per effetto di tale error in procedendo, l’impugnazione che si sarebbe dovuta proporre sia divenuta tardiva; in sostanza, il ricorso erroneamente proposto può raggiungere lo scopo della citazione soltanto dal momento della notifica, così come l’impugnazione proposta con citazione invece che con ricorso, produce effetti soltanto dal momento del deposito presso l’ufficio giudiziario e non da quello anteriore della notifica (per tutte: Cassazione civile sez. VI, 21/02/2014, n. 4217; Cass. sezione III, 13 settembre 2018 n. 22256; Cass. SU 08 ottobre 2013, n. 22848).

15. Analoghi principi sono stati affermati con riguardo alla opposizione a decreto ingiuntivo ed, in generale, con riferimento alle opposizioni proposte avverso provvedimenti giudiziari nell’ambito del medesimo grado (tra le tante: Cassazione civile sez. un., 23/09/2013, n. 21675).

16. Le due fattispecie sono state nella giurisprudenza di questa Corte spesso assimilate; la specificità che le accomuna è la pronuncia di un provvedimento giudiziario definitivo del grado o della fase. Il contraddittorio delle parti è pur sempre relativo alla originaria domanda ma la “autorità” della pronuncia del giudice fa sì che la linea difensiva si svolga in forma diversa, come contestazione di quel provvedimento; anche la posizione formale di attore e di convenuto non si misura sul diritto sostanziale ma sull’iniziativa e sull’intesse rispetto a quella contestazione. Gli atti introduttivi di una seconda fase del grado, di norma, possono comportare un ampliamento del contraddittorio, nei limiti disciplinati dalle norme di rito. Da ultimo, l’eventuale inammissibilità dell’atto di impulso conseguente all’errore formale determina la chiusura del processo ed il consolidamento del provvedimento già reso dal giudice sulla domanda.

17. Lo scopo dell’atto di iniziativa in tali casi non è la mera prosecuzione del giudizio ma è, piuttosto, duplice: da un canto, la sollecitazione allo stesso o ad altro giudice affinchè riesamini una questione già decisa; dall’altro, la costituzione con le altre parti di un contraddittorio che abbia come base il provvedimento contestato.

18. Benchè le due finalità coesistano, le norme di rito danno rilievo, ai fini dell’introduzione del grado o della fase, all’una o all’altra di esse, prevedendo, rispettivamente, la forma del ricorso o della citazione; il che rende ragione della giurisprudenza sin qui esaminata, secondo cui lo scopo dell’atto di opposizione/impugnazione è raggiunto soltanto con la edito actionis nel primo caso e con la vocatio in ius nel secondo.

19. L’eventuale inammissibilità derivante dall’errore formale trova ragione nel fatto che il giudice non è stato ritualmente investito della sua potestas iudicandi, restando definitivo, comunque, un provvedimento reso sulla originaria domanda.

20. Diversa è, invece, l’ipotesi dell’atto di mera riattivazione di un rapporto processuale quiescente non già in ragione della pronuncia del giudice sulle questioni a lui sottoposte ma di una evenienza, naturalistica o puramente processuale, che determina un arresto solo temporaneo della sua potestas iudicandi, come nei casi di sospensione ed interruzione del giudizio.

21. In questa eventualità l’atto di impulso ha il solo scopo di manifestare la volontà e l’interesse della parte ad ottenere dal medesimo giudice una pronuncia sulla domanda, cessata la causa di tale arresto. Non vi è alcuna modifica delle difese, alcuna possibilità di ampliamento del contraddittorio, alcun cambiamento della posizione processuale delle parti. L’art. 125 disp. att. c.p.c., è chiaro in tal senso, in quanto onera la parte di individuare in maniera completa il giudizio che intende riassumere ma non le consente in alcun modo di incidere sulla linea difensiva già espressa. Quando la parte intende riattivare un processo quiescente, qualunque sia la ipotesi che ha determinato la temporanea stasi, l’atto deve avere un contenuto davvero minimale ovvero la manifestazione univoca della sola volontà di riprendere “quel” processo.

22. La situazione non muta quando la quiescenza si verifichi nel corso di una fase o di un grado di giudizio successivi al primo: anche in questo caso il giudice è stato ritualmente investito di una domanda, di appello o di opposizione, sulla quale non ha ancora reso una pronuncia; le modalità ed i limiti della riassunzione restano fissati dell’art. 125 disp. att. c.p.c..

23. La diversità dello scopo degli atti di impulso – rispettivamente la contestazione di un provvedimento giudiziario e la mera riattivazione del giudizio, in vista della pronuncia del giudice preventivamente adito – non può non rivestire rilievo, in quanto è lo scopo dell’atto il limite generale alla rilevabilità della sua nullità (art. 156 c.p.c., comma 3).

24. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte si è già pronunciata sul rispetto del termine di decadenza previsto dall’art. 305 c.p.c., per la riassunzione del processo in caso di interruzione.

25. Nell’arresto di Cass. SU 28 giugno 2006 n. 14854 si è affermato che detto termine è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento – e recuperato così il contatto tra la parte interessata ed il giudice – quel termine non può più giocare alcun ruolo; in tale pronuncia è stato sottolineato lo sdoppiamento tra la rinnovata editio actionis e la vocatio in ius per attribuire rilievo, nel meccanismo dell’art. 305 c.p.c., soltanto al primo adempimento.

26. L’accento posto sulla editio actionis aveva portato questa Corte ad affermare che in caso di erronea adozione della forma della citazione per la riassunzione del processo interrotto fosse rilevante ad impedire la decadenza soltanto il successivo deposito dell’atto (Cass. n. 10291/2007); di qui l’importante chiarimento delle Sezioni Unite, a poco più di un anno dalla loro pronuncia.

27. Nell’arresto del 28 dicembre 2007 n. 27183, prendendo dichiaratamente le distanze dal suddetto orientamento, si è affermato che ove la parte dia impulso al processo interrotto con il sistema della citazione, invece che con il ricorso, la riassunzione è da ritenere avvenuta ove la vocatio in ius (per quanto rimesso al potere di controllo della parte) sia compiuta entro il termine di legge (all’epoca semestrale); “in particolare resta al di fuori il deposito dell’atto, che può avvenire solo dopo il compimento effettivo della notificazione, a cura dell’ufficiale giudiziario, e che non ha alcuna funzione definitoria circa la posizione processuale della parte o la sua attività difensiva, essendo previsto dall’art. 303 c.p.c., comma 2, che il riassumente indichi (nell’atto di riassunzione) gli estremi della domanda”.

28. La richiamata sentenza in un passaggio motivazionale sottolinea che in linea generale l’atto di citazione, il cui scopo è quello di proporre una domanda giudiziale e contestualmente chiamare in giudizio il convenuto, ha finalità più ampie del ricorso, che si propone solo di esercitare la azione;

non appare, tuttavia, questa la ratio decidendi, trattandosi, piuttosto, di una considerazione ad abundantiam (” senza contare che…”).

29. Il principio di fondo è, piuttosto, che “il contenuto dell’atto di riassunzione, che è prescritto dall’art. 125 disp. att. c.p.c., si addice in pari misura alla citazione quanto al ricorso”.

30. In sostanza, ciò che rileva, secondo le Sezioni Unite, è che l’atto di impulso contenga le indicazioni richieste dal modello di “comparsa” di cui al suddetto art. 125, con piena equivalenza tra ricorso e citazione; ove la parte, seguendo la forma prescritta, dia nuovo impulso alla causa con il deposito del ricorso è questo l’adempimento cui si riferisce il rispetto del termine ma ove la parte abbia ridato impulso al processo con il sistema della citazione, la riassunzione del processo è da ritenere avvenuta ove nel termine di legge sia avvenuta la vocatio in ius.

30. Trattasi di un principio di più ampia portata rispetto al caso, esaminato dalle Sezioni Unite, della riassunzione del processo interrotto con citazione invece che con ricorso, in quanto basato sulla generale disciplina dell’art. 125 disp. att. c.p.c.; le Sezioni Unite non hanno ragionato in termini di nullità sanata dal raggiungimento dello scopo, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 3, bensì, a monte, di atto che contiene tutti i requisiti del modello di comparsa delineato dall’art. 125 disp. att. c.p.c. e perciò è “affrancato” da ogni sospetto di nullità (dell’art. 156 c.p.c., commi 1 e 2).

31. Si è dunque ritenuta la piena equivalenza tra i modelli formali dell’atto di riassunzione – ricorso citazione o comparsa – sicchè adottato uno di essi, ancorchè diverso da quello indicato nel codice di rito, gli effetti della riassunzione si produrrano dalla notifica ovvero dal deposito dell’atto, secondo la relativa disciplina.

32. Nello stesso senso depone, comunque, il principio della strumentalità delle forme del processo – ricavabile dal combinato disposto dell’art. 121 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 3 – secondo cui le forme degli atti non sono prescritte dal codice per la tutela di un valore in sè o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo ma come strumento più idoneo alla realizzazione di un dato risultato, che la norma intende conseguire.

33. Come sopra si è detto, lo scopo della riassunzione è la mera manifestazione del perdurante interesse e della volontà della parte ad ottenere una pronuncia sulla domanda; anche le Sezioni Unite nella pronuncia del 2007 hanno rilevato che “l’oggetto ed il titolo della pretesa azionata sono contenuti nello schema dell’atto di citazione (art. 163 c.p.c., comma 3), la linea difensiva delle parti è già delineata nella fase processuale interrotta, nè è possibile modificarla in occasione della riassunzione, che mira unicamente a far riemergere il processo dallo stato di quiescenza in cui esso di trova ed in cui le parti rientrano esattamente nella posizione in cui si trovavano all’accadimento del fatto interruttivo”.

34. La soluzione indicata è, da ultimo, in linea con la finalità generale del processo civile, che è quella di arrivare ad una decisione sul merito della domanda.

35. Detta finalità, già enunciata dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 16 ottobre 1986 n. 220 ed oggi insita nel diritto al giusto processo di cui all’art. 111 Cost., trova riscontro nella giurisprudenza della Corte Edu.

36. La Corte Europea ha infatti a più riprese evidenziato che l’imposizione di condizioni, forme e termini processuali risponde ad obiettive esigenze di buona amministrazione della giustizia, soprattutto se si tratta di regole prevedibili e di sanzioni prevenibili con l’ordinaria diligenza; è necessario, tuttavia, che la formalità sia sorretta da uno scopo legittimo e che esista un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito, così coordinando tra loro diritto di accesso ad un Tribunale riconosciuto dall’art. 6 p. 1 della Convenzione, sicurezza giuridica e buona amministrazione della giustizia. Il diritto di accesso ad un giudice viene, invece, leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall’autorità giudiziaria competente (per tutte: Corte EDU, sez. I, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07, già richiamata da Cass. SU n. 2089/2020 e n. 8312/2019).

37. In fattispecie come quella di causa,. la necessità a pena di decadenza della notifica dell’atto di riassunzione, proposto con ricorso nel termine di legge, non risponderebbe ad alcuna esigenza di certezza del diritto o di buona amministrazione della giustizia, non essendovi nè una aspettativa tutelabile al consolidamento di un provvedimento giudiziario (che non è stato ancora reso o, comunque, è già stato impugnato) nè l’esigenza di garantire la ragionevole durata del giudizio (che la parte ha provveduto a riattivare nel termine prescritto).

38. La sentenza impugnata deve essere conclusivamente cassata, enunciandosi il seguente principio di diritto: “L’errore della parte nella scelta del modello di atto per la riassunzione davanti al medesimo giudice, nella medesima fase e grado, del giudizio quiescente produce una mera irregolarità allorchè l’atto contenga tutti i requisiti della comparsa di cui all’art. 125 disp. att. c.p.c.; il rispetto del termine di decadenza è assicurato dalla riattivazione del rapporto processuale con il compimento della prima formalità relativa al modello prescelto, sicchè ove la riassunzione avvenga con ricorso – invece che con citazione o comparsa notificata – rileva a tal fine il deposito dell’atto in Cancelleria”.

38. La causa deve essere rinviata alla Corte d’Appello di Campobasso in diversa composizione affinchè provveda all’applicazione del principio enunciato; il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia -anche per le spese – alla Corte d’Appello di Campobasso in diversa composizione.

Così deciso in Roma, alla udienza, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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