Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16165 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. un., 25/07/2011, n.16165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente agg. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi ai n.ri 6976 e 7327 del Ruolo Generale degli affari

civili del 2010 proposto da:

S.R., M.S. e D.R., gli ultimi

due esercenti la potestà genitoriale sulla figlia D.A.

nata a (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in

Roma alla F.E. Savastano n. 11, presso l’avv. SANVITALE Carlo, che li

rappresenta e difende, per procura in calce al ricorso notificato

l’11 marzo 2010;

– ricorrenti principali –

e

M.V., in stato di interdizione legale per effetto di

sentenza penale di condanna, in persona del pro tutore M.

A. nominato dal G.T. di Roma il 7 ottobre 2006 e autorizzato a

stare in giudizio con decreto dello stesso G.T. del 19 gennaio 2010,

domiciliato elettivamente in Roma, P.za A. Capponi n. 16, presso

l’avv. CERMIGNANI Carlo, che lo rappresenta e difende, per procura in

calce al ricorso notificato il 15 e 16 marzo 2010;

– ricorrente autonomo incidentale –

contro

1) PROCURATORE GENERALE, pubblico ministero nel giudizio dinanzi alla

sezione giurisdizionale centrale dello Corte dei Conti, con sede in

Roma alla Via Baiamonti n. 2b che resiste e contraddice ai ricorsi

che precedono con controricorsi notificati il 9 e il 13 aprile 2010;

2) PROCURATORE REGIONALE, pubblico ministero nel giudizio presso la

sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei Conti;

3) MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE, in persona dei rispettivi ministri in carica, ex lege

domiciliati in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato e dalla stessa rappresentati e

difesi;

avverso la sentenza della sezione prima giurisdizionale centrale

della Corte dei conti n. 545 del 20 gennaio – settembre 2009.

Udita, alla pubblica udienza del 19 aprile 2011, la relazione del

Cons. Dr. Fabrizio Forte e sentiti L’avv. Sanvitale, per i ricorrenti

principali, l’avv. Cermignani, per il ricorrente autonomo

incidentale, l’avv. dello Stato Fiduccia per i due Ministeri e il

P.M. Dr. IANNELLI Domenico, che conclude per il rigetto di entrambi 1

ricorsi.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

M.V., già magistrato in servizio presso la Corte d’appello di Roma, nel 2003 è stato condannato, in concorso con Renato Squillante poi assolto in sede di legittimità, per corruzione in atti giudiziari dal Tribunale penale di Milano con pronuncia confermata dalla Corte di appello della stessa città resa definitiva nei suoi confronti da Cass. 5 ottobre 2006 n. 33435, per essere stato istruttore della causa ed estensore della sentenza n. 4809 del 1990, che aveva condannato l’Istituto Mobiliare Italiano, società a capitale pubblico, a pagare, a titolo di risarcimento del danno, oltre L. novecento miliardi agli eredi di R.N. e alla s.r.l. Find, decisione che era stata effetto della accertata corruzione.

Il giudizio di responsabilità amministrativa veniva iniziato dal Procuratore regionale presso la sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti con citazione notificata il 30 maggio 2003 al M. per effetto della condanna penale del primo grado di mei ito, per rispondere del danno arrecato all’Erario dal delitto da lui commesso nella qualità di magistrato in servizio, abusando delle sue funzioni, condotta di cui doveva rispondere ex artt. 2043 e 2059 c.c., anche nei confronti delle amministrazioni danneggiate, se costituite parti civili.

Nel corso del giudizio di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizìonale del Lazio, il P.M. regionale, con atto notificato il 4-5 luglio 2006, invitava a dedurre sull’azione ai sensi dell’art. 2901 c.c., da lui proposta per la revoca di due atti traslativi di immobili del M. in favore della moglie S.R. e della nipote minorenne D. A., rappresentata dai genitori M.S. e D. R., evocando in causa tutti i detti soggetti all’udienza del 2 ottobre 2006, già fissata nel processo iniziale di responsabilità.

Con tale nuova citazione degli aventi causa degli atti da revocare il P.M. aveva dato un termine a comparire all’udienza sopra indicata minore di quello di 90 giorni dell’art. 163 bis c.p.c., applicabile al caso in base all’art. 7 del Regolamento di procedura per i giudizi dinanzi alla Corte dei Conti; nella stessa udienza del 2 ottobre 2006, dichiarata dal difensore del M. la intervenuta interdizione legale del suo rappresentato a causa della condanna penale, il processo era dichiarato interrotto.

Si afferma in ricorso che l’atto di riassunzione seguito alla interruzione era stato notificato solo all’avv. M.S. nella qualità di tutrice di M.V. e quale esercente la potestà genitoriale su D.A., con invito a dedurre rivolto a detta parte per entrambe le azioni, di responsabilità e revocatoria.

L’ atto riassuntivo già indicato era stato notificato senza invito a difendersi per i destinatari, il 4 gennaio 2007 a D.R., coesercente della potestà genitoriale della minore A., e il 21 novembre 2006, a S.R., parti che quindi non poteva ritenersi fossero state mai convenute in riassunzione nell’azione revocatoria con violazione palese del principio del contraddittorio.

La sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio, riservata la decisione, ha anzitutto separato la causa avente ad oggetto l’azione revocatoria dal giudizio di responsabilità e in quest’ultimo, con la sentenza n. 650 del 3 aprile 2008, ha dichiarato il M. responsabile de danno non patrimoniale all’immagine dello Stato prodotto dai suo delitto e lo ha condannato a pagare a titolo di danno erariale la somma di Euro 1.000.000,00.

Con successiva sentenza n. 654 del 7 aprile 2008, è stata pure accolta l’azione revocatoria del P.M. regionale e si sono dichiarati inefficaci la donazione e la vendita sopra indicati nei confronti del M. e del Procuratore regionale presso la Corte dei conti, non rilevandosi l’inopponibilità delle indicate alienazioni all’Erario e alle altre parti evocate in causa quali aventi causa nei contratti traslativi di diritti immobiliari del M. che era stato già condannato nel giudizio di responsabilità.

Contro tali limiti di efficacia della revoca degli atti dispositivi hanno proposto appello principale il P.M. presso la Corte regionale e gravame incidentale le parti soccombenti nell’azione revocatoria, che hanno dedotto il difetto di giurisdizione della Corte dei conti nel giudizio di responsabilità amministrativa di M.V. e nell’azione revocatoria e lamentato gravi violazioni dei principi del giusto processo in primo grado.

La sezione centrale giurisdizionale della Corte dei conti ha accolto il gravame principale del P.M. regionale e respinto quelli incidentali contro la decisione n. 654 del 2008, con sentenza n. 545 del 20 gennaio – 14 settembre 2009, accogliendo l’azione revocatoria ed estendendo la inopponibilità degli atti di alienazione anche all’Erario e agli aventi causa dal M., condannati con quest’ultimo alle spese del grado.

Per la cassazione di questa sentenza propongono ricorsi ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, S.R. e M. S., con D.R. quali esercenti la potestà genitoriale sulla minore D.A., con due motivi nell’atto notificato l’11 – 13 marzo 2010, e M.V., in persona del pro tutore M.A., con tre motivi, con atto notificato il 12 – 15 marzo 2010, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Si difendono in questa sede il Procuratore Generale presso la sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti, con controricorso notificato il 13 aprile 2010, e i Ministeri dell’economia e delle finanze e della Giustizia, in persona dei rispettivi ministri, con atto notificato il 20 aprile 2010 ai ricorrenti, illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ai sensi dell’art. 335 c.p.c., vanno riuniti i ricorsi proposti in via principale e incidentale, per la cassazione della medesima sentenza n. 545 del 2009 della sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti.

Devono in via pregiudiziale dichiararsi inammissibili le impugnative nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia, essendo la Li. soggetti intimati, privi di legittimazione processila e, per non essere stati parti del processo concluso con a sentenza impugnata per cassazione (Cass. 25 giugno 2010 n. 15352).

Dinanzi alla Corte dei conti è stato appellante il Procuratore regionale, quale P.M. presso la sezione del Lazio sostituito in appello, nella medesima funzione di pubblico ministero, dal Procuratore generale presso la sezione giurisdizionale centrale, il quale è quindi, con 1 ricorrenti, l’unico soggetto legittimato a stare in giudizio in questa sede nella quale resiste con controricorso (sulla legittimazione processuale del P.G. quale P.M. in appello, cfr. Cass. 2 maggio 2007 n. 10136).

2. Sul piano logico, i motivi del ricorso di M.V., successivo all’altro degli aventi causa degli atti revocati, come tale da qualificare incidentale, ai sensi dell’art. 333 c.p.c., rispetto a quello anteriore dei suoi congiunti, vanno esaminati per primi, perchè impugnano la giurisdizione della Corte dei conti con riferimento al processo per la responsabilità amministrativa del ricorrente, che è presupposto di quella sulla revocatoria.

2.1. M.V., a mezzo del pro tutore M.A., deduce di avere eccepito il difetto di giurisdizione dei la Corte dei Conti nel giudizio di responsabilità amministrativa a suo carico e che tale deduzione era però relativa anche all’azione revocatoria in primo grado ancora unita a quella di condanna per il danno erariale promossa dal medesimo P.M. presso il giudice speciale, ai sensi della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 174.

La Corte dei conti, avendo riconosciuto la sua giurisdizione sulla responsabilità amministrativa, ha affermato anche quella sulla domanda revocatoria a tutela della garanzia patrimoniale per l’adempimento del credito derivato dai la eventuale condanna subita dall’incolpato nell’altro processo cui la presente causa è connessa.

Consegue, ad avviso del ricorrente, il suo interesse ad eccepire il difetto di giurisdizione del giudice speciale nel processo di responsabilità amministrativa, anche in questa sede, in cui la causa è quella nata dall’azione revocatoria, strumentale alla tutela della garanzia generica del credito conseguente all’altro processo.

In ragione dell’interesse all’accertamento congiunto della giurisdizione del giudice contabile su entrambe le domande nei suoi confronti, nel primo motivo di ricorso il M. deduce violazione dell’art. 37 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., e difetto di giurisdizione della Corte dei conti sull’azione revocatoria, per esservi il medesimo difetto di poteri cognitivi del giudice speciale dedotto nella causa di responsabilità amministrativa contro di lui.

Afferma il ricorrente che detta azione di responsabiita non poteva avere a oggetto il danno “patrimoniale”, che il P.M., nell’invito a dedurre, aveva contestato come “danno all’economia nazionale”, per il quale s’è già esattamente negata la giurisdizione del giudice contabile, perchè trattasi di un pregiudizio che lede solo interessi generali e diffusi e non diritti soggettivi o interessi legittimi della P.A., per cui non può qualificarsi come danno erariale, che deve comunque collegarsi alla lesione delle situazioni soggettive che la Costituzione tutela che sono diritti e interessi legittimi (si cita in ricorso: S.U. 13 aprile 1992 n. 4486).

Nel processo nato dall’azione revocatoria come in quello di responsabilità amministrativa, ad avviso del ricorrente, il giudice contabile avrebbe ecceduto dai limiti esterni dei suoi poteri cognitivi, non solo per le indicate ragioni sostanziali relative al suo oggetto, per cui avrebbe dovuto conoscere di un ipotetico danno all’economia nazionale non lesivo di situazioni giustiziabili, ma anche perchè, risalendo al 1990 la sentenza di condanna al risarcimento del danno dell’I.M.I. per la quale il ricorrente è stato condannato in sede penale per corruzione, il comportamento a lui ascritto che ha cagionato il danno ingiusto all’immagine dello Stato, è stato anteriore alla L. n. 20 del 1994, la quale è inapplicabile nella presente causa per la parte in cui consente la condanna di un dipendente pubblico, anche per il danno arrecato ad una amministrazione diversa da quella di appartenenza, come nel caso sarebbe accaduto per il M., non dipendente dell’Erario o del Ministero delle Finanze, ma magistrato corrotto nell’esercizio delle sue funzioni di dipendente dello Stato.

In ordine al danno non patrimoniale all’immagine dello Stato, per il quale è stata emessa la sentenza di condanna dalla sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti n. 207 del 2-26 marzo 2010, di conferma su tale punto della pronuncia n. 650 del 3 aprile 2008, ad avviso del M., la sentenza penale che lo ha condannato sopra citata ha già statuito sulla sua responsabilità per i danni all’immagine dello Stato e il giudice speciale non avrebbe potuto emettere altra condanna, dando luogo a due pronunce sanzionatorie della stessa condotta a fini risarcitori, così violando il divieto del ne bis in idem.

Lo stesso difetto di giurisdizione, derivante dal giudicato della condanna al risarcimento della pregressa sentenza emessa sull’azione civile svoltasi in sede penale, si estende all’azione revocatoria, sia per i danni patrimoniali emergenti dalla sentenza penale che per quelli non patrimoniali all’immagine dello Stato, su cui vi era stata già affermazione di responsabilità civile del M. nella decisione penale.

2.2. Il secondo motivo di ricorso del M. denuncia il difetto di giurisdizione per violazione delle stesse norme indicate nel primo motivo in rapporto però alla sola azione revocatoria e senza riferimento a quella di responsabilità amministrativa di cui al motivo che precede.

Nell’azione revocatoria, vi sono state violazioni dei principi regolatori del giusto processo dell’art. 111 Cost., commi 1 e 2, dal giudice contabile che ha ecceduto dalle sue attribuzioni nel tipo di tutela ad esso demandata dall’ordinamento, anche se apparentemente ha agito solo in difformità dei modi di esercizio di tali poteri, per cui si è ritenuto dovessero qualificarsi come meri errores in procedendo.

Sono denunciati in ricorso come difetto di giurisdizione la violazione del diritto di difesa nell’azione revocatoria, per non essersi rispettato il termine a comparire di novanta giorni dell’art. 163 bis c.p.c., con la notifica dell’invito del P.M. a dedurre su tale domanda fino alla udienza del 2 ottobre 2006 fissata pure per il giudizio di responsabilità, nella quale il processo fu interrotto per la perdita della capacità di agire del ricorrente e nessuno degli aventi causa negli atti oggetto di revocatoria comparve all’udienza per la quale non era stato evocato in causa.

Il difetto di contraddittorio è poi dedotto con riferimento ad alcuni degli aventi causa dal ricorrente negli atti di disposizione di cui sopra, a causa della omessa notifica a costoro dell’atto di riassunzione nei loro confronti, contenendo quest’ultimo la sola domanda nei confronti di M.S., tutrice del padre e madre della minore D.A., e mancando ogni richiesta nei confronti dei litisconsorzi S.R. e D.R..

Il M. afferma che i suoi congiunti M.S. e D. R. sono stati convenuti nella presente azione dal P.M., non in proprio e come rappresentanti sostanzia. della figlia minore A. nell’acquisto dell’immobile a lei venduto dal nonno, ma come sostituti processuali della minore, così ledendosi il loro diritto a un giusto processo, essendo essi legittimati a resistere in proprio e come rappresentanti sostanziali della minore nell’atto di disposizione, perchè l’art. 1391 c.c., fa riferimento agli stati soggettivi e cognitivi dei rappresentanti, al fine di accertare il consilium fraudis delle parti dell’atto ai fini della revoca di esso.

Tali censure relative a vizi processuali, ad avviso del M., non costituiscono errores in procedendo ma incidono sulla effettività della tutela giurisdizionale delle parti in causa, lese nei loro diritti, in specie dei suoi aventi causa nelle alienazioni dichiarate relativamente inefficaci dalla sentenza impugnata, per non essere stati gli aventi causa degli atti traslativi tutti convenuti nè evocati in giudizio con adeguati termini a difesa.

La Corte dei conti non poteva esercitare la giurisdizione in materia senza una tutela effettiva dei diritti di difesa delle parti su cui la decisione avrebbe inciso, eccedendo quindi dai limiti dei suoi poteri cognitivi da ritenere mancanti e non solo male esercitati a causa della disapplicazione nel presente giudizio dei principi del giusto processo.

La violazione del principio del contraddittorio o di quello di difesa contrasta sia con l’art. 111 Cost. e art. 24 Cost., che con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela gli stessi diritti fondamentali del giusto processo violati nel caso e le parti che tali violazioni hanno subito possono adire anche giudici sopranazionali per ottenere la condanna dello Stato italiano a risarcire i danni da loro sofferti a tutela di tali diritti, lesi con violazione di norme interne di ordine pubblico o cogenti, da sole idonee ad escludere ogni cognizione di qualsiasi tipo di giudice che non le abbia rispettate.

Per la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, è vietata la ripetizione di una condanna già emessa da altro giudice, perchè viola il principio del ne bis in idem e la sentenza principale del giudizio di responsabilità, cui si connette inscindibilmente quella impugnata, esorbita dai limiti dei poteri, giurisdizionali della Corte dei conti, che non può nuovamente condannare il M., in quanto già dichiarato responsabile ai sensi dell’art. 2043 c.c., verso la P.A. costituita parte civile nel processo penale, per lo stesso danno al l’immagine dello Stato.

Viene richiamata dal ricorrente la sentenza delle S.U. n. 30254 del 2008, secondo la quale è motivo attinente alla giurisdizione la denegata condanna al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi da giudici amministrativi investiti della valutazione di un atto della P.A. lesivo ditali situazioni soggettive, per essere il rifiuto di condanna dell’amministrazione nel caso di specie, in contrasto con il principio della effettività della tutela della situazione soggettiva di colui che ha richiesto insieme ad altre statuizioni o in via esclusiva la condanna risarcitoria.

Il M. afferma che anche con il suo appello avverso le sentenze 650 e 654 della sezione giurisdizionale della Corte dei conti egli aveva denunciato le violazioni dei principi del giusto processo dai giudici contabili e il connesso superamento dei limiti esterni dei loro poteri cognitivi, esercitati senza tenere conto della tardiva o omessa evocazione in giudizio dei litisconsorti necessari nell’azione revocatoria, violazioni di legge per cui nessuna pronuncia poteva emettersi dalla Corte dei conti.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso, deducendo sempre il difetto di giurisdizione per violazione delle stesse norme di cui agli altri motivi, il M. afferma che la separazione della causa sull’azione revocatorìa da quella sulla responsabilità amministrativa, avrebbe dato luogo alla emissione della sentenza oggetto del presente ricorso, da considerare in carenza di potere per la Corte del conti che l’ha emessa oltre il contesto processuale in cui poteva pronunciarsi.

Pure a ritenere giustificata la separazione delle due cause, di responsabilità e revocatoria, vi è stata violazione dei contraddittorio dell’Erario con la S. e il D., che non hanno ricevuto l’atto di riassunzione dell’azione revocatoria e non hanno fruito della tutela loro spettante nell’azione di conservazione della garanzia generica, in un processo in cui essi non sono stati evocati, in causa con l’atto di riassunzione rivolto nei soli confronti di M.S., contro la quale solamente si sono proposte le domande a tutela della conservazione dei mezzi di garanzia della responsabilità patrimoniale verso lo Stato.

Ad avviso del ricorrente, la stessa evocazione in causa di M. S. e del D., come sostituti processuali della figlia minore, in quanto rappresentanti legali di lei e unici soggetti che potevano essere consapevoli dello scopo fraudolento per i creditori degli atti di disposizione oggetto dell’azione revocatoria, ha determinato, per detti coniugi, violazione dell’art. 1391 c.c., non avendo essi potuto difendersi sulla esistenza dei loro stati soggettivi di mala fede e di cognizione dello scopo fraudolento delle alienazioni in favore della figlia, con emissione conseguente di provvedimenti giurisdizionali che la Corte dei conti non aveva il potere di emettere.

In sintesi, il difetto di contraddittorio e a violazione dei termini di comparizione e dei diritti di difesa dei suoi familiari comportano, ad avviso del M., il potere dei litisconsorzi di agire dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano, per ottenere tutela in sede sopranazionale per lesione dei diritto di tali parti al giusto processo.

Ad avviso del ricorrente, se nella negata tutela conseguente al rifiuto ai risarcire i danni dai giudici amministrativi in caso di lesione di interessi legittimi, giustificato con una presunta loro carenza di poteri (S.U. n. 30254/08 già cit.) s’è ritenuto esservi un eccesso di potere esterno giurisdizionale, altrettanto deve affermarsi, in ragione della denegata tutela del diritto al contraddittorio e di quello di difesa di cui alla presente causa, che ha determinato la emissione d’una condanna che non poteva essere legalmente pronunciata.

La natura strumentale e cautelare dell’azione revocatoria avrebbe imposto di mantenere il relativo giudizio unito a quello di responsabilità amministrativa e la separazione delle cause non può che aver dato luogo ad una carente giurisdizione della Corte dei conti, in rapporto all’azione accessoria revocatoria, la cui pronuncia deve ritenersi inutiliter data, in difetto della previa definizione del giudizio di responsabilità amministrativa.

2.4. S.R., M.S. e D.R. denunciano, nel primo dei motivi del loro ricorso, il difetto di giurisdizione della Corte dei conti per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., cioè del diritto di difesa e di quello al contraddittorio, come prospettato nei ricorso del M. e, nel secondo lamentano la violazione di principi del giusto processo, per omessa osservanza del termine a comparire all’udienza del 2 ottobre 2006, come già denunciato nell’altra impugnativa, in riferimento all’art. 362 c.p.c., per non essere stati i ricorrenti evocati, correttamente in causa nella revocatoria sin dal primo grado del giudizio, per cui nessuna pronuncia poteva aversi nei loro confronti.

Si denuncia nullità della sentenza impugnata anche perchè abnorme ed emessa in assenza di potere giurisdizionale, in quanto non decisa insieme con quella che ha chiuso il processo di responsabilità amministrativa del M. cui in origine la causa era unita.

S.R., M.S. e D.R. chiedono di rilevare poi la non manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 362 c.p.c., del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, artt. 7, 17, e 26 (Regolamento di procedura per i giudizi dinanzi alla Corte dei Conti), in relazione all’art. 24 Cost. e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 3, nella misura in cui tali norme escludono il sindacato della Corte di Cassazione sul ricorso contro le pronunce di secondo grado dei giudici speciali amministrativi e contabili, allorchè siano violati i diritti fondamentali “processuali” delle parti, attuativi dei principi del giusto processo di cui alla norma citata.

Tali violazioni attengono, per i ricorrenti, all’essenza stessa della giurisdizione e alla effettiva tutela delle posizioni soggettive delle parti su cui, anche nelle materie per le quali è dato ai distinti tipi di giudici il potere di decidere, gli stessi non possono pronunciarsi allorchè va sia stata violazione dei principi del giusto processo.

Tale carenza di potere emerge palese nella pronuncia della Corte dei conti nei confronti di M.S. e D.R., perchè la loro posizione di rappresentanti legali anche sostanziali della minore (art. 1391 c.c.), emergente anche dall’atto revocato non è invece menzionata nella citazione del P.M. per l’azione revocatoria.

3. Nel controricorso, la Procura Generale presso la sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti replica alle censure proposte sul giudizio di responsabilità, difendendo la giurisdizione del giudice speciale per il danno erariale oggetto di causa, che si estende all’azione revocatoria per garantire il credito da condanna ed è quindi strumentale e accessoria rispetto a detto processo principale (S.U. ord. 22 ottobre 2007 n. 22059), essendo attribuita alla cognizione del giudice speciale dalla L. 22 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 174, in ragione della indicata stretta connessione fra le due cause.

li P.M. controricorrente afferma che la sentenza di revoca è stata nel caso condizionata alla condanna del M. nel giudizio di responsabilità amministrativa, per cui non vi è stata alcun carenza dei poteri cognitivi del giudice speciale col legata al fatto contingente che la pronuncia definitiva sul mezzo di conservazione della garanzia è antecedente a quella emessa sulla responsabilità.

Nel suo controricorso il P.G. presso la sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti eccepisce la irrilevanza, nel presente giudizio degli errores in procedendo e in iudicando denunciati – dal M. e dai suoi aventi causa negli atti revocati – come eccesso di potere giurisdizionale, perchè attuativi dei principi del giusto processo, avendo comunque il giudice speciale negato in concreto, nella sentenza oggetto di impugnazione, che nella fattispecie vi sia stata violazione del diritto di difesa dei ricorrenti, sulla cui posizione in nulla ha inciso l’esercizio del potere di separare i due processi tra loro scindibili, con provvedimento insindacabile in sede di legittimità.

4. I ricorsi riuniti nei. confronti del Procuratore Generale presso la Corte dei conti, sono in parte infondati, e nel resto inammissibili, perchè in alcuni casi non evidenziano violazioni delle attribuzioni di detto giudice speciale nella fattispecie nè denunciano la emissione di provvedimenti in materie che non sono specificate dalla legge come di cognizione di detto giudice e in altri non deducono motivi inerenti o attinenti alla giurisdizione della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c., e dell’art. 362 c.p.c. e devono quindi complessivamente rigettarsi.

4.1. In ordine al primo motivo di ricorso va riconosciuto anzitutto l’ interesse allo stesso del M., per la parte in cui denuncia la carenza di potere della Corte dei conti nell’azione di responsabilità amministrativa a suo carico, perchè la natura accessoria e strumentale rispetto a questa azione di quella ai sensi dell’art. 2901 c.c., e segg., oggetto della sentenza impugnata in questa sede, comporta la necessità di affermare la giurisdizione del giudice speciale nella causa sulla responsabilità amministrativa del ricorrente per potergli attribuire quindi la cognizione sui mezzi di conservazione della garanzia generica per i crediti dell’Erario che dall’altro processo possano derivare.

Tale giurisdizione sul mezzo di conservazione della garanzia generica per l’esecuzione della condanna al pagamento dei danno erariale, rientra nelle materie specificamente assegnate alla cognizione della Corte dei conti (art. 103 Cost., comma 2), ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 174, norma già ritenuta interpretativa del R.D. n. 1038 del 1933, art. 26 (in tal senso, con S.U. n. 22059/07 cit. in controricorso, cfr. S.U. 22 dicembre 2009 n. 27092), con palese infondatezza del ricorso in ordine all’azione revocatoria per tale profilo. Il M. ha un interesse concreto e attuale a denunciare nel presente ricorso anche la carente giurisdizione della Corte dei Conti nella sentenza sull’azione di responsabilità amministrativa, che lo ha condannato al pagamento di Euro 1.000.000,00 per il danno all’immagine dello Stato, perchè la natura “erariale” di tale credito sorto dal provvedimento emesso dal giudice speciale nell’esercizio della sua giurisdizione è presupposto necessario dell’attribuzione per legge allo stesso della cognizione sull’azione revocatoria. Non può condividersi pertanto la posizione del P.G. espressa in pubblica udienza in ordine alla inammissibilità dei motivi di ricorso del M. avverso la sentenza sulla responsabilità amministrativa, perchè la stessa è diversa da quella che ha deciso l’azione revocatoria oggetto del presente ricorso, dovendosi ritenere che ove si neghi la giurisdizione della Corte dei conti sul processo di responsabilità amministrativa, debba pure escludersi la applicabilità alla fattispecie del richiamato della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 174.

Pertanto il primo motivo del ricorso del M. relativo alla giurisdizione sul giudizio di responsabilità amministrativa a suo carico come ogni altra impugnazione nello stesso senso degli altri ricorrenti sono però da ritenere preclusi, per essersi ormai formato il giudicato sulla sentenza della sezione giurisdizionale regionale del Lazio della Corte dei Conti n. 650 del 3 aprile 2008, che ha deciso nel merito sul danno erariale prodotto dalla condotta del ricorrente costituente il delitto di corruzione per cui il giudice penale lo ha condannato, con statuizione implicita in tale decisione di primo grado del giudice speciale in ordine alla sua giurisdizione nella materia da qualificare “giudicato” ai sensi dell’art. 2909 c.c., e quindi da ritenere definitiva e irrevocabile (così da S.U. 9 ottobre 2008 n. 14883 a S.U. 9 giugno 2011 n. 12538).

Invero, il rigetto del ricorso n. 14878/10 contro la decisione della sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti n. 207 del 26 marzo 2010 che ha deciso tra l’altro l’eccezione dello stesso M. sul difetto di giurisdizione nel giudizio di responsabilità amministrativa, è stato deliberato da questa Corte a sezioni unite nella stessa camera di consiglio in cui si è decisa la presente causa e con sentenza in pari data di questa.

Si è quindi definitivamente confermata la statuizione implicita cella citata sentenza della sezione giurisdizionale regionale del Lazio della Corte dei Conti n. 650 del 2008, determinandone il passaggio in giudicato. Per tale profilo,, il primo motivo del ricorso del M., perla parte relativa alla giurisdizione della Corte dei conti nel processo sulla responsabilità di lui per danni erariali, è inaammissibile in ragione del giudicato implicito conseguente alla contestuale sentenza di questa Corte a sezioni unite, che ha reso definitiva l’affermazione di tale giurisdizione.

In conclusione sull’azione di responsabilità amministrativa oggetto della sentenza della Corte dei Conti n. 650 del 3 aprile 2008, la giurisdizione di questa è da ritenersi affermata in via definitiva e con effetto preclusivo in questa sede di qualsiasi diversa soluzione sul punto (S.U. ord. 25 giugno 2009 n. 14889, che afferma il potere di questa Corte di rilevare il giudicato anche nelle sentenze dei giudici speciali).

L’affermazione della giurisdizione della Corte dei conti sul processo per la responsabilità amministrativa del M. è il presupposto necessario ma non sufficiente per riconoscere gli stessi poteri cognitivi di detto giudice in rapporto alla decisione sull’azione revocatoria tesa a conservare la garanzia generica per soddisfare gli obblighi derivati da detta responsabilità, di cui all’art. 2901 c.c., e segg..

E’ incontestato che il M. ancora nulla ha corrisposto a titolo di risarcimento per il danno all’immagine dello Stato conseguente al suo delitto definitivamente accertato in sede penale nel 2006, nè alle parti civili costituite in quel processo nè ai terzi che non hanno agito nell’ambito dello stesso per i danni subiti.

Sussiste pertanto concreta e palese l’esigenza di tutela della garanzia patrimoniale generica oggetto della sentenza impugnata in questa sede, che solo il giudice speciale che ha emesso la condanna a carico dello stesso ricorrente, può decidere per effetto dell’attribuzione di tale potere dalla L. n. 266 del 2005, che rende, per tale profilo, il primo motivo di ricorso del M. infondato, non essendovi un conflitto di giurisdizioni tra il giudice penale e quello contabile per essere tra loro connessi tali processi per l’eventuale rapporto di pregiudizialità tra le due azioni sulle diverse responsabilità, che è irrilevante in ordine ai poteri cognitivi del giudice speciale sulla causa presupposto della presente azione (così tra altre, S.U. 26 novembre 2004 n. 22277 e 21 ottobre 2005 n. 20343 e le recenti S.U. 22 dicembre 2009 n. 27092 e 13 febbraio 2010 n. 4312, tutte uniformatesi ai principi ermeneutici della C. Cost. 7 luglio 1988 n. 773).

Entro i limiti della condanna al risarcimento del danno erariale di Euro 1.000.000,00, s’è disposta, dalla Corte dei conti, la inopponibilità all’Erario, al condannato debitore e alle atre parti convenute nell’azione revocatoria, dei due atti di disposizione dei diritti su beni immobili del M., magistrato ritenuto responsabile in sede penale in via definitiva per il delitto di corruzione in atti giudiziari e condannato dalla Corte dei conti a risarcire il danno erariale all’immagine dello Stato che da detta condanna penale è derivato.

4.2. Il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale del M. sono analoghi a quelli dell’impugnazione principale dei danti causa di lui negli atti oggetto della revoca e possono essere trattati insieme, denunciando violazioni di leggi processuali lesive dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., commi 1 e 2, per i quali la Corte dei conti avrebbe emesso la decisione oggetto di ricorso al di fuori dei suoi poteri cognitivi, con decisione da cassare per motivi inerenti alla giurisdizione.

Si assume che le violazioni dei principi del giusto processo dinanzi alla Corte dei conti configurerebbero l’oggetto di motivi “attinenti alla giurisdizione del giudice stesso” (art. 362 c.p.c., comma 1), cioè propria di quello speciale, e come tali dovrebbero esaminarsi da queste sezioni unite quale giudice del riparto, non discostandosi per tale profilo dall’art. 111 Cost., comma 8.

Non ritiene questa Corte che rilevino quali motivi inerenti alla giurisdizione il denunciato esercizio del potere di separazione dal giudice speciale, della due distinte cause connesse soggettivamente e pendenti dinanzi allo stesso giudice, l’uria fondata sull’azione di responsabilità e l’altra su quella revocatoria, nè che possano configurarsi come motivi ai sensi dell’art. 362 c.p.c., quelli che deducono il modo errato in cui è stato notificato l’invito a dedurre del P.M. presso la sezione regionale della Corte dei conti alle parti private evocate in causa nell’azione revocatoria ovvero gli altri censuranti il tipo di danni in concreto domandati, che non sono quelli “patrimoniali” negati per la P.A. sia nel giudizio penale che in quello di responsabilità amministrativa.

I denunciati vizi processuali violativi dei principi del giusto processo, come quelli che ledono il contraddittorio tra le parti o la loro parità di fronte al giudice o il diritto di difesa, hanno rilievo in ogni processo e devono osservarsi da ogni tipo di giudice.

Essi quindi non possono ritenersi qualificanti o caratterizzanti la “giurisdizione del giudice stesso” (art. 362 c.p.c.), cioè di ciascun tipo di giudice, nè attengono o ineriscono ad essa e come tali non sono valutabili in questa sede, in rapporto alle norme del codice di rito e della carta fondamentale che si assumono violate, con denunce dei vizi della sentenza impugnata che, solo all’interno del processo del giudice speciale, possono da questo esaminarsi, eventualmente anche con l’actio nullitatis sempre e solo in quanto abbiano dato luogo a inesistenza-nullità della sentenza emessa, all’esito del processo in cui tali violazioni si sono avute.

Tali vizi non sono “coessenziali” alla giurisdizione speciale della Corte dei conti, riguardando solo il modo in cui essa è stata esercitata.

Tale osservazione già comporta la esclusione di ogni inerenza di tali errores in procedendo ai poteri giurisdizionali dei giudici della Corte dei conti o di quelli amministrativi, con chiara irrilevanza di essi come “motivi attinenti” o “inerenti” alla giurisdizione.

La sentenza emessa dal giudice speciale potrebbe ritenersi pronunciata oltre i limiti dei poteri ad esso attribuiti in materia di responsabilità amministrativa, solo in quanto gli stessi siano stati esercitati dalla Corte dei conti in difetto del potere ad essa in astratto attribuito per espressa disposizione di legge di erogare la tutela nel caso in concreto richiesta.

Allorchè, come nella fattispecie, il potere di decidere sull’azione revocatoria risulti attribuito dalla legge alla Corte dei conti, come appare certo nella fattispecie, ma la tutela domandata sia erogata con violazione di una o più norme processuali anche cogenti e di rilievo costituzionale, la cognizione del giudice del riparto non può estendersi al modo in cui il processo si è svolto.

In rapporto alle violazioni processuali di ogni tipo, infatti, questa Corte può esaminare solo la essenza della tutela chiesta ed erogata e l’eventuale superamento dei limiti della stessa dal giudice speciale, come consentito dell’art. 111 Cost., u.c., non potendosi anche da tali vizi denunciati dal ricorrente dedurre la negazione di un tutela dovuta per legge ovvero il riconoscimento del la stessa oltre i limiti delle norme, in quanto pure le censure sui principi regolatori del giusto processo (art. 360 bis c.p.c., n. 2) attengono alle mere modalità di svolgimento del processo dinanzi al giudice speciale e non al contenuto dei poteri in astratto a questo spettanti.

Non rileva, sul piano della giurisdizione, nè la violazione del contraddittorio tra le parti in causa nè il mancato rispetto dei diritti di difesa di tutti o alcuni dei partecipanti al giudizio fondato sull’azione revocatoli a, per non essersi concesso il termine a comparire di novanta giorni per la udienza di trattazione di cui all’art. 163 bis c.p.c., ai litisconsorzi del M., trattandosi di meri errores in procedendo di cui questa Corte può conoscere nei soli processi del giudice civile o ordinario e di quelli speciali, diversi dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei conti (art. 111 Cost., u.c.).

Anche a non rilevare che dette violazioni delle norme processuali sono state escluse in concreto dalla sentenza della Corte dei conti oggetto di ricorso, i motivi che le denunciano sono preclusi all’esame di questo giudice del riparto, non inerendo alla giurisdizione del giudice speciale stesso e attenendo al solo concreto processo sulla cui validità avrebbero potuto incidere.

Anche per tale profilo, il secondo motivo del ricorso del M. e le impugnazioni degli altri ricorrenti sulla identica questione relative alla violazione dei principi del giusto processo sono da dichiarare inammissibili, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, e art. 111 Cost., comma 8 (nello stesso senso, cfr. S.U. 21 giugno 2010 n. 14893 e ord. 16 febbraio 2009 n. 3688).

Se resta fermo che è problema attinente alla giurisdizione quello della mancanza di riconoscimento di una tutela che il giudice avrebbe “dovuto” dare (S.U. n. 30254 del 2008 più volte citata) ovvero quello della pronuncia di una statuizione per legge inibita al giudice speciale, con preteso eccesso di potere esterno inerente alla giurisdizione e valutabile dalle sezioni unite della Corte Cassazione, le violazioni delle leggi processuali o sostanziali denunciabili per tutti i provvedimenti, decisoli su diritti idonei a divenire giudicato non possono ritenersi come tali oggetto di ricorsi attinenti alla giurisdizione del giudice amministrativo o di quello contabile e vanno dichiarate inammissibili perchè non relative alla giurisdizione (cfr. sul punto, S.U. ord. 26 gennaio 2009 n. 1853 e 21 gennaio 2011 n. 2065).

Il giudizio della Corte dei conti previsto a tutela dello Stato e degli enti pubblici per i danni ad essi arrecati nell’esercizio delle funzioni da loro dipendenti o da soggetti che producano un pregiudizio rilevante in ragione di un loro rapporto con la stessa P.A., comporta i rilievo esterno, valutabile come tale dal giudice del riparto, solo della mancata tutela dovuta per legge e della tutela erogata anche se non consentita dalla normativa e in deroga alla legislazione sui poteri cognitivi propri di ciascun giudice speciale, fattispecie che non emergono nei ricorsi riuniti oggetto di questa decisione.

Nel caso la Corte dei conti chiamata a decidere sui danni arrecati dal delitto del M. allo Stato, per i pregiudizi non patrimoniali che questo ultimo ha subito alla sua immagine, per la perdita di fiducia e prestigio dell’ordine giudiziario derivato da tale condotta, anche in rapporto all’osservanza dei principi di buon andamento e imparzialità della amministrazione in ogni sua manifestazione (art. 97 Cost.), ha correttamente esercitato i poteri ad essa assegnati dalla legge nel decidere sul mezzo di conservazione della garanzia generica teso ad assicurare l’esecuzione della condanna emessa dalla Corte dei conti a carico del ricorrente nel giudizio di responsabilità amministrativa.

Non ha quindi rilievo ostativo alla soluzione adottata nella fattispecie la sentenza più volte citata delle S.U. n. 30254/08, che si riferisce alle forme diverse di tutela erogabili dall’unico giudice amministrativo, rilevando che questo eccede dai suoi poteri giurisdizionali se ne denega anche una sola, come accade con il rigetto dai giudici amministrativi della domanda risarcitoria per lesione di interessi legittimi in base a un preteso loro difetto di giurisdizione.

In questa sede infatti si deduce solo che è inesistente il potere della Corte dei conti di decidere sulla azione revocatoria iniziata per la conservazione della garanzia generica dell’obbligo del M. di pagare all’Erario le somme per quali egli è stato condannato dalla Corte dei Conti nel processo sulla responsabilità amministrativa fondata sul medesimo fatto costituente il delitto per il quale il ricorrente è stato ritenuto responsabile in sede penale, nel pieno rispetto della previsione normativo che tale tipo di tutela consente di erogare a detto giudice.

Le censure di cui ai distinti ricorsi di M.V., a mezzo del suo pro tutore M.A. e di S.R.M., donataria di una quota di immobile dell’interdetto, oltre che di M.S. e D.R., genitori esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minore D.A. e acquirenti, in nome e per conto di questa, di un immobile dello stesso M. V., in quanto denunciano carenze di potere della Corte dei conti in rapporto all’oggetto del giudizio in concreto svoltosi, sono in parte inammissibili e in parte infondate, mentre le violazioni processuali dei principi del giusto processo denunciano vizi non inerenti o attinenti alla giurisdizione e vanno quindi ritenute precluse in questa sede.

L’art. 111 Cost., comma 7, consente il ricorso per cassazione di ogni provvedimento relativo a diritti idoneo a divenire giudicato anche di giudice speciale, ma trova una immediata deroga nell’ottavo comma dello stesso articolo della Carta fondamentale (cosi C. Cost. 6 luglio 2004 n. 204), norma che, rifacendosi all’art. 362 c.p.c. ne conferma l’attuale operatività, limitando negli stessi sensi del codice di rito i poteri di questa Corte a sezioni unite quale giudice del riparto, che può esaminare dall’esterno i soli motivi attinenti o inerenti alla giurisdizione dei giudici speciali.

Il divieto di valutare in questa sede le violazioni di legge denunciate perchè non inerenti alla giurisdizione comporta, con il rigetto del ricorso, anche la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti S., M.S. e D., in rapporto al mancato esame in sede di legittimità degli errores in procedendo quando vi siano violazioni di principi del giusto processo, essendo gli stessi irrilevanti come motivi di ricorso inerenti o attinenti alla giurisdizione.

5. In conclusione, i due ricorsi riuniti devono complessivamente rigettarsi e i ricorrenti in solido devono corrispondere ai controricorrenti Ministero dell’economia e delle finanze e Ministero della giustizia le spese del presente giudizio di cassazione, nella misura che si liquida in dispositivo, dovendosi compensare le spese di questa fase tra i diversi ricorrenti principali e incidentali e nulla dovendosi rimborsare al Procuratore generale presso la sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti.

In quanto della presente vertenza è parte sostanziale anche la minore D.A., compratrice di uno degli immobili oggetto della revocatoria per cui è causa, questa Corte ritiene necessario proteggere i dati personali della stessa, disponendo che le generalità di lei non siano divulgate con la pubblicazione della pronuncia, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5.

P.Q.M.

La Corte a sezioni unite, sui ricorsi riuniti n. 6976 e 7327 del 2010, dichiara inammissibili quelli contro i Ministeri dell’economia e delle finanze e della giustizia e rigetta quelli nei confronti del P.M. presso la sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti, della quale dichiara la giurisdizione nella concreta fattispecie. Condanna i ricorrenti in solido a rimborsare ai due Ministeri controricorrenti, le spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 15.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 19 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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