Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16164 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 28/07/2020), n.16164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23868/2016 proposto da:

T.A., nato a Roma il (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), residente

in (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Antonio

Bertoloni n. 41, presso lo studio dell’Avv. Morelli Mauro (C.F.:

(OMISSIS)), che lo rappresenta e difende in virtù di procura estesa

su foglio separato;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1234/29/2016 emessa dalla CTR Lazio in data

08/03/2016 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica

dell’8/1/2020 dal Consigliere Dott. Penta Andrea;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott.

Giacalone Giovanni nel senso della inammissibilità e, in subordine

del rigetto Idei ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dai difensori del ricorrente, Avv.

Monti Sabrina, in sostituzione dell’Avv. Morelli Mauro, e

dell’Agenzia delle Entrate, Avv. Valenzano Emanuele.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

T.A. ricorreva avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale avente per oggetto l’acquisto di un terreno sito nel Comune di Roma. L’Amministrazione rilevava un maggior valore del terreno di Euro 360.000,00, come determinato dall’Agenzia del Territorio, invece di Euro 40.000,00 dichiarati nell’atto di compravendita.

Eccepiva vizi di legittimità ed errori di fatto della nuova valutazione. L’Ufficio, costituitosi in giudizio, eccepiva che “i ricorrenti non avevano preliminarmente adito l’istituto del reclamo previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17-bis” e chiedeva, “ai sensi del predetto articolo, comma 2, la pronuncia di inammissibilità del ricorso”.

La Commissione adita, per quanto qui rileva, con decisione del 22.10.2014 accoglieva parzialmente il ricorso, determinando “il valore dell’immobile in Euro 315.000,00”.

Nel merito, precisava che il ricorrente non aveva presentato una perizia di stima, mentre l’Ufficio si era avvalso di una valutazione dell’Agenzia del Territorio, che faceva riferimento anche ad atti di compravendita di immobili similari e considerava la limitata edificabilità “attuale”, riducendo il valore.

Avverso tale sentenza il contribuente proponeva appello, (ritenendo la sentenza impugnata per omessa e/o viziata motivazione, in quanto il giudice di primo grado non aveva, a suo dire, espresso i motivi per i quali la riduzione applicabile alla fattispecie sarebbe stata solo del 30%”. Inoltre, rilevava la erroneità delle valutazioni riportate nella stima dell’Ufficio, evidenziando la differenza tra un piano particolareggiato scaduto da riapprovare ed uno già approvato, per cui deduceva che nella fattispecie non si trattava di una parziale edificabilità, ma di una in edificabilità temporanea. Infine, riteneva erronea la comparazione effettuata dall’Ufficio con terreni ritenuti simili a quello oggetto del giudizio, depositando a tal fine una propria perizia.

L’Ufficio controdeduceva, precisando che il 30% in meno deciso dai primi giudici teneva conto che al momento della cessione del terreno non vi erano le condizioni per il rilascio delle concessioni edilizie, ribadiva che gli elementi di valutazione erano stati identici e sottolineava la corretta applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51.

Con sentenza dell’8.3.2016 la CTR Lazio rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) nel determinare il maggior valore, la CTP aveva tenuto conto della corretta e legittima procedura adottata dall’Ufficio, considerando le valutazioni contenute nei calcoli dell’Agenzia del Territorio, che aveva preso in esame anche le particolarità di una edificabilità ancora non completamente definita riducendo del 20% il valore determinato, mentre i giudici di prime cure avevano ritenuto (sempre facendo propri gli stessi criteri) che fosse più equa una riduzione del 30%;

2) in entrambi i casi il riferimento era rappresentato dalla stima dell’Agenzia del Territorio, tenendo in debito conto le limitazioni all’edificabilità con i susseguenti atti ancora non proponibili per l’inizio dei lavori, in quanto il piano particolareggiato non era stato ridefinito;

3) il valore commerciale con le percentuali di riduzioni aveva tenuto conto di tutti gli aspetti, sicchè il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, era stato regolarmente e legittimamente applicato;

4) la perizia di parte nulla aggiungeva che potesse determinare un differente valore finale adeguatamente motivato.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T.A., sulla base di un unico motivo.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza pubblica, il ricorrente ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., con la quale ha evidenziato che la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con la sentenza n. 637/47/2016 divenuta definitiva, ha dichiarato la nullità sia delle cartelle di pagamento nn. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (emesse nei confronti dei coobbligati che avevano sottoscritto il rogito oggetto dell’impugnata rettifica) sia dell’avviso di rettifica e liquidazione n. (OMISSIS) oggetto del presente giudizio e, in parziale accoglimento del ricorso, ha attribuito al terreno in esame il valore di Euro 95.000,00.

Secondo il contribuente, tale sentenza, pertanto, avrebbe, a suo dire, stabilito che il valore del bene compravenduto tra le parti ammontava ad Euro 95.000,00 ed avendo egli, a seguito della conseguente liquidazione della rettifica, versato il dovuto con la bolletta di pagamento quietanza del 26/04/2016 n. 4274 (totale Euro 7.832,42), si sarebbe verificata la cessazione della materia del contendere.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, va evidenziato che la richiesta, formulata dal Terzi con la memoria ex art. 378 c.p.c., di declaratoria di cessazione del contendere non merita accoglimento per due ragioni.

In primo luogo, il ricorrente non ha in alcun modo documentato quanto dedotto, non avendo in particolare depositato la sentenza n. 637/47/2016 munita dell’attestazione della cancelleria in ordine all’avvenuto passaggio in giudicato, la bolletta con la quale aveva integralmente estinto il debito tributario per la minor somma di Euro 95.000,00 e la documentazione attestante che la detta sentenza si riferisse proprio all’avviso di liquidazione oggetto del presente giudizio.

In secondo luogo, non ha accompagnato la menzionata richiesta con la rinuncia agli atti del giudizio, sebbene in tal senso sollecitata nel corso della pubblica udienza.

E’ vero che l’acquirente di un immobile, al quale sia stato notificato avviso di liquidazione dell’imposta di registro, sul presupposto che il valore dichiarato nell’atto fosse inferiore a quello reale, può – impugnando il suddetto avviso di liquidazione – opporre all’erario il giudicato riduttivo del maggior valore ottenuto dal venditore (coobbligato in solido con l’acquirente), anche se non abbia impugnato l’avviso di rettifica propedeutico a quello di liquidazione, ed ancorchè egli abbia pagato la pretesa imposta non per spontanea adesione alla pretesa tributaria, solo in quest’ultimo caso essendo irripetibile quanto versato (Sez. 5, Sentenza n. 7334 del 19/03/2008; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 2231 del 30/01/2018). Ma è altrettanto vero che nel caso di specie difetta la documentazione a corredo dell’avanzata richiesta.

2. Con l’unico motivo il ricorrente deduce la falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, art. 23 Cost. e L. n. 241 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto più equa una riduzione del 30% del valore del terreno oggetto dell’avviso di liquidazione, facendo proprie acriticamente, e senza entrare nel merito, tutte le argomentazioni della CTP.

2.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

In tema di contenzioso tributario la valutazione del giudice tributario (nella specie, relativa al valore di un terreno edificabile ai fini dell’imposta di registro), in quanto frutto di un giudizio estimativo, non è riconducibile ad una decisione della causa secondo la cosiddetta equità sostitutiva, che, consentita nei soli casi previsti dalla legge, attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia ed attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo. In relazione ad essa non è, pertanto, ipotizzabile una violazione di legge e, rientrando il suddetto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 c.p.c., la relativa pronuncia, rimessa alla sua prudente discrezionalità, è suscettibile di controllo, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo della carenza od inadeguatezza della corrispondente motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 4442 del 24/02/2010; conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25707 del 21/12/2015).

Tuttavia, nel caso di specie, l’odierno ricorrente non ha formulato alcun rilievo sul piano motivazionale, fermo restando che la CTR ha espressamente preso in considerazione, ai fini dell’abbattimento nella percentuale del 30% del maggior valore del terreno individuato dall’Ufficio, le limitazioni all’edificabilità (con i susseguenti atti ancora non proponibili per l’inizio dei lavori) derivanti dalla circostanza che, all’epoca della stipula dell’atto di compravendita, il piano particolareggiato (in precedenza scaduto) non fosse stato ancora ridefinito.

2.2. In ogni caso, in tema di imposta di registro, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, di interpretazione autentica del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’inapplicabilità del sistema di valutazione automatica previsto dal citato D.P.R., art. 52, comma 4, è desumibile dalla qualificazione attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, anche se non ancora approvato dalla Regione ovvero in mancanza degli strumenti urbanistici attuativi, dovendosi ritenere che l’avviso del procedimento di trasformazione urbanistica sia sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, senza che assumano alcun rilievo eventuali vicende successive incidenti sulla sua edificabilità, quali la mancata approvazione o la modificazione dello strumento urbanistico, in quanto la valutazione del bene deve essere compiuta in riferimento al momento del suo trasferimento, che costituisce il fatto imponibile, avente carattere istantaneo. L’impossibilità di distinguere, ai fini dell’inibizione del potere di accertamento, tra zone già urbanizzate e zone in cui l’edificabilità è condizionata all’adozione dei piani particolareggiati o dei piani di lottizzazione non impedisce, peraltro, di tener conto, nella determinazione del valore venale dell’immobile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione (Sez. U, Sentenza n. 25505 del 30/11/2006; conf. Sez. 5, Sentenza n. 11182 del 21/05/2014).

In quest’ottica, ai fini della determinazione del valore di un cespite, non assume alcun rilievo la mancata adozione dei piani particolareggiati di attuazione, attraverso i quali lo stesso potrà essere eventualmente specificato, dovendo il valore, in attesa della loro adozione, essere accertato in fatto dall’Ufficio, ed in caso di controversia sulla determinazione amministrativa dal giudice tributario di merito (Sez. 5, Sentenza n. 9130 del 19/04/2006).

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

 

 

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