Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16163 del 17/06/2019

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 17/06/2019), n.16163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 16844-2016 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati,

ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;

– ricorrente –

contro

A.S. O S., COMUNE DI FIRENZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 21/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/01/2016 R.G.N. 405/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/04/2019 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per: rimessione alla Corte

Costituzionale;

udito l’Avvocato ANTONIETTA CORETTI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1.La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto ad A.S., cittadina macedone residente a Firenze, l’assegno di maternità D.Lgs. n. 151 del 2001, ex art. 74 per la nascita della bambina, cittadina italiana in quanto figlia di padre italiano. L’assegno era stato negato dall’INPS perchè in Italia A.S. aveva soltanto un permesso per motivi familiari di durata biennale e non la carta di soggiorno e non poteva neppure definirsi familiare di cittadino comunitario ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 2.

Invece la Corte territoriale, rilevato che la A. era convivente con il padre italiano della bambina e iscritta all’anagrafe nella medesima famiglia, ha ricondotto tale situazione sotto la previsione di cui al cit. D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 2, lett. B) n. 2, relativa al “partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata”.

Trattandosi di tutelare la maternità, secondo la Corte d’appello la norma citata doveva interpretarsi nel senso più ampio possibile e in modo tale da avere un significato nel nostro ordinamento; che, pertanto, nel caso concreto la A. al momento della domanda amministrativa aveva diritto alla carta di soggiorno per i familiari del cittadino comunitario, essendo irrilevante che detta carta non le fosse stata ancora rilasciata (il che era poi avvenuto il 19/5/2015) e che, per di più, tale carta le poteva essere rilasciata anche quale ascendente diretta di cittadina italiana.

2. Contro la sentenza ha proposto ricorso l’INPS con un solo motivo. La A. è rimasta intimata. La Procura generale ha concluso chiedendo sollevarsi questione di legittimità costituzionale.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS denuncia violazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74 e del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 2 affermando sia l’inapplicabilità di tale ultima fonte al caso in esame sia l’infondatezza dell’interpretazione accolta dalla Corte territoriale con riferimento alla nozione di familiare.

4. Questa Corte ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74 nella parte in cui, per gli stranieri extracomunitari, subordina il diritto a percepire l’indennità di maternità al possesso della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti lungo periodo), violando tale precetto le disposizioni di cui agli artt. 3 e 31, nonchè art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20,21,24,31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

5. In punto di rilevanza, si consideri che il tenore letterale di quest’ultima norma, là dove riconosce l’assegno di maternità anche alle madri cittadini di paesi extracomunitari purchè in possesso di carta di soggiorno ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 9, carta di soggiorno di cui la A. non disponeva all’epoca dei fatti per cui è causa, è tale da non consentire interpretazioni estensive costituzionalmente conformi.

In proposito si tenga presente che la A., cittadina macedone residente a Firenze, titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari, ha chiesto, quale genitore della minore S.M., nata a (OMISSIS) e cittadina italiana in quanto figlia di padre italiano, la concessione dell’assegno di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74 documentando la propria posizione reddituale e dichiarando di non essere beneficiaria di trattamenti previdenziali di maternità a carico dell’INPS. L’Istituto le aveva negato la prestazione con comunicazione del 4/12/2013, in quanto non titolare di permesso per lungo soggiornanti, pur essendo invece in possesso degli altri requisiti e, in particolare, di quello reddituale.

6. La Corte territoriale ha accolto la domanda con argomenti che poggiano su un’interpretazione della norma non condivisibile in base alla quale la prestazione poteva essere riconosciuta alla ricorrente A. quale familiare di cittadino comunitario ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 1, lett. B).

A prescindere dalla questione, solo ipotizzata da parte dell’INPS senza adeguata motivazione, dell’inapplicabilità del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 1, la fattispecie in esame non è riconducibile nè alla figura di familiare di cui al n. 2 nè a quella successiva di cui al n. 4) della disposizione citata.

La prima si riferisce agli “ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera B”. La ricorrente, infatti, pur essendo ascendente di cittadina italiana la figlia come sopra detto è cittadina italiana- sicuramente non è carico di questa, considerato che trattasi di neonata.

Nè è configurabile la seconda ipotesi di cui al n. 4, che individua “il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante”. La lettera della norma è chiara nel richiedere la presenza di un’unione registrata secondo la legislazione degli stati e, pertanto, la mera convivenza con il padre italiano della bambina non è riconducibile all’ipotesi ben specifica considerata dalla norma.

7. La questione di costituzionalità, come sopra prospettata, che qui si intende sottoporre all’esame della Corte Costituzionale è, pertanto, rilevante attesa la necessità di diretta applicazione della norma, come invocata dalla ricorrente A.. Non vi è dubbio, infatti, che qualora si dovesse fare applicazione della disposizione appena citata, la domanda della cittadina extracomunitaria dovrebbe essere rigettata perchè è pacifico che, pur essendo presenti gli ulteriori presupposti richiesti dalla norma per l’erogazione della prestazione, la A. non è titolare del permesso di lungo soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 9, ma solo di permesso di soggiorno per motivi familiari.

8. Nè detta rilevanza deve essere esclusa dalla verifica di compatibilità della norma denunciata con la previsione dell’art. 12, paragrafo 1, lett. e), della direttiva UE 2011/98, che impone la parità di trattamento on favore dei “lavoratori dei paesi terzi di cui all’art. 3 paragrafo 1, lett. b) e c)” e che, laddove l’incompatibilità si evidenzi anche previo ricorso pregiudiziale alla CGUE, conduce alla inapplicabilità alla fattispecie in esame della disposizione in esame in ragione della prevalenza del diritto Euro unitario sul diritto nazionale. Non è, infatti, qui richiamabile la direttiva citata atteso che, all’epoca dei fatti che hanno riguardato la A., tale direttiva non era stata ancora recepita dallo Stato italiano ed anzi ancora non era scaduto il termine fissato per il suo recepimento (25/12/2013). Detta situazione esime questo Collegio dal dover esaminare se il diniego della corresponsione dell’indennità di maternità di cui al D.Lgs. n. 281 del 2001, art. 74 debba essere valutato in relazione all’art. 12 della direttiva citata, pur dovendosi rilevare che la Corte di giustizia ha già affermato che, in pendenza del termine per la trasposizione di una direttiva, gli Stati membri devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa (sentenza Inter Environnement Wallonie, punto 45).

9. L’art. 74 D.Lgs. recita testualmente “Per ogni figlio nato dal 1 gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 9, che non beneficiano dell’indennità di cui agli artt. 22, 66 e 70 del presente testo unico, è concesso un assegno di maternità..”.

I successivi commi 4 e 5 prevedono specifici limiti di reddito per poter usufruire di tale prestazione e stabiliscono che “L’assegno di maternità di cui al comma 1, nonchè l’integrazione di cui al comma 6, spetta qualora il nucleo familiare di appartenenza della madre risulti in possesso di risorse economiche non superiori ai valori dell’indicatore della situazione economica (ISE), di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 50 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con tre componenti.” Ed il comma successivo stabilisce: “Per nuclei familiari con diversa composizione detto requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dal predetto D.Lgs. n. 109 del 1998, tenendo anche conto delle maggiorazioni ivi previste.”.

Il comma 7 prevede, poi, la rivalutazione dell’importo al 1 gennaio di ogni anno, sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall’ISTAT.

10. Circa la non manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale, va rilevato che l’indennità in esame costituisce prestazione assistenziale erogata dall’INPS, una tantum, in mancanza di altre prestazioni collegate alla maternità e in favore di situazioni familiari meno agiate. Ove il genitore sia cittadino extracomunitario, si richiede l’ulteriore requisito della titolarità del permesso di lungo soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 9, con la conseguenza che la prestazione può essere erogata solo ai cittadini extracomunitari che, ai fini dell’ottenimento del permesso in questione, abbiano dimostrato di disporre di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29, comma 3, lettera b), nonchè di un alloggio idoneo e di aver superato un test di conoscenza della lingua italiana.

11. A fronte di ciò, e segnatamente della limitazione dei possibili beneficiari in ragione della fruizione di redditi modesti o addirittura estremamente bassi, non pare seriamente dubitabile che la prestazione in esame costituisca un sostegno economico in un momento in cui le esigenze della persona sono maggiori, sostegno finalizzato a soddisfare bisogni essenziali collegati alla nascita o all’adozione di un bambino, in un contesto caratterizzato da redditi bassi, rappresentando un aiuto che può essere determinante al fine di evitare che una madre possa trovarsi, al momento del parto, in condizioni di povertà assoluta.

12. La disposizione suscita il dubbio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento, dell’art. 31 Cost. e dell’art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20,21,24,31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

13. Sotto il profilo della possibile violazione dell’art. 3 Cost. la norma appare introdurre un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri, legalmente soggiornanti in Italia, prevedendo solo per i secondi l’ulteriore requisito di essere in possesso della carta di soggiorno, ora soggiornanti di lungo periodo, escludendo, contraddittoriamente, dalla fruizione della medesima prestazione sociale, pur a fronte di situazioni di parità di bisogno, intere categorie di soggetti, selezionati non in base all’entità o alla natura del bisogno, ma ad un criterio privo di ogni collegamento con questo, quale la titolarità del permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata pregressa della residenza in Italia almeno quinquennale, un reddito comunque almeno pari all’importo dell’assegno sociale, un alloggio idoneo e la conoscenza della lingua italiana: determinando, con ciò, l’esclusione di chi si trovi in situazione di maggior bisogno rispetto a tale categoria e disparità di trattamento tra situazioni identiche o analoghe, lesive del principio di eguaglianza.

Non appare, invero, sussistere alcuna ragionevole correlazione tra la residenza protratta nel tempo e la funzione della prestazione in esame avente il ruolo di sostegno economico volto a soddisfare bisogni immediati e indifferibili, a fronteggiare esigenze primarie legate alla nascita di un bambino o alla sua adozione, poco influenzati dalla sussistenza o meno del radicamento nel territorio dello stato.

14. Inoltre, la disposizione in esame non si raccorda in alcun modo con la previsione contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41 (disposizione appartenente all’insieme di norme contenute nel t.u. che l’art. 1, comma 4, definisce “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica”) che, riconosce in linea generale parità di trattamento, rispetto ai cittadini italiani, in materia di assistenza sociale ai cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro validi per almeno un anno.

Si osservi che, comunque, la previsione dell’art. 41 citato, nel prevedere una permanenza almeno annuale, esclude eventuali timori di erogazione dell’assegno anche a favore di stranieri solo del tutto momentaneamente in Italia.

15. Neppure le considerazioni svolte nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 2019, in tema di legittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, nella parte in cui subordina il diritto a percepire l’assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari alla titolarità della carta di soggiorno (ora permesso di lungo soggiorno) pare possa risolvere il dubbio di costituzionalità relativo alla norma in esame. Infatti, in tale occasione, il soddisfacimento di tale condizione per il solo straniero extracomunitario è stata ritenuta non irragionevole in base al fatto che l’assegno sociale è misura che, rivolgendosi a chiunque abbia compiuto 65 anni di età, persegue finalità peculiari e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate a specifiche esigenze di tutela sociale della persona che non tollerano discriminazioni, come nel caso delle invalidità psicofisiche. Ha, in particolare, affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza da ultimo citata, citata che ” (…) Tali persone ottengono infatti, alle soglie dell’uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della collettività nella quale hanno operato (non a caso il legislatore esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in Italia), che è anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.)”.

Nella citata pronuncia si è, tuttavia, specificato che “la Costituzione impone di preservare l’uguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale tra cittadini italiani e comunitari da un lato, e cittadini extracomunitari dall’altro, soltanto con riguardo a servizi e prestazioni che, nella soddisfazione di “un bisogno primario dell’individuo che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale” (sentenza n. 222 del 2013), riflettano il godimento dei diritti inviolabili della persona. Per questa parte, infatti, la prestazione non è tanto una componente dell’assistenza sociale (che l’art. 38 Cost., comma 1, riserva al “cittadino”), quanto un necessario strumento di garanzia di un diritto inviolabile della persona (art. 2 Cost.)”.

Sembra invero che la tutela della maternità anche sotto il profilo del sostegno economico al momento della nascita possa rientrare nella definizione di cui sopra, cui secondo la Corte Costituzionale, deve essere subordinata la parità di trattamento. Decisiva risulta essere, a riguardo, la considerazione che la maternità gode di una diretta tutela costituzionale.

16. Il profilo di irragionevolezza appena illustrato e la disparità di trattamento che ne consegue, in definitiva, dovrebbero condurre alla declaratoria di incostituzionalità, per violazione dell’art. 3 Cost., della L. n. 151 del 2001, art. 74 nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anzichè la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione della disposizione generale contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41, norma che rappresenta l’equilibrato bilanciamento tra il diritto dell’extra comunitario di fruire, a parità di trattamento con i cittadini italiani, delle misure di assistenza sociale ed il riscontro di una presenza dello stesso non temporanea nè episodica sul territorio nazionale.

17. La norma in esame deve essere valutata anche in relazione all’art. 31 Cost. giacchè l’irragionevole disparità di trattamento, che genera la norma denunciata nei riguardi dei cittadini extracomunitari, produce anche l’effetto di violare i diritti protetti dall’art. 31 Cost., laddove la Repubblica si è fatta carico di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e di proteggere la maternità e l’infanzia. La maternità, in quanto oggetto di specifica tutela costituzionale, non può restare priva di ogni forma di tutela come avverrebbe per le ipotesi a cui si riferisce l’art. 74 in esame, da inserirsi nel quadro dei diritti fondamentali della persona.

E’ evidente, infatti, che la richiesta della titolarità del permesso di lungo soggiorno per l’erogazione di un sostegno economico al momento della nascita del bambino o della sua adozione impedisce di fatto e irrimediabilmente la realizzazione della garanzia costituzionale per quei figli e per quelle famiglie in cui nessuno dei genitori è in possesso del permesso di lungo soggiorno, pur trovandosi le stesse famiglie in modo non episodico o temporaneo a risiedere in territorio nazionale e vivendo nelle medesime, se non peggiori, condizioni economiche.

L’effetto, inevitabile, pare essere quello di negare per tali nuclei familiari e per i loro nuovi nati, in radice e irrimediabilmente, la realizzazione del diritto sancito dalla Costituzione con effetti disgreganti del tessuto sociale della nazione nel nucleo originario ed essenziale della famiglia.

18. Quanto ai profili comunitari va rilevato che la norma in esame pare violare anche l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli artt. 20, 21, 24, 33 e 34 CDFUE, che, rispettivamente, enunciano il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazioni, anche per cittadinanza, riconoscono il diritto dei bambini “alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere”, garantiscono “la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale” nonchè riconoscono “il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione”.

Non è invece qui richiamabile, come prima si è precisato, la direttiva 2011/98.

19. Consegue alle argomentazioni sin qui svolte che deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74, in relazione agli artt. 3 e 31 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20,21,24,31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea(CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anzichè la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, in applicazione della disposizione generale contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41.

A norma dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, va dichiarata la sospensione del presente procedimento con l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvederà alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

PQM

La Corte di cassazione, visti l’art. 134 Cost., la L. Cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1 e la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74 in relazione agli artt. 3 e 31 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, quest’ ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anzichè la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41. Sospende il presente procedimento.

Manda la cancelleria per gli adempimenti previsti dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, u.c., e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2019

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