Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16161 del 15/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16161 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 19358-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – società con socio unico in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA G: MAZZINI 27, presso lo Studio TRIFIRO’ &
PARTNERS AVVOCATI, rappresentata e difesa dall’avv.
SALVATORE TRIFIRO’, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
COLLODEL LORETA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO
CESTER, giusta procura a margine del controricorso;
– con troricorrente –

Data pubblicazione: 15/07/2014

avverso la sentenza non definitiva n. 265/2010 del 20/04/2010,
depositata il 27/04/2010 e la sentenza definitiva n. 476/2011 del
21.6.2011, pubblicata il 27/08/2011, entrambe della CORTE
D’APPELLO di VENEZIA;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

udito per la controricorrente l’Avvocato Andrea De Vivo (per delega
avv. Bruno Cossu) che si riporta agli scritti.

Ric. 2012 n. 19358 sez. ML – ud. 13-05-2014
-2-

13/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;

19358/2012

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 13
maggio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione
redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
” La Corte di appello di Venezia, con sentenza non definitiva del 14

del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra Poste Italiane
s.p.a. e Collodel Loreta per il periodo dal 29.10.1998 al 10.12.1998 ed
accertata la intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato dal 29.10.1998 condannava la società a riammettere in
servizio la Collodel ed al pagamento in suo favore delle retribuzioni dalla
messa in mora (1.4.2004) alla riammissione in servizio oltre accessori come
per legge, dedotto raliunde perceptum” da quantificarsi in prosieguo di
giudizio; con sentenza definitiva del 26 agosto 2011 determinava detto
“aliunde perceptum” nei redditi percepiti dalla Collodel in base alle buste
paga prodotte agli atti.
Il termine al contratto era stato apposto ” per esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e di attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle
risorse umane”.
La Corte territoriale, esclusa la ricorrenza di una ipotesi di scioglimento
del rapporto per mutuo consenso ( diversamente da quanto opinato dal
Tribunale) rilevava che detto contratto ( preceduto e seguito da altri

parimenti a termine) era stato stipulato dopo lo spirare del termine
massimo di vigenza della contrattazione che autorizzava le ipotesi
“ulteriori” di legittima apposizione del termine ai contratti di lavoro con la
società Poste Italiane (e cioè dopo il 30/4/1998). Precisava, altresì, nella

maggio 2010, riformando la decisione di primo grado, dichiarava la nullità

sentenza definitiva, l’ammontare dell’aliunde perceptum” da detrarre dal
risarcimento del danno, quantificato nei termini sopra indicati.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso Poste Italiane s.p.a.
affidato a cinque motivi.
Resiste la Collodell con controricorso.

co. 1° 2° c.c. ( art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c.) avendo la Corte di merito
rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito
mutuo consenso dei contraenti senza tener conto che il comportamento
inerte delle parti evidenziava il disinteresse al suo ripristino.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi
una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia
accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle
parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune
volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo” (v, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n.
20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché più di recente, Cass. 18-11-2010
n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera
inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è
di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto
per mutuo consenso” (v. Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n.
5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione,
“l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà
chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni

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Con il primo motivo del ricorso viene dedotta violazione degli artt. 1372,

rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1- 22010 n. 2279).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo
prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria

integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine
alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice
trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di
operatività del rapporto (contra sulla rilevanza al mero dato oggettivo della
“cessazione della funzionalità di fatto del rapporto”, valutato “in modo
socialmente tipico” cfr. Cass. 23-7-2004 n. 13891 e Cass. 6-7- 2007 n.
15264).
Orbene, nella fattispecie la Corte d’Appello ha rilevato che la società non
aveva dedotto alcuna circostanza significativa rispetto al mero decorso del
tempo ( peraltro contenuto nell’ambito di due anni). E’ stato anche
precisato che l’aver cercato altre opportunità lavorative non poteva
significare alcunché essendo giustificato dalla necessità di trovare fonti di
sostentamento.
Tale accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito risulta
aderente al principio sopra richiamato resiste alle censure della società
ricorrente, che in sostanza si incentrano genericamente sulla proposizione
di una diversa lettura della inerzia della lavoratrice.
Col secondo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio
assumendosi che la Corte territoriale aveva esposto in modo inidoneo le
ragioni circa il rapporto, asseritamente sussistente, tra il contratto
collettivo, l’Accordo sindacale del 25.9.1997 ed i successivi ed. accordi
attuativi, in relazione alla esistenza del supposto limite temporale

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valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad

Col terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della
L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23 ed omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, mentre con il quarto mezzo viene dedotta
violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 integrato
dall’accordo del 25.9.1997 ed anche vizio di motivazione. Si assume che,

e segg., e, in particolare, ricercando la volontà comune delle parti nello
stipulare l’integrazione all’art. 8 CCNL 1994, doveva concludersi che gli
accordi collettivi non fissavano alcun limite temporale alla stipula dei
contratti a termine.
Il tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi,
sono infondati.
Ed infatti la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che la L. 28
febbraio 87, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la
possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla
L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17,
art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di
apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una
vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non
sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque
omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale
nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo
del 25.9.97, la giurisprudenza considera corretta l’interpretazione dei
giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo
stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano
convenuto di riconoscere la sussistenza dapprima fino al 31.1.98 e poi (in
base al secondo accordo) fino al 30.4.98 della situazione di fatto integrante
delle esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far

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facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c.

fronte a tali esigenze l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di
personale con contratto tempo determinato solo fino al 30.4.98, di modo
che debbono ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine
stipulati successivamente. Le parti collettive, dunque, avevano raggiunto
un’intesa senza limite temporale ed avevano poi stipulato accordi attuativi

30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a termine
avrebbe legittimato l’assunzione solo se il contratto fosse scaduto dopo il
30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto irrilevante l’accordo 18.01.01
perché stipulato dopo oltre due anni dall’ultima proroga, e cioè quando si
era già perfezionato il diritto all’accertamento della nullità. Anche se con
quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente gli
accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine
effettuate senza la copertura dell’accordo 25.09.97 (ormai scaduto),
comunque sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità del diritto
dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti stipulanti potessero, con
detto strumento, autorizzare ex post i contratti a termine non più legittimi
perché adottati in violazione della durata in precedenza stabilita (vedi, per
tutte, Cass. 12.03.04 n. 5141).
L’esistenza delle esigente eccezionali è dunque negozialmente
riconosciuta fino al 30.04.98, di modo che la legittimità dei contratti a
termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto
derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art.
23. Essendo stato il contratto della Collodel stipulato per il periodo
29.10.1998 — 28.12.1998 i motivi, come detto, sono destituiti di
fondamento.
Col quinto motivo viene denunciata violazione degli artt. 1218, 1219,
1223, 1227 e 2697 c.c. nonché vizio di motivazione, quanto alle

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che tale limite avevano posto, fissandolo prima al 31.1.98 e dopo al

conseguenze economiche della conversione del contratto a tempo
indeterminato tra le parti, invocandosi, comunque, l’applicazione dello ius
superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi
5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010,
Il motivo è fondato sotto il profilo dell’applicazione della L. n. 183 del

da numerose altre successive), lo “ius superveniens” costituito dalla L. n.
183 del 2010, ex art. 32, commi 5, 6 e 7, (applicabile nel giudizio pendente
in grado di legittimità qualora pertinente alle questioni dedotte nel ricorso
per cassazione) configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di
penale “ex lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine
nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e
con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione
in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente
subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde
perceptum”), trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva”
per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto
“intermedio” (dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione).
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, ex art. 375 cod.
proc. civ., n. 5, l’accoglimento del ricorso nei termini di cui sopra con
cassazione della impugnata sentenza e rinvio alla Corte di Appello la quale
provvederà nella specie anche ai sensi di quanto disposto in rito dal citato
art. 32, comma 7.”
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio.
Poste Italiane ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. nella quale si
ribadiscono le ragioni esposte in ricorso.

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2010, art. 32. Come affermato da questa Corte (Cass., n. 3056 del 2012 e

Il Collegio condivide il contenuto e le conclusioni della relazione e,
quindi, accoglie il ricorso limitatamente al quinto motivo, cassa
l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di
Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese.

P.Q.M.

l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di
Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2014

Feneienenie

La Corte, accoglie il ricorso limitatamente al quinto motivo, cassa

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