Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16160 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 28/07/2020), n.16160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 06666/2012 R.G. proposto da:

D.M.C. (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avv.

Capaldo Oreste Tommaso, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’avv. Veraldi Stefania, in Roma via Germanico 146;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 108/21/2011 della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana, depositata il giorno 22 novembre 2011.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 17

dicembre 2019 dal Consigliere Fichera Giuseppe.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.M.C., titolare di una impresa individuale, impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, applicando le relative sanzioni, per l’anno d’imposta 2005.

L’impugnazione venne integralmente respinta in primo grado; proposto appello dal contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con sentenza depositata il giorno 22 novembre 2011, lo respinse assumendo la legittimità dell’avviso impugnato.

Avverso la detta sentenza, D.M.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui ha risposto con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo deduce D.M.C. la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, poichè il giudice d’appello erroneamente ha ritenuto infondata l’eccezione di nullità dell’avviso impugnato, poichè non risultava allegato un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate reso in data 27 luglio 2007, pure ivi richiamato.

1.2. Il motivo è manifestamente infondato.

Invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, non rientrano quelli che siano conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente, come sono gli atti amministrativi generali che, essendo soggetti a pubblicità legale, si presumono sempre conoscibili (in tema di delibere del consiglio comunale, da ultimo, Cass. 21/11/2018, n. 30052).

Dunque, non vi è da dubitare che il provvedimento del direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, emesso in forza dell’espresso rinvio contenuto nella L. 27 dicembre 2006, n. 396, art. 1, comma 307, fosse ampiamente conoscibile dal contribuente, trattandosi peraltro di atto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

2. Con il secondo motivo assume violazione dell’art. 3 Cost. e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17, comma 2, poichè la commissione tributaria regionale non ha rilevato la nullità dell’atto impugnato, una volta che le sanzioni applicate erano stato sgravate in autotutela dall’amministrazione – in presenza di un evidente errore di calcolo -, senza dare tuttavia al contribuente la possibilità di avvalersi della procedura di accertamento con adesione.

3. Con il terzo motivo lamenta violazione del D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, art. 68, comma 1, del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-quater, convertito con modificazioni dalla L. 30 novembre 1994, n. 656, e del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, poichè nonostante lo sgravio parziale delle sanzioni applicate con l’avviso di accertamento impugnato, l’amministrazione non ha inteso annullare in autotutela l’intero atto impugnato.

3.1. I due motivi, connessi per l’oggetto, sono entrambi manifestamente inammissibili.

Come eccepito dalla controricorrente, invero, non risulta che dell’invalidità dell’intero atto impugnato – discendente dal suo parziale annullamento in autotutela, per effetto della rideterminazione delle sanzioni applicate -, l’appellante si fosse tempestivamente lamentato in primo grado, formulando poi espresso motivo di censura in appello.

Resta pertanto inammissibile la doglianza formulata per la prima volta nel giudizio di Cassazione, dovendosi peraltro osservare come a tardiva, si sarebbero mostrati tutti i motivi formulati, durante il giudizio di secondo grado, per la prima volta – come pure ammette l’odierno ricorrente – “con memorie integrative depositate nel corso del giudizio”.

4. Con il quarto motivo eccepisce la violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè il giudice di appello ha omesso di decidere sulle eccezioni sollevate dall’appellante nel gravame proposto, concernenti l’eccessiva redditività dell’attività d’impresa e la mancata considerazione dei costi occulti, nonostante si trattasse di questioni rilevabili d’ufficio anche in secondo grado.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente lamenta una omessa pronuncia della commissione tributaria regionale, laddove risulta al contrario che il giudice di merito abbia espressamente pronunciato sulle descritte eccezioni, ritenendole tardive in quanto formulate per la prima volta in appello.

Il motivo sarebbe comunque manifestamente infondato.

E’ noto che nel giudizio tributario il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi dei credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili (da ultimo, Cass. 29/12/2017, n. 31224).

Orbene, nella vicenda che ci occupa, il giudice di merito ha ritenuto correttamente che, al fine di accertare l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato, discendente dalla dedotta erroneità dei criteri utilizzati dall’Amministrazione per determinare il maggiore reddito conseguito dal contribuente, fosse necessario un espresso motivo di impugnazione, che all’evidenza non poteva essere formulato dal ricorrente per la prima volta in sede di gravame.

5. Con il quinto motivo lamenta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, comma 2, atteso che il giudice dell’appello ha ritenuto inammissibile la produzione nel detto grado di una perizia di parte finalizzata a dimostrare il reale valore di mercato degli immobili, oggetto delle compravendite stipulate dall’impresa del contribuente.

5.1. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, considerato che la documentazione che il giudice di merito non ha inteso esaminare, era tesa a dimostrare la fondatezza di quelle eccezioni formulate tardivamente – e quindi in maniera inammissibile, come visto in precedenza – nel giudizio di appello; dunque nessun interesse ha l’odierno ricorrente all’accoglimento del mezzo in esame.

6. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, liquidate in complessivi Euro 13.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

 

 

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