Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1616 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. II, 26/01/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 26/01/2021), n.1616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 10457/2016 proposto da:

CAPIFARGEL s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avvocato Egidio

Marullo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in

Roma, via Federico Cesi, n. 72;

– ricorrente –

contro

CEL VIL di M. & A.V. s.n.c., (ora CEL VIL s.r.l.),

rappresentata e difesa dagli Avvocati Stefano Dell’Orto, Annamaria

Gigli, e Francesco Tropepi, con domicilio eletto presso lo studio

degli Avvocati Annamaria Gigli e Francesco Tropepi in Roma, via

Taranto, n. 21;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano n.

40232015 pubblicata il 21 ottobre 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25 novembre 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La s.r.l. Capifargel proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano a favore della Cel Vil di M. & A.V. s.n.c. per il mancato pagamento, da parte della Capifargel, della fornitura (comprovata da fatture e documenti di trasporto) di circa 1.400.000 buste in polietilene bianco stampate (ordini n. (OMISSIS), n. (OMISSIS), n. (OMISSIS)).

L’opponente lamentava l’inadempimento della società opposta, in quanto la merce consegnata sarebbe stata palesemente viziata (stampa errata nella impaginazione della busta, pessima qualità dell’immagine, differenti misure di base e altezza del formato) e inadatta all’uso cui era destinata.

Costituitasi in giudizio, la società opposta si difendeva eccependo la decadenza della opponente dalla garanzia, per il decorso del termine per la denuncia dei vizi della merce compravenduta, e comunque l’infondatezza dell’opposizione.

Con sentenza pubblicata il 31 dicembre 2014, il Tribunale di Milano respingeva l’opposizione, rilevando che era fondata l’eccezione di decadenza dalla garanzia e che, comunque, la prova dei vizi non risultava raggiunta.

2. – La Corte d’appello di Milano, pronunciando ex art. 281-sexies c.p.c., con sentenza pubblicata il 21 ottobre 2015, ha rigettato il gravame interposto dalla Capifargel.

La Corte territoriale ha confermato il ritenuto, da parte del primo giudice, difetto di prova in ordine alla tempestività della denuncia degli asseriti vizi della merce, così rigettando il motivo di appello avverso la pronuncia di decadenza dell’acquirente, ai sensi dell’art. 1495 c.c., dal diritto alla garanzia per i vizi della cosa venduta.

La Corte distrettuale ha altresì condiviso la valutazione del Tribunale là dove aveva, ad abundantiam, anche ritenuto mancata un’offerta di prova idonea sulla rilevanza dei vizi lamentati.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la s.r.l. Capifargel ha proposto ricorso, con atto notificato il 20 aprile 2016, sulla base di quattro motivi.

L’intimata società Cel Vil ha resistito con controricorso.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

5. – In prossimità della Camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

La controricorrente ha altresì depositato l’atto (a rogito notaio N.M. di Milano n. (OMISSIS) racc. del 20 dicembre 2016) di trasformazione da società in nome collettivo a società a responsabilità limitata, con il quale ha assunto la denominazione di CEL VIL s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente censura la nullità della sentenza per la diversa composizione del collegio, con violazione degli artt. 158 e 281-sexies c.p.c., deducendo che – come sarebbe dato riscontrare dalla diversa indicazione dei giudici che hanno composto il collegio in fase di discussione e così risultante dal verbale di udienza tenutasi in data 21 ottobre 2015 con quello risultante dall’epigrafe della sentenza – il terzo giudice, Dott.ssa C.M.C., non ha partecipato alla stesura della sentenza, ed in suo luogo compare invece il nome della Dott.ssa T.L.S..

1.1. – La censura è infondata.

La non corrispondenza del collegio, così come riportato nell’epigrafe della sentenza, con quello innanzi al quale è avvenuta la discussione orale, è causa di nullità della decisione solo in caso di effettivo mutamento del collegio medesimo; l’onere della prova di tale divergenza grava sulla parte che se ne dolga, dovendosi altrimenti presumere, in mancanza di elementi contrari ed in difetto di autonoma efficacia probatoria dell’intestazione della sentenza, che i magistrati che hanno partecipato alla deliberazione coincidano con quelli indicati nel verbale d’udienza, e che, pertanto, la pronunzia sia affetta da mero errore materiale (Cass., Sez. II, 6 dicembre 2016, n. 24951; Cass., Sez. I, 30 settembre 2019, n. 24427).

Non avendo la ricorrente dato la prova dell’effettivo mutamento del collegio, la semplice erronea indicazione, nell’epigrafe della impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano, della Dott.ssa T.L.S. come componente del collegio al posto della Dott.ssa C.M.C., è da ritenersi frutto di un mero refuso.

2. – Il secondo motivo è rubricato “violazione dell’art. 24 Cost., artt. 112,281-sexies c.p.c., in quanto la sentenza impugnata è stata redatta – verosimilmente – prima della discussione”. La società Capifargel deduce: (a) che la Corte d’appello, all’udienza del 16 settembre 2015, aveva rinviato la causa per la discussione all’udienza del 21 ottobre 2015, ore 12.15, disponendo procedersi ex art. 281-sexies; (b) che alle ore 12.15 del 21 ottobre 2015, presenti i procuratori delle parti, la causa veniva discussa oralmente e, dopo circa 5/10 minuti, il Collegio si ritirava in Camera di consiglio; (c) che successivamente, alle ore 12.30, il Collegio rientrava in aula e, alla presenza delle parti, dava lettura del dispositivo e della motivazione della sentenza che veniva allegata al verbale. La ricorrente osserva che, poichè la sentenza si compone di 17 pagine, nel breve volgere di pochi minuti, dalla conclusione della discussione alla lettura della sentenza, sussisterebbe l’impossibilità oggettiva e materiale, per qualsivoglia collegio giudicante, di potere scrivere una sentenza di tale ampiezza. Secondo la ricorrente, la sentenza sarebbe stata già redatta dal Collegio prima dell’udienza e letta in aula dopo la discussione; d’altra parte – si osserva – la sentenza scritta prima dell’udienza reca il nome del giudice che sarebbe dovuto intervenire in aula ma che il giorno dell’udienza è rimasto poi assente ed è stato sostituito dal giudice Dott.ssa C.M.C.. Ad avviso della ricorrente, la sanzione della nullità della sentenza redatta prima dell’udienza di discussione, discenderebbe dal non essere stato consentito al difensore di svolgere il proprio mandato e dal non essere stato riconosciuto alla parte il diritto di difesa costituzionalmente garantito. La sentenza – si sostiene conclusivamente – deve essere pensata, motivata e scritta successivamente alla conclusione del processo, per evitare compressioni al diritto di difesa.

2.1. – Il motivo, con cui ci si duole che la decisione sia stata “assunta prima ancora della discussione”, oltre ad essere inammissibile là dove presume un fatto senza darne riscontro, risolvendosi, dunque, in una mera illazione, si appalesa comunque infondato.

Infatti, alla decisione resa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., il collegio ben può addivenire, senza che si determini con ciò alcuna nullità della sentenza, sulla base della previa predisposizione, da parte del relatore, di una bozza di soluzione, suscettibile di conferma o modifica all’esito della discussione delle parti (Cass., Sez. III, 21 maggio 2014, n. 11259).

Invero, come questa Corte ha chiarito (Cass., Sez. I, 14 maggio 2014, n. 10453), al giudice non è preclusa, dopo il doveroso studio preliminare della causa, la preparazione di un testo provvisorio, che riassuma, sotto forma di sentenza, i risultati dello studio delle questioni e degli argomenti sino a quel momento prospettati e che, naturalmente, è suscettibile di tutte le modifiche e gli aggiustamenti resi necessari dal successivo sviluppo della causa. Malgrado la redazione in forma di sentenza, quel testo non differisce, infatti, quanto al suo valore ed alla sua legittimità, da un semplice appunto. Al giudice non è consentito, invece, di rendere inutile l’attività difensiva delle parti successiva al suo studio preliminare della causa, rendendo definitiva quella bozza di sentenza quando la discussione abbia evidenziato questioni ed argomenti dei quali la decisione deve necessariamente tenere conto.

Nella specie, la società ricorrente lamenta, con il motivo di censura, che – poichè “nel breve volgere di pochi minuti, dalla conclusione della discussione alla lettura della sentenza, sussiste l’impossibilità oggettiva e materiale, per qualsivoglia collegio giudicante, di poter scrivere una sentenza di 17 pagine” – questa sarebbe stata già redatta “prima dell’udienza e letta in aula dopo la discussione”.

Sennonchè, la ricorrente non deduce che la previa predisposizione si sia tradotta nel mancato esame di questioni di fatto e di diritto da essa prospettate nella discussione o in un pregiudizio concreto per la difesa.

Ne consegue che non ricorre alcuna ipotesi di nullità nel fatto che la Corte d’appello abbia assunto, quale testo definitivo della sentenza, il testo provvisorio predisposto dal relatore prima della discussione.

3. – Con il terzo motivo la ricorrente censura violazione degli artt. 1495 e 1511 c.c., anche in rapporto agli artt. 112 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che quelli di specie fossero “vizi apparenti” senza alcuna motivazione e comunque senza alcun esame dei beni prodotti in giudizio. Ad avviso della ricorrente, i vizi, nel caso di specie, potevano essere rilevati solo al momento dello “spacchettamento” finalizzato alla utilizzazione: la qualità delle parti e la natura dei beni non potevano consentire un esame sommario o a campione, come sostenuto dalla Corte di Milano. Premesso di non avere mai sostenuto che tutte le buste consegnate fossero viziate ma che il gran numero e la rilevanza dei vizi non ne aveva consentito la vendita a terzi, la ricorrente deduce che un’indagine a campione non avrebbe potuto essere compiuta, ma “neppure sarebbe stata dirimente se, il campione, avesse riguardato la parte di buste con la stampa esatta”. La società Capifargel si duole che la Corte d’appello abbia motivato la sentenza “senza esaminare lo specifico caso, ma “ragionando” per principi generali e senza alcuna aderenza ai fatti di causa”: “la specificità e la peculiarità del caso avrebbe imposto viceversa che la Corte dichiarasse e accertasse che quelli in oggetto fossero vizi che, alla stregua della “non apparenza” o comunque della specificità e della natura dei beni (… quelli degli ordini n. (OMISSIS)), avrebbero potuto e dovuto essere denunziati non al momento della consegna, bensì al momento della loro scoperta”. La Corte di Milano – osserva conclusivamente la ricorrente – dimostrerebbe di non aver visto, nè esaminato, alcuna delle buste viziate e depositate nel fascicolo di parte attrice.

3.1. – La doglianza è priva di fondamento.

Va premesso che la Corte d’appello ha motivato il rigetto del gravame della Capifargel osservando:

che in relazione agli ordini (OMISSIS) la denuncia dei vizi era stata fatta dall’acquirente in data 5 dicembre 2011 e 7 dicembre 2011, ovvero circa tre mesi dopo la prima consegna della merce presso i depositi di (OMISSIS) della società di spedizioni (DHL Supply Chain) nei giorni 12 settembre 2011 e 15 settembre 2011, e quindi ben oltre il termine di decadenza previsto per la denuncia dei vizi della merce compravenduta di cui all’art. 1495 c.c., che, trattandosi nel caso di specie di vizi apparenti, decorreva dalla consegna della merce;

che il termine ex art. 1495 c.c., non decorre dalla data di consegna della merce alle farmacie subacquirenti, ciò essendo esatto solo per gli esercenti di queste ultime, per la denuncia di eventuali vizi della merce da essi acquistata: riguardo alla Capifargel, il termine per la denuncia dei vizi era da intendersi, ai sensi dell’art. 1511 c.c., decorrente dal momento del ricevimento della merce presso i depositi di (OMISSIS) della DHL Supply Chain, giacchè già da tale momento la merce era comunque nella disponibilità del compratore, costituendo onere di minima diligenza da parte della società opponente controllare la merce prima della rivendita a terzi, proprio per la specializzazione nel settore della Capifargel;

che il fatto che le buste fossero imballate non costituisce una valida giustificazione, giacchè ben potevano gli imballaggi (scatole di cartone) essere agevolmente aperti per un controllo, se del caso anche a campione, della merce.

Tanto premesso, ritiene il Collegio che la sentenza della Corte territoriale, congruamente motivata, non sia incorsa nelle violazioni di legge che ad essa vengono addebitate.

Occorre innanzitutto rilevare, al riguardo, che in materia di denunzia dei vizi della cosa venduta, ai fini della decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c., si deve distinguere tra vizi apparenti ed occulti: per i primi detto termine decorre dalla consegna della cosa, mentre per i secondi dal momento in cui essi sono riconoscibili per il compratore (Cass., Sez. II, 30 agosto 2000, n. 11452; Cass., Sez. II, 10 marzo 2011, n. 5732).

Va inoltre considerato che l’accertamento dell’apparenza e riconoscibilità dei vizi della cosa compravenduta compiuto dalla Corte d’appello costituisce un apprezzamento di fatto, come tale sottratto a sindacato in sede di legittimità per tutto ciò che non attiene al procedimento logico seguito o ai principi di diritto eventualmente presupposti (Cass., Sez. II, 23 luglio 1983, n. 5075; Cass., Sez. II, 2 dicembre 2016, n. 24731).

Nella specie, esente da censure si appalesa l’affermazione della Corte di Milano secondo cui l’apparenza non poteva essere esclusa per il fatto che le buste oggetto della vendita fossero imballate. Va, infatti, ricordata la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. II, 5 gennaio 1996, n. 49) che ha ritenuto l’apparenza del vizio di merce confezionata per la spedizione in una scatola non trasparente, con ogni consequenziale effetto ai fini della tempestività della denuncia. In sostanza, poichè la ratio della disciplina in esame consiste nel non lasciare incerta la sorte del contratto e non già nel dare anche la dimostrazione dei vizi, necessaria soltanto più tardi, allorchè la contestazione sia insorta, il termine de quo decorre dal giorno in cui il compratore è stato in grado di esaminare la merce, vale a dire dal giorno in cui questa è stata posta nella sua disponibilità mediante la consegna. Obliterando l’onere di diligenza del compratore nell’esaminare la merce acquistata, viene procrastinato il dies a quo della denuncia dei vizi, lasciando alla discrezionalità del compratore la scelta del tempo di esame della cosa in ipotesi di merce non direttamente visionabile in quanto imballata (Cass., Sez. II, 10 aprile 2000, n. 4496).

E neppure rileva la circostanza che “la consegna della merce non avveniva per il tramite dell’acquirente bensì a mezzo di un terzo trasportatore”. Infatti, in tema di vendita di cose mobili da trasportare da un luogo ad un altro, l’art. 1511 c.c., che fa decorrere il termine per la denunzia dei vizi dal ricevimento, impone un onere di diligenza a carico del compratore, consistente nel dovere di esaminare con tempestività la cosa, ponendosi così in grado di rilevare i difetti eventuali all’occorrenza anche con un’indagine a campione (Cass., Sez. II, 10 aprile 2000, n. 4496, cit.).

D’altra parte, l’accertamento della apparenza dei vizi denunciati dall’acquirente non può essere messo in discussione sulla base della generica asserzione che la Corte d’appello “non avrebbe visto, nè esaminato, alcuna delle buste viziate e depositate nel fascicolo di parte attrice”.

Occorre inoltre ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) ricorre solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass., Sez. VI-3, 31 agosto 2020, n. 18092). Tale disposizione, pertanto, non può essere invocata per dolersi che il giudice del merito – nello stabilire che i lamentati vizi della merce compravenduta erano apparenti (di talchè avrebbero dovuto essere denunciati al momento della consegna) – non abbia colto le peculiarità del caso.

Non pertinente è, infine, il richiamo all’art. 112 c.p.c..

Invero, il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato) (Cass., Sez. I, 11 aprile 2018, n. 9002; Cass., Sez. II, 21 marzo 2019, n. 8048).

A sua volta, il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., Sez. I, 13 giugno 1972, n. 1853; Cass., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7653; Cass., Sez. VI-5, 27 novembre 2017, n. 28308).

Poichè, dunque, il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., riguarda soltanto l’ambito oggettivo della pronunzia e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass., Sez. II, 21 aprile 1976, n. 1397), non ricorre la violazione di tale disposizione allorchè si lamenti che il giudice del merito, chiamato a decidere sull’osservanza dei termini previsti per l’azione di garanzia per i vizi, non abbia “fatto buon uso dei suoi poteri di indagine sui beni oggetto della compravendita”.

Nel complesso il motivo di censura, al di là della formale deduzione dei vizi di violazione di legge, qui non riscontrati, si appalesa rivolto a richiedere alla Corte di cassazione una, non consentita, rivalutazione nel merito delle conclusioni assunte dai giudici della Corte di Milano.

4. – Con il quarto motivo si censura omesso esame di un fatto decisivo ovvero violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., per avere la Corte distrettuale erroneamente e deliberatamente ignorato sia la data di consegna della merce di cui all’ordine (OMISSIS) e della conseguente tempestiva denuncia dei vizi, nonchè per avere erroneamente ritenuto che gli ordini di merce distinti nel tempo e relativi a prodotti diversi tra loro e da clienti diversi, integrassero invece “consegne ripartite della stessa merce”. La critica della ricorrente si appunta in primo luogo contro l’affermazione della Corte d’appello (a pag. 6/7 della sentenza) secondo cui, quanto all’ordine (OMISSIS), “l’appellante non ha neppure specificamente contestato l’affermazione del Tribunale “che la documentazione prodotta dalla opponente non sia idonea per la genericità a paralizzare l’eccezione di decadenza anche con riferimento all’ordine (OMISSIS)”. Al riguardo, la società ricorrente sostiene che, dai passi dell’atto di appello riportati (pag. 3 e pag. 12/13), risulterebbe che la consegna della merce è avvenuta in data 1 dicembre 2011 e che con il fax del 7 dicembre 2011 “è stata più che tempestivamente denunciata”. Secondo la ricorrente, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, “in merito al separato e distinto contratto di compravendita di cui all’ordine (OMISSIS)” sarebbe “stata dimostrata e provata la tempestiva e documentale contestazione del vizio riscontrato sulla merce”. Ad avviso della ricorrente, la Corte di merito sarebbe caduta nell’errore di ritenere che i tre ordini di merce fossero un unico contratto a consegne ripartite, laddove “l’ordine contraddistinto con il n. (OMISSIS) riguardava beni distinti e diversi”. La ricorrente sottolinea inoltre che la stessa conformazione, dimensione e consistenza delle buste era completamente diversa: e poichè “le merci e il contratto di cui al numero 2 non” potrebbero “essere confusi con gli altri due ordinativi di merce”, sarebbe erronea l’applicazione del principio, richiamato a pag. 5 della sentenza impugnata, secondo cui “nella vendita a consegne ripartite se un medesimo difetto inficia tutta la merce il termine per la relativa denuncia è unico e decorre dalla consegna o scoperta iniziali”. D’altra parte – rileva conclusivamente la ricorrente per il contratto di cui all’ordine (OMISSIS) anche il vizio che afferiva la merce era diverso (“la differenza di misurazione delle buste”).

4.1. – Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi.

4.1.1. – La prima censura rivolta alla sentenza della Corte di Milano consiste nell’avere “deliberatamente ignorato”, con riferimento all’ordine (OMISSIS), la data di consegna della merce (avvenuta in data 1 dicembre 2011) e la “conseguente tempestiva denuncia dei vizi” (con il fax del 7 dicembre 2011): nel non avere dunque considerato che “era stata dimostrata e provata la tempestiva e documentale contestazione del vizio riscontrato sulla merce”.

Sennonchè, la ragione che ha indotto la Corte territoriale a disattendere il motivo di gravame sta altrove: (a) nel non avere l’appellante “neppure specificamente contestato l’affermazione del Tribunale che la documentazione prodotta dalla opponente non sia idonea, per la sua genericità, a paralizzare l’eccezione di decadenza anche con riferimento all’ordine (OMISSIS), essendosi la società Capifargel limitata a eccepire che le prove orali e testimoniali invocate dall’acquirente avrebbero potuto integrare eventuali genericità e lacune esistenti nelle prove documentali; (b) nell’avere fatto bene “il Tribunale a non ammettere la prova orale offerta in relazione alla (asserita) denunzia dei vizi della merce relativa all’ordine supra indicato, giacchè questa appariva inidonea quale mezzo di prova…”.

Poichè, dunque, la Corte ambrosiana non ha affrontato la questione circa la tempestività o tardività della contestazione della merce raffrontando la data di denuncia rispetto alla data di consegna della merce, la deduzione della data del fax in rapporto alla data di consegna della merce non appare, in sè, decisiva.

4.1.2. – Parimenti inconferente è l’altra censura mossa alla sentenza della Corte d’appello, articolata sul rilievo che all’ordine (OMISSIS), relativo a separato e distinto contratto di compravendita, non poteva applicarsi il principio di diritto secondo cui, nella vendita a consegne ripartite, se un medesimo difetto inficia tutta la merce, il termine per la relativa denuncia è unico e decorre dalla consegna o scoperta iniziali.

In realtà, diversamente da quanto prospetta la ricorrente, la Corte di Milano ha richiamato ed applicato il principio relativo alla vendita a consegne ripartite, non con riferimento alla vendita di cui all’ordine (OMISSIS), ma esclusivamente con riguardo alla vendita che si è tradotta negli ordini (OMISSIS). Ciò risulta in modo evidente dalla pag. 5 della sentenza impugnata.

5. – Il ricorso è rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 5.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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