Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16158 del 08/07/2010

Cassazione civile sez. III, 08/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 08/07/2010), n.16158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16092/2006 proposto da:

T.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO

29, presso lo studio dell’avvocato DI GRAVIO Dario, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso unitamente

all’avvocato T.M. difensore di sè medesimo;

– ricorrente –

contro

BANCA DELLA COSTA ARGENTO – CREDITO COOPERATIVO DI CAPALBIO

S.C.A.R.L. (OMISSIS) in persona del Presidente legale rappresentante

pro tempore Dr. A.F.A., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE B. BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato

D’ALESSIO Antonio, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FORMICONI GIUSEPPE giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

R.G. (OMISSIS), B.A. (OMISSIS), A.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1670/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Prima Civile, emessa il 21/6/2005, depositata il 09/11/2005,

R.G.N. 54/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/06/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato DOMENICO TALARICO per delega dell’Avvocato DARIO DI

GRAVIO;

udito l’Avvocato ANTONIO D’ALESSIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 17 – 22 novembre 2003 il tribunale di Grosseto in accoglimento della opposizione di terzo revocatoria ex artt. 404 e 656 c.p.c., proposta dalla Banca della Costa d’Argento, da B.A. e R.G. avverso il Decreto Ingiuntivo n. 34 del 1998 del presidente di quel tribunale emesso a carico di A.T. e in favore di T.M., relativo a compensi reclamati da quest’ultimo per l’assistenza professionale prestata in favore della A., ha revocato tale decreto, dichiarandone la inefficacia nei confronti degli opponenti e rigettato la domanda del T..

Gravata tale pronunzia dal soccombente T. nel contraddittorio della Banca della Costa d’Argento che costituitasi in giudizio ha chiesto il rigetto della avversa impugnazione nonchè di B.A., R.G. e di A.T., rimasti contumaci, la Corte di appello di Firenze con sentenza 21 giugno – 9 novembre 2005 ha rigettato l’appello con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 15 marzo 2006, ha proposto ricorso, con atto 15 maggio 2006, T.M., affidato a 5 motivi.

Resiste, con controricorso, illustrato da memoria la Banca della Costa d’Argento.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Esclusa la nullità della sentenza del primo grado per vizio di costituzione del giudice – sotto il profilo che al momento della pronuncia erano stati revocati a quel giudice tutti gli incarichi (primo motivo di appello) – atteso che ai sensi dell’art. 46 bis dell’ordinamento giudiziario i giudici onorari di tribunale non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento dei giudici ordinare l’attività decisoria in questione esula dalla previsione della norma invocata, i giudici di appello hanno rigettato il secondo e il terzo motivo di appello – con cui si deduceva la nullità dell’opposizione per la mancata indicazione della data e della prova della avvenuta conoscenza del dolo delle parti – evidenziando che gli opponenti hanno individuato nella data nel 16 dicembre 1998, cioè, nel giorno in cui hanno ottenuto dalla cancelleria del tribunale di Grosseto la copia autentica del decreto ingiuntivo oggetto di opposizione, con la certificazione di non opposizione e che il fascicolo di parte era stato ritirato dal legale del ricorrente, il momento in cui il loro sospetto ha preso corpo, sicchè la loro opposizione deve essere ritenuta valida e tempestiva, a nulle rilevando, gli eventuali propositi di proporre opposizione, che non possono integrare il momento della piena conoscenza del dolo.

In ordine al quarto motivo di appello, attinente alla dedotta sussistenza del credito azionato con il decreto ingiuntivo, i giudici di secondo grado hanno osservato:

– l’appellante non ha mai indicato crediti professionali, nei confronti di soggetti diversi dalla A., nè al momento della vidimazione della notula da parte del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Grosseto, nè nel ricorso per decreto ingiuntivo, a nulla potendo rilevare la qualità della A.T. di erede di A.S.;

– dalla comparazione tra la notula professionale posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo e i documenti contenuti nel fascicolo di parte del ricorso, emerge non soltanto la insussistenza delle udienze indicate nella detta notula, ma anche la mancanza di 26 ordinanze da esaminare, di 25 deduzioni avversarie, di 42 deduzioni e istanze al giudice istruttore e di 25 udienze di trattazione, non senza rilevare che le presenze in udienza solo spesso solo quelle del codifensore, con poteri disgiunti, avv. Marzotti.

2. Il ricorrente censura la riassunta pronunzia denunziando con il primo motivo, nullità della sentenza di primo grado per vizio di costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, atteso che con decreto 13 ottobre 2003, immediatamente esecutivo, il presidente del tribunale di Grosseto aveva revocato la nomina a giudice onorario del tribunale del Dott. S.F. che, ciononostante aveva deliberato la pronunzia il 17 novembre 2003, pubblicata il 22 novembre successivo.

3. Il motivo non può trovare accoglimento. Ribadendo costante giurisprudenza di questa Corte (ad esempio, Cass. 27 ottobre 2006, n. 23191) si osserva che uno dei presupposti essenziali della “costituzione del giudice” (art. 158 c.p.c.) va identificato nella appartenenza all’ufficio giudiziario del magistrato che costituisce (o concorre a costituire) l’organo giudicante (“il giudice”) operante nell’ambito dello stesso ufficio (salva l’ipotesi di supplenza, che qui non ricorre), posto che l’organo giudicante è una articolazione interna dell’ufficio giudiziario.

Quando tale presupposto manca (perchè la preposizione del magistrato all’ufficio è cessata in data anteriore alla pronuncia), si ha un vizio della costituzione del giudice, che produce, ai sensi dell’art. 158 c.p.c., la nullità insanabile dell’atto da lui emanato (cfr. Cass. 9 luglio 2001, n. 9294).

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. 12 luglio 1993, n. 7675, Cass. 9 dicembre 1994, n. 10547, nonchè Cass. 8 ottobre 2001, n. 12324, specie in motivazione), il momento della pronuncia della sentenza, nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all’ufficio per poter validamente provvedere, va identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre i successivi momenti dell’iter formativo, e cioè la stesura della motivazione, la sottoscrizione e la pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia, sicchè, ai fini dell’esistenza dell’atto, è irrilevante che dopo la decisione il giudice singolo, o uno dei componenti dell’organo collegiale, per circostanze sopravvenute come il trasferimento o il collocamento fuori ruolo o a riposo, sia cessato dalle funzioni presso l’ufficio investito della controversia.

Nel caso in cui manchi la data della deliberazione in calce alla sentenza (la cui omissione non da luogo a nullità – Cass. 3 dicembre 1999, n. 13505), nell’ipotesi di sentenza di giudice monocratico, per la quale manca il procedimento deliberativo proprio del giudice collegiale, disciplinato dall’art. 276 c.p.c., non può ritenersi, come sostiene il ricorrente, che la data della decisione coincida con la data del deposito.

Infatti la data della deliberazione, costituendo un elemento della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c,, comma 2, n. 5, anche se emessa da giudice monocratico, ha una propria autonomia rispetto alla data del deposito della sentenza in cancelleria, di cui al successivo art. 133 c.p.c..

In questo caso si deve ritenere che il giudice monocratico abbia deciso la causa allorchè egli poteva e doveva deciderla e cioè immediatamente dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni e discussione della causa, ai sensi dell’art. 321 c.p.c..

Pacifico quanto precede, non controverso – da una parte – che le parti hanno – nel caso concreto – rassegnato le proprie conclusioni definitive nel corso della udienza del 25 giugno 2002 e che al termine di questa il giudice ha trattenuto la causa per la decisione assegnando alle parti i termini di legge per conclusionali e repliche, dall’altra, che il provvedimento con il quale il presidente del tribunale ha revocato la nomina a giudice onorario del tribunale del Dott. S. è, unicamente del 13 ottobre 2003 e, quindi, ben successivo alla data per il deposito di conclusionali e repliche, è palese che la invocata nullità della sentenza del primo giudice non sussiste. (Per fattispecie analoghe cfr., Cass. 20 luglio 2007, n. 16165; Cass. 27 ottobre 2006, n. 23191; Cass. 8 ottobre 2001, n. 12324).

4. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia:

– da una parte, nullità della citazione introduttiva di primo grado ed inammissibilità dell’opposizione revocatoria per mancata indicazione nella citazione della data e della relativa prova della conoscenza del dolo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e all’art. 360 c.p.c., n. 3;

– dall’altra, omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

– da ultimo, violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

5. Il motivo, per alcuni profili manifestamente infondato, per altri inammissibile, non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5.1. Come ricordato anche dalla difesa del ricorrente la giurisprudenza di questa Corte in varie occasioni ha precisato che il creditore che agisce con il rimedio della opposizione di terzo revocatoria avverso un decreto ingiuntivo (che si assuma) ottenuto, nei confronti del proprio debitore, da un terzo per effetto di collusione tra questi ultimi ha l’onere di indicare specificamente, nell’atto di citazione in opposizione, la data della conoscenza di tale collusione e della relativa prova, così come prescritto dall’art. 405 c.p.c., comma 2, con la conseguenza che la omissione di tale indicazione è causa di nullità dell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2 (integrando, in sostanza, una ipotesi di “mancata esposizione dei fatti” richiesta dall’art. 163 cod. proc. civ., n. 4, cui il successivo art. 164, comma 4, ricollega detto effetto di nullità, peraltro non sanabile con la mera costituzione del convenuto, ma solo con la integrazione successiva della domanda e con effetto soltanto ex nunc, trattandosi di vizio inerente non alla vocatio in ius, ma alla vera e propria editio actionis), atteso il difetto, nell’atto, di uno dei requisiti formali indispensabili al raggiungimento del suo scopo, costituito, nel caso di specie, dall’esigenza di porre immediatamente il giudice e la controparte in condizione di rilevare la tempestività dell’opposizione, in relazione al termine perentorio di trenta giorni dalla scoperta (del dolo o della collusione) stabilito dall’art. 325 e art. 326, comma 2, del codice di rito (in termini, Cass. 15 ottobre 1997, n. 10116 nonchè Cass. 19 maggio 2003, n. 7856).

5.2. Pacifico quanto sopra si osserva – in termini opposti rispetto a quanto suppone la difesa di parte ricorrente – che il vigente ordinamento processuale non è un processo per “formule”.

In particolare perchè possano dirsi osservati gli oneri posti dal codice di rito a carico di una delle parti non e necessario – a pena di nullità del relativo atto – che questa utilizzi espressioni sacramentali o solenni.

Non si dubita, infatti, che la interpretazione della domanda giudiziale e – in genere – di tutti gli atti sottoposti all’esame del giudice, va compiuta non solo nella sua letterale formulazione, ma anche – e soprattutto – nel sostanziale contenuto delle sue pretese, con riguardo alle finalità perseguite nel giudizio.

Pertanto, come non può ritenersi nulla la citazione per omessa determinazione dell’oggetto della domanda quando il petitum sia individuabile attraverso un esame complessivo dell’atto, cioè qualora esso risulti dal complesso delle espressioni usate dall’attore in qualunque parte dell’atto introduttivo, sussistendo la nullità de qua esclusivamente qualora il petitum sia del tutto omesso o risulti assolutamente incerto (cfr. Cass. 28 agosto 2009, n. 18783; Cass. 7 marzo 2006 n. 4828; Cass. 1 giugno 2001, n. 7448), così non sussiste nullità dell’atto introduttivo per omessa “esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda”, allorchè tali fatti siano agevolmente identificabili da parte del giudice del merito.

5.3. L’indagine – comunque – circa l’individuabilità, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (o della citazione in appello), di elementi idonei a consentire l’identificazione vuoi della persona evocata in giudizio, vuoi dei fatti e degli elementi costituenti le ragioni della domanda, ed a far escludere la sussistenza di quella assoluta incertezza al riguardo che determina nullità ai sensi dell’art. 164 c.p.c., è istituzionalmente rimessa al giudice del merito.

La stessa – inoltre – è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 31 maggio 2006 n. 13005; Cass. 21 novembre 2006, n. 24680).

Non si dubita, quindi – e tale principio deve essere ulteriormente ribadito – che la valutazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancanza di determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto sulle quali questa si fonda implica una interpretazione dell’atto introduttivo della lite riservata al giudice del merito, censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione (Cass. 14 marzo 2008 n. 6891, specie in motivazione).

Sia nel rito “ordinario” che in quello c.d. “del lavoro” – in particolare – la valutazione della nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado per mancanza di determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto sulle quali questa si fonda – ravvisabile solo quando attraverso l’esame complessivo dell’atto sia impossibile l’individuazione esatta della pretesa dell’attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa – implica una interpretazione dell’atto introduttivo della lite riservata al giudice del merito, censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione (In questo senso, ad esempio, oltre Cass., 14 marzo 2008 n. 6891, cit.; Cass. 17 marzo 2005, n. 5879, nonchè Cass. 31 maggio 2006, n. 13059).

5.4. Facendo applicazione, al caso di specie, dei principi di diritto sopra esposti è agevole osservare -in limine – che sia il primo giudice sia quello di appello hanno interpretato la citazione introduttiva del giudizio in primo grado che nel senso che risulta dal contesto dell’opposizione che gli opponenti hanno individuato nel 16 dicembre 1998 … il giorno in cui il loro sospetto ha preso corpo sicchè la loro opposizione deve essere ritenuta valida e tempestiva.

E’ palese – di conseguenza – la manifesta infondatezza del primo profilo del secondo motivo di ricorso ove lamenta la nullità della citazione introduttiva di primo grado e la inammissibilità dell’opposizione revo-catoria per mancata indicazione nella citazione della data e della relativa prova della conoscenza del dolo, certo essendo che i giudici del merito con accertamento loro esclusivamente rimesso e insindacabile in questa sede di legittimità, hanno accertato il puntuale rispetto delle norme che disciplinano la particolare domanda per cui è controversia, escludendo sia la nullità della citazione introduttiva (sussistendo tutti gli e-lementi di legge) sia, di conseguenza, la inammissibilità della opposizione revocatoria (ritenuta, all’estremo, fondata e, quindi, accolta nel merito).

5.5. Sotto gli ulteriori profili il motivo – come anticipato – deve essere dichiarato inammissibile.

5.5.1. A norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel resto applicabile nella specie ratione temporis essendo oggetto di ricorso una pronunzia resa anteriormente al 2 marzo 2006 le sentenze pronunziate in grado di appello o in un unico grado possono essere impugnata con ricorso per cassazione, tra l’altro “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

E’ palese, pertanto, che i detti vizi – salvo che non investano distinte proposizioni contenute nella stessa sentenza, cioè diversi punti decisivi – non possono concorrere tra di loro, ma sono alternativi.

Non essendo logicamente concepibile che una stessa motivazione sia, quanto allo stesso punto decisivo, contemporaneamente “omessa”, nonchè “insufficiente” e, ancora “contraddittoria” è evidente che è onere del ricorrente precisare quale sia – in concreto – il vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost. e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa al giudice, come invece pretende parte ricorrente.

Atteso che nella specie parte ricorrente pur censurando, nella rubrica, la sentenza impugnata denunziando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omette, nella parte espositiva del motivo in quale punto la motivazione e stata “omessa”, in quale la stessa è “insufficiente” e in quale, ancora, “contraddittoria”, è palese – già sotto tale aspetto – la inammissibilità del profilo del motivo in esame.

5.5.2. Contemporaneamente, giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui senza alcuna motivazione totalmente prescinde parte ricorrente) il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio deciderteli, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Sempre alla luce di quanto non controverso in giurisprudenza, si osserva che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (cfr. art. 366 c.p.c.) – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o acri attinenti ai pregresso giudizio di merito 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845).

Non controversi i principi che precedono, è palese che qualora si deduca – come nella specie – che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa.

Poichè nella specie parete ricorrente pur denunziando nella intestazione del motivo in esame anche la “contraddittoria motivazione” si è astenuto, totalmente – nella successiva parte espositiva – dal trascrivere le proposizioni presenti nella sentenza impugnata tra loro contraddittorie, è evidente che nella parte de qua il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

5.5.3. Anche a prescindere da quanto precede, infine, si osserva che il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi ai motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può,invece, essere inteso – come ora pretende il ricorrente – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087, Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087, specie in motivazione, nonchè Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 6 settembre 2007, n. 18709; Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Pacifico quanto precede è palese la inammissibilità del motivo in esame.

Da una parte, infatti, i giudici del merito hanno interpretato il “contesto dell’opposizione” – cioè della citazione introduttiva – nel senso che in questa gli opponenti avevano “individuato nel 16 dicembre 1998, cioè nel giorno in cui hanno ottenuto dalla Cancelleria dei tribunale di Grosseto la copia autentica del decreto ingiuntivo in oggetto con la certificazione di non opposizione .. il momento in cui il loro sospetto ha preso corpo …”, dall’altra il ricorrente oppone una diversa lettura di tale atto processuale omettendone la trascrizione dei passaggi privilegiati dai giudici a quibus.

E’ evidente la inammissibilità, anche sotto tale profilo della censura in esame atteso che con la stessa il ricorrente lungi dal prospettare vizi di motivazione della sentenza impugnata, rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si limita a contrapporre alla interpretazione data dai Giudici del merito del ricorso introduttivo, una propria, soggettiva lettura dello stesso atto, così cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di legittimità, che – contrariamente a quanto presuppongono le difese svolte della ricorrente – non è un giudizio di merito di terzo grado (cfr. Cass. 21 aprile 2006, n. 9368; Cass, 20 aprile 2006, n. 9234; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322).

5.5.4. Parimenti manifestamente inammissibile – da ultimo – è il motivo in esame nella parte in cui denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1363 c.c., e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e violazione e falsa applicazione di altre norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In conformità, in particolare, a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi – infatti – il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.

Il riferito principio comporta – in particolare – tra l’altro che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003 n. 2312).

Quindi, quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).

In altri termini, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettate nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valuta-zione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio ai motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (recentemente, in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le molteplici disposizioni di legge indicate nella intestazione e nella esposizione del motivo, in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

6. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando nullità dei procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si assume – infatti – che le controparti hanno proposto opposizione di terzo revocatoria “con scopi esplorativi” atteso che l’azione “è stata proposta per verificare una mera ipotesi, così piegando il delicato mezzo alle esigenze e agli interessi degli attori al di fuori del corretto e rigido schema previsto dall’ordinamento”.

7. La deduzione è inammissibile.

Almeno sotto due, concorrenti, profili.

7.1. In primis si osserva che giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente – nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270; Cass. 12 luglio 2005, nn. 14599 e 14590, tra le altre).

Contemporaneamente, non può tacersi che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 5 aprile 2004, n. 6656).

Atteso che la specifica questione oggetto del terzo motivo di ricorso non risulta in alcun modo esaminata dai giudici di secondo grado e tenuto presente che il ricorrente non denunzia, al riguardo – sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 – una omessa pronunzia su uno specifico motivo di appello è evidente, già sotto tale profilo, la inammissibilità della censura.

7.2. In secondo luogo, anche a prescindere da quanto precede, come evidenziato sopra, in sede di rigetto del secondo motivo di ricorso, i giudici del merito hanno accertato che gli opponenti hanno promosso -in primo grado – li presente giudizio entro un anno dalla data in cui hanno avuto la certezza del dolo con cui avevano agito l’odierno ricorrente nonchè la loro debitrice A.T..

Come pacifico, in tale atto gli opponenti hanno espressamente – e puntualmente – rappresentato gli elementi da cui traevano la prova di tale dolo concludendo perchè fosse dichiarata la nullità ovvero la inefficacia e comunque la inopponibilità ai comparenti del decreto ingiuntivo n. 34/98 emesso dal presidente del tribunale di Grosseto il 17 aprile 1998.

Certo quanto sopra è palese la inammissibilità del motivo in esame oltre che per gli assorbenti rilievi svolti sub 7.1. ove si consideri:

– da un lato, che non viene censurata la interpretazione, data dalla sentenza impugnata, dell’atto introduttivo del giudizio in primo grado, ma si riportano – al fine di dimostrare la natura “esplorativa” della azione proposta ex adverso – passaggi della comparsa conclusionale di primo grado degli attori, nonchè dei loro atti difensivi in appello (comparsa di risposta e comparsa conclusionale), palesemente irrilevanti al fine di interpretare quello che è stato il petitum dell’ atto introduttivo del giudizio di primo grado;

– sempre nello stesso contesto si pretende di trarre la natura esplorativa dell’azione promossa da – criticate – enunciazioni contenute nella sentenza di primo grado, totalmente prescindendo dal considerare che in sede di legittimità è oggetto di sindacato esclusivamente e unicamente la pronunzia di appello e non anche pur nell’eventualità sia stata confermata in secondo grado quella del primo giudice (cfr., tra le tantissime, Cass. 3 agosto 2007, n. 17072; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952).

8. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ancora, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 405 c.p.c., comma 2, artt. 325 e 326 c.p.c..

Assume il ricorrente che innanzi al giudice dell’esecuzione, nel corso dell’udienza del 20 novembre 1998 i difensori degli attori avevano dichiarato che era in corso la predisposizione dell’opposizione di terzo al decreto ingiuntivo in favore del T., così palesando a quel momento la conoscenza degli elementi di dolo fondanti la impugnazione proposta unicamente con la citazione dell’11 gennaio 1999 e, quindi, oltre il termine di 30 giorni previsto per la sua ammissibilità.

9. Il motivo, per alcuni aspetti inammissibile, per altri manifestamente infondato, non può trovare accoglimento.

9.1. Come già riferito in precedenza la sentenza impugnata ha accertato – in linea di fatto – che gli attori in primo grado hanno acquisito la certezza del dolo con il quale era stato chiesto il decreto ingiuntivo oggetto di controversia, non opposto dalla debi-trice, unicamente il 16 dicembre 1998, cioè nel giorno in cui hanno ottenuto dalla cancelleria del tribunale di Grosseto la copia autentica del decreto ingiuntivo in oggetto con la certificazione di non opposizione e che il fascicolo di parte era stato ritirato dal legale del ricorrente.

Pacifico quanto precede è palese – come puntualmente evidenziato dalla sentenza ora oggetto di ricorso -la totale irrilevanza, al fine del decidere, che in precedenza gli stessi attori nutrissero qualche dubbio (o perplessità) sulla correttezza dell’operato dell’ avvocato T. e della A., tanto da dichiarare, nel non approvare il progetto di distribuzione che vanificava la possibilità di soddisfarsi dei propri crediti nei confronti della A. che era in corso di predisposizione l’opposizione di terzo al decreto ingiuntivo de quo.

E’ palese, pertanto, la inammissibilità delle censure mosse al riguardo dal ricorrente a tale passaggio della sentenza impugnata atteso che lungi dal prospettare vizi rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, o sotto quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione (?) delle norme sulla interpretazione degli atti negoziali, si limitano a opporre alle valutazioni del giudice del merito un diverso, inammissibile, apprezzamento di quelle stesse circostanze e a sollecitare, pertanto, in dispregio di quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito di terzo grado.

9.2. Anche a prescindere dalla sopra evidenziata inammissibilità della censura la stessa è manifestamente infondata alla luce delle stesse argomentazioni svolte dal ricorrente in margine al terzo motivo.

Nell’ambito di questo, come ricordato sopra, il ricorrente ha affermato che non può proporsi azione ex art. 404 c.p.c., con scopi esplorativi, per verificare una mera ipotesi, cosi piegando il delicato mezzo alle esigenze e agli interessi degli attori al di fuori del corretto e rigido schema previsto dall’ordinamento.

Certo quanto sopra è di palmare evidenza che gli attori in primo grado sarebbero incorsi in una domanda inammissibile – in quanto diretta a scopi esplorativi – nell’eventualità avessero proposto la stessa entro trenta giorni a decorrere dal 20 novembre 1998, cioè da una data nella quale non avendo ancora ottenuto dalla cancelleria del tribunale di Grosseto la copia autentica del decreto ingiuntivo in oggetto con la certificazione di non opposizione e che il fascicolo di parte era stato ritirato dal legale del ricorrente non avevano alcuna certezza del dolo delle controparti.

10. In ordine al quarto motivo di appello e alla dedotta sussistenza del credito azionato con decreto ingiuntivo la corte di appello l’ha rigettato atteso che:

– l’appellante non ha mai indicato crediti professionali nei confronti di soggetti diversi da A.T., nè al momento della vidimazione della notula da parte del consiglio dell’ordine degli avvocati di Grosseto, nè nel ricorso per decreto ingiuntivo, a nulla potendo rilevare la qualità dell’ A.T. di erede della sorella S.;

– dalla comparazione tra la notula professionale posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo e i documenti contenuti nei fascicolo di parte emerge non soltanto la insussistenza delle udienza indicate in detta notula, ma anche la mancanza di 26 ordinanze da esaminare, di 25 deduzioni avversarie, di 42 deduzioni e istanze al giudice istruttore e di 25 udienze di trattazione;

– non senza considerare che le presenze in udienza sono speso soltanto quelle del codifensore con poteri disgiunti, avv. Marzotti.

11. Con il quinto, e ultimo, motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte de qua denunziando:

– violazione e/o falsa applicazione degli artt. 752 e 754 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

– omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

– nonchè violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

– nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ed omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

12. Al pari dei precedenti il motivo non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

12.1. Non coglie in alcun modo nel segno il richiamo alle norme di cui all’art. 752 e 754 c.c. e alla qualità dei A.T. di erede della sorella defunta, nel cui interesse sarebbero state eseguite gran parte delle prestazioni professionali.

Contrariamente a quanto invoca la difesa dell’odierno ricorrente la circostanza che A.T., quale erede della sorella S. fosse tenuta ex art. 752 e 754 c.c., al pagamento dei “debiti” contratti, in vita, dalla sorella nei confronti del T., non fa sì che le prestazioni rese da costui in favore della defunta, possano considerarsi, a ogni effetto, prestazioni in favore (cioè nell’interesse e a tutela) di A.T..

In particolare era onere del T., che assumeva di agire per ottenere il pagamento di prestazioni professionali “descrivere»” sia nella notula presentata per la vidimazione al Consiglio dell’Ordine, sia nel ricorso per decreto ingiuntivo, l’attività professionale svolta.

Era, cioè – essenziale – che lo stesso precisasse puntualmente, non solo l’attività svolta ma anche in favore di quale soggetto detta attività era stata prestata.

In particolare doveva – nettamente – essere tenuta distinta l’attività prestata a favore di ciascuna delle parti che l’avevano incaricato di assisterle, precisando unicamente al termine della notula, che a seguito del decesso di una delle debitrici l’azione era promossa nei confronti dell’erede di questa.

Certo quanto precede, e palese, come del resto puntualmente evidenziato al riguardo dal primo giudice che esporre con coscienza e volontà dati non veritieri (avere) cioè svolto attività professionale per un soggetto diverso da quello per il quale l’attività stessa è stata prestata integra una attività dolosa.

12.2. Quanto alle censura mossa in margine alla seconda delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata, quanto alla circostanza che dagli atti di causa non risultano eseguite moltissime attività pur se indicate nel ricorso per decreto ingiuntivo, la deduzione non può trovare accoglimento, perchè inammissibile almeno sotto due, concorrenti, profili.

12.2.1. Giusta la testuale previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, le sentenze pronunziate in grado di appello possono essere impugnate per revocazione qualora la sentenza stessa si “l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”.

“Vi è questo errore – in particolare – quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa”.

Pacifico quanto sopra e non controverso che la denuncia di un travisamento di fatto quando attiene non alla motivazione della sentenza impugnata, ma ad un fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo non di ricorso per cassazione ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., importando essa un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimità (cfr. Cass. 27 marzo 1999, n. 2932), è palese la inammissibilità – come anticipato – della censura in esame.

Nella specie, infatti, il ricorrente denunziando di non essere stato posto in grado di comprendere quali sarebbero – a parere del giudice di appello – le attività non svolte (e per le quali, tuttavia, ha reclamato un compenso) non censura la sentenza impugnata denunziando un “vizio” della motivazione della sentenza impugnata rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ma imputa – in pratica – alla sentenza un travisamento dei fatti che – in quanto tale – non può costituire motivo di ricorso per cassazione.

Il denunciato travisamento, in particolare, risolvendosi nell’inesatta percezione da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 (tra le tantissime, Cass. 9 gennaio 2007, n. 213; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498; Cass., sez. un., 20 giugno 2006, n. 14100; Cass. 18 gennaio 2006, n. 830; Cass. 30 novembre 2005, n. 26091) .

12.2.2. Anche a prescindere da quanto precede – comunque – la deduzione è inammissibile anche sotto un ulteriore profilo.

La sentenza impugnata ha puntualmente indicato quali fossero le voci per le quali non vi era corrispondenza, tra gli atti prodotti e il compenso reclamato con il ricorso per decreto ingiuntivo si precisa, infatti, al riguardo che “dalla comparazione tra la notula professionale posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo e i documenti contenuti nel fascicolo di parte emerge non soltanto la insussistenza delle udienza indicate in detta notula, ma anche la mancanza di 26 ordinanze da esaminare, di 25 deduzioni avversarie, di 42 deduzioni e istanze al giudice istruttore e di 25 udienze ai trattazione” ed è palese, per l’effetto, che per il rispetto del principio dell’autosufficienza era onere del ricorrente trascrivere, in ricorso, i passaggi, vuoi del ricorso per ingiunzione, vuoi degli atti di causa, onde consentire a questa corte la verifica della fondatezza della censura articolata.

13. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione che liquida, in favore della parte contro ricorrente, in Euro 200,00, oltre Euro 10.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2010

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