Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16155 del 28/06/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 23/05/2017, dep.28/06/2017),  n. 16155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13568/2010 R.G. proposto da:

M.L., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

a margine del ricorso, dall’avv. Roberto D’Amico, elettivamente

domiciliato presso lo studio legale del predetto difensore, in Roma,

via Appia Nuova, n. 96, presso avv.to Alessandra Gabbani;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 467/40/09, depositata in data 30 giugno 2009.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 maggio

2017 dal Cons. Luciotti Lucio.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che con sentenza n. 467 del 30 giugno 2009 la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da M.L. ed accoglieva quello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dal predetto contribuente avverso l’avviso di accertamento di un maggior reddito di impresa (pari a 72.659,00 Euro, rispetto a quello dichiarato di 24.183,00 euro) ai fini IVA, IRPEF ed IRAP con riferimento all’anno di imposta 2002, risultante dall’applicazione degli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993;

– che i giudici di appello sostenevano che le circostanze dedotte dal contribuente, quali l’apertura di grandi centri commerciali ed il fatto di esser stato destinatario di decreti ingiuntivi e pignoramenti, non erano idonee a giustificare il rilevato scostamento anche alla stregua del fatto che l’ufficio finanziario aveva tenuto conto, nella rideterminazione del reddito, dell’effettuazione di vendite di fine stagione;

– che avverso tale statuizione ricorre per cassazione il contribuente sulla base di tre motivi, illustrati con memorie ex art. 378 c.p.c., cui replica l’intimata con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che con il primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto priva di motivazione, essendo quella esposta in sentenza costituita dalla mera adesione acritica alla tesi prospettata dall’Ufficio, confezionata mediante integrale riproduzione delle controdeduzioni ed appello incidentale depositate dall’Agenzia delle entrate nel giudizio di secondo grado;

– che il motivo è infondato alla stregua del principio affermato dal supremo consesso di questa Corte, secondo cui “nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo”, come nel caso di specie, “atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato” (Cass., Sez. U., n. 642 del 2015);

– che il secondo motivo, con cui, deducendo il vizio di omessa motivazione, il ricorrente sostiene che il giudice di appello “non ha eseguito alcun esame delle prove fornite dal contribuente” “in sede di contraddittorio con l’Agenzia” è palesemente infondato, in quanto i giudici di appello hanno preso in considerazione tutte le giustificazioni fornite dal contribuente in sede amministrativa e processuale (quali, l’incidenza dei debiti risultanti dalle “ingiunzioni, i precetti e decreti ingiuntivi”, la “potenzialità economica dell’azienda”, tenendo conto della tipologia dei prodotti venduti e della concorrenza dei centri commerciali, la percentuale di ricarico applicata e quella media di settore, l’effettuazione di vendite a saldo di fine stagione), ritenendole inidonee a giustificare l’annullamento dell’atto impositivo anche in considerazione del fatto che l’ufficio finanziario aveva comunque operato una riduzione del reddito accertato;

– che il motivo in esame è anche inammissibile, sia per difetto di autosufficienza con riferimento all’errata individuazione della percentuale di ricarico applicata (del 10%, secondo la CTR e del 18% secondo la ricorrente), non essendo stato riprodotto il contenuto degli atti processuali da cui emergerebbe tale divergenza, sia perchè si risolve in una istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di Cassazione; invero, la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. n. 322 del 2003, n. 23286 del 2005, n. 9233 del 2006 e, più recentemente, n. 1414 del 2015), giacchè il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento dagli elementi probatori che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori considerati nel loro complesso, pur senza una esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non considerati;

– che, nella specie, non sussiste, dunque, il denunciato vizio di motivazione, in quanto la sentenza impugnata appare congruamente motivata ed immune da vizi logico-giuridici, mentre le doglianze che il ricorrente solleva alla decisione impugnata si sostanziano nella inammissibile richiesta al giudice di legittimità di sottoporre le risultanze processuali emerse nel corso del giudizio di merito ad una nuova valutazione, in modo da sostituire alla valutazione sfavorevole già effettuata dai primi giudici una più consona alle proprie concrete aspirazioni (cfr., ex multis, Cass. n. 25332 del 2014);

– che con il terzo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto emesso in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993, sostenendo l’illegittimità dell’avviso di accertamento perchè fondato soltanto sul rilevato scostamento tra reddito dichiarato e reddito presuntivo, che, peraltro, neppure testimoniava quella grave incongruenza richiesta dalla disposizione censurata, senza alcuna motivazione sulle circostanze fattuali dedotte a giustificazione di detto scostamento;

– che il motivo è palesemente inammissibile avendo il ricorrente omesso, in spregio al principio di autosufficienza, di trascrivere il contenuto dell’avviso di accertamento, così impedendo a questa Corte l’effettuazione del necessario vaglio di fondatezza della censura, annotandosi, peraltro, anche l’inammissibilità dell’eccezione di insussistenza del presupposto del grave scostamento tra i redditi, perchè nuovo, essendo stata prospettata per la prima volta nel ricorso in esame, non risultando, nè essendo stata dedotta o provata, che la questione sia stata posta nei precedenti gradi di giudizio;

– che, in estrema sintesi, il ricorso va rigettato per infondatezza del primo e secondo motivo di ricorso ed inammissibilità del terzo, ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;

PQM

 

dichiara infondati il primo e secondo motivo di ricorso, inammissibile il terzo, e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, che liquida in Euro 5.600,00 per compenso, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA