Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16155 del 08/07/2010

Cassazione civile sez. III, 08/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 08/07/2010), n.16155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SIME COMMERCIALE SRL IN CONCORDATO PREVENTIVO IN LIQUIDAZIONE

(OMISSIS) in persona del Commissario Giudiziale e Liquidatore

Giudiziale Dr. C.M. e del Liquidatore Dr. A.

N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 14,

rappresentata e difesa dall’avvocato GRILLI CARLO giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.E. (OMISSIS), L.A.M.

(OMISSIS);

– intimate –

e sul ricorso n. 15053/2006 proposto da:

L.A., S.E., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA LAZIO 6, presso lo studio LA SCALA &

ASSOCIATI,

rappresentate e difese dall’avvocato LIDDO EMANUELE giusta delega a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti –

contro

SIME COMMERCIALE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 537/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

emessa il 6/7/2005, depositata il 24/09/2005, R.G.N. 1230/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2010 dal Consigliere Dott. FINOCCHIARO Mario;

udito l’Avvocato CARLO GRILLI;

udito l’Avvocato SABATINO CIPRIETTI per delega dell’Avvocato EMANUELE

LIDDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per la riunione: accoglimento 1 motivo,

assorbito il 2 motivo del ricorso principale e rigetto del ricorso

incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 16 aprile 1992 il presidente del tribunale di Ascoli Piceno ha ingiunto a L.E., titolare della ditta CRETE di Lametti Eugenio il pagamento, in favore della Sime Commerciale s.p.a., della somma di L. 15.902.055, oltre interessi di legge al saldo e spese della procedura monitoria.

Tale importo era reclamato dalla creditrice Sime Commerciale a titolo di corrispettivo per merci da questa ultima fornite al L., tra l'(OMISSIS).

Con atto 21 maggio 1992 il L. ha proposto – innanzi al tribunale di Ascoli Piceno – opposizione avverso il descritto decreto, denunziando la intervenuta prescrizione del credito azionato, atteso che la prima richiesta di pagamento era stata formulata da controparte esclusivamente con lettera 18 gennaio 1987 successiva al decorso di dieci anni, rispetto all’ultima fornitura e tenuto presente che la propria comunicazione, in data 26 gennaio, non conteneva alcuna volonta’ di rinunzia alla gia’ perfezionatasi prescrizione.

Costituitasi in giudizio la societa’ opposta ha resistito alla avversa opposizione eccependo di avere interrotto la prescrizione con lettere raccomandati 14 dicembre 1983, 11 settembre 1986, 13 gennaio e 16 gennaio 1987 e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna di controparte al risarcimento del maggior danno patito a causa dall’inadempimento di controparte, danno pari al saggio degli interessi bancari.

Svoltasi la istruttoria del caso, l’adito tribunale, con sentenza 9 giugno – 7 luglio 2003 ha revocato il decreto opposto e rigettato sia la domanda della Sime Commerciale con condanna della stessa al pagamento delle spese di lite, sia la domanda del L. di ripetizione delle somme pagate a titolo di esecuzione provvisoria del decreto opposto, per difetto di prova dell’avvenuto pagamento.

Gravata tale pronunzia in via principale dalla Sime Commerciale s.p.a. e in via incidentale da S.E. e L.A. M., nella loro qualita’ di eredi del defunto L.E. la Corte di appello di Ancona, con sentenza 6 luglio – 24 settembre 2005 in riforma della decisione del primo giudice ha rigettato la opposizione al decreto ingiuntivo 16 aprile 1992 proposta dal L.E., nonche’ l’appello incidentale del L.E..

Per la cassazione di tale ultima pronunzia notificata il 6 febbraio 2006, ha proposto ricorso, affidato a due motivi e illustrato da memoria la Sime Commerciale s.r.l. gia’ Sime Commerciale s.p.a., con atto 4 aprile 2006, resistono con controricorso e ricorso incidentale affidato a un unico motivo, notificato il 15 maggio 2006 e illustrato da memoria, S.E. e L.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Ha esposto – nella memoria ex art. 378 c.p.c. – il difensore delle controricorrenti e ricorrenti incidentali che il 7 agosto 2008 cioe’ nelle more tra la proposizione del ricorso incidentale e l’udienza di discussione una delle ricorrenti e’ deceduta, come da certificato allegato alla stessa memoria.

3. La circostanza e’ assolutamente irrilevante, al fine del decidere.

In conformita’ a una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice, infatti, deve ribadirsi – ulteriormente – che nel giudizio di cassazione, che e’ dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. e segg., onde, una volta instauratosi il giudizio, il decesso di uno dei ricorrenti, comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del giudizio (in termini, ad esempio, Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n. 14385, nonche’ Cass. 21 maggio 2008, n. 12967; Cass. 23 gennaio 2006, n. 1257).

4. Pacifico che le forniture oggetto di controversia sono state eseguite tra il (OMISSIS) e che con raccomandata 14 dicembre 1983 – ricevuta dal destinatario il 19 dicembre 1983 – e’ stato sollecitato il pagamento delle somme risultanti a credito della Sima Commerciale i giudici di secondo grado hanno disatteso l’eccezione di prescrizione della pretesa azionata dalla creditrice.

5. Con l’unico motivo del proprio ricorso – che per il suo carattere logico deve essere esaminato con precedenza rispetto al ricorso principale – le ricorrenti incidentali censurano nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando violazione o falsa applicazione dell’art. 2691 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia che indica nella ritenuta prova della comunicazione ed afferma essere illogico l’assunto del giudice circa l’onere della prova della comunicazione (art. 360 c.p.c., n. 5).

Denunziano le ricorrenti incidentali, in particolare:

– da un lato che la sentenza impugnata non ha motivato in ordine alle considerazioni svolte dalla difesa di esse concludenti in occasione dell’udienza di discussione di secondo grado, allorche’ il loro difensore ha esibito copia della sentenza 12 maggio 2005 n. 10021 di questa Corte regolatrice, certo essendo che ove la corte del merito si fosse adeguata all’insegnamento contenuto nella ricordata pronunzia l’esito della lite sarebbe stato totalmente diverso, rispetto a quello fatto proprio dai giudici di secondo grado;

– dall’altro che – comunque – erroneamente i giudici a quibus hanno posto a carico di esse concludenti l’onere di dimostrare il diverso contenuto della raccomandata 14 dicembre 1983, rispetto a quello attribuitogli da controparte.

6. Il motivo e’ manifestamente infondato.

Sotto entrambi i profili in cui si articola.

6.1. Quanto al primo lo stesso e’ manifestamente infondato.

In conformita’ a una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice, infatti, deve ribadirsi – ulteriormente – che nella redazione della motivazione della sentenza, il giudice non e’ tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, essendo necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, (nel testo ratione temporis vigente), che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito (in termini, ad esempio, Cass., 20 novembre 2009, n. 24542. Non diversamente, tra le tantissime, Cass. 28 ottobre 2009, n. 22801; Cass., 15 maggio 2007, n. 11193; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145).

Pacifico quanto precede – certo che nella specie i giudici a quibus hanno, puntualmente, e esaurientemente, esposto le ragioni del loro convincimento, affermando, da un lato, che non era mai stato contestato, in corso di causa da parte delle appellanti incidentali che la busta raccomandata ricevuta dal loro dante causa il 19 dicembre 1983 avesse un contenuto diverso da quello della lettera prodotta in copia o non avesse alcun contenuto, dall’altro, che, comunque, la dimostrazione dell’uno o dell’altro assunto non potrebbe che fare carico al destinatario che eccepisce, anziche’ al mittente, anche perche’ per costui la prova della conformita’ tra lettera spedita e ricevuta e lettera prodotta in giudizio risultereste pressoche’ impossibile mentre per il destinatario riesce decisamente praticabile la dimostrazione, anche per testimonianza, che la lettera ricevuta sotto la data della cartolina di ritorno era diverso o che la busta era vuota, e’ palese che il dedotto vizio di motivazione non sussiste.

Hanno ritenuto – infatti – palesemente (come era loro facolta’, anche senza impegnarsi in una apposita motivazione) quei giudici irrilevante per giungere a una diversa conclusione, il diverso convincimento – rispetto a quello esposto e adeguatamente motivato nella stessa – espresso dalla sentenza 12 maggio 2005, n. 10021 di questa Corte (ove, in effetti, e’ enunciato il principio secondo cui la sola ricezione della lettera raccomandata da parte del destinatario non costituisce prova del contenuto di essa).

6.2. Il secondo profilo – per suo conto – da un lato deve essere dichiarato inammissibile, dall’altro, comunque, non puo’ trovare accoglimento, perche’ manifestamente infondato.

6.2.1. Nella specie, come riferito sopra, i giudici di appello hanno disatteso l’eccezione in parola evidenziando due – autonome – rationes decidendi (da un lato, era tardiva, e assolutamente generica, la deduzione che la raccomandata ricevuta aveva un contenuto diverso mai neppure indicato di quello attribuitole dal mittente, o – per ipotesi – fosse vuota; dall’altro vi era stata mancata ottemperanza dell’onere della prova, gravante sul destinatario e non sul mittente, della ricorrenza, nel caso concreto, di una delle dette ipotesi).

Certo che nulla hanno opposto le ricorrenti incidentali in ordine alla prima delle ricordate rationes decidendi, e’ palese la inammissibilita’ della censura (cfr. Cass. 20 novembre 2009, n. 24540; Cass. 11 gennaio 2007, n. 398; Cass. 18 settembre 2006, n. 20118).

6.2.2. Anche a prescindere da quanto sopra, comunque, l’assunto e’ manifestamente infondato.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

Giusta la testuale previsione di cui all’art. 14 preleggi le leggi..

che fanno eccezioni a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in essi considerati.

In deroga ai principi generali, vuoi in tema di notificazione degli atti giudiziari fissati dall’art. 137 c.p.c. e segg. nonche’ dalla L. 20 novembre 1982, n. 890, vuoi in tema di servizio postale, ancora, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 3, prevede – con riguardo alle sole notificazioni nell’ambito del processo tributario – che le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento… E’ evidente, pertanto:

– da un lato, che la speciale disciplina dettata dall’art. 16, comma 3, sopra trascritto, trova applicazione esclusivamente con riguardo alla notifica del ricorso che introduce un giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, o di altri atti da notificarsi nell’ambito di tale giudizio;

– dall’altro, che la interpretazione – pressoche’ pacifica – data dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice della ricordata disposizione non puo’ estendersi ne’ in presenza di notificazioni (a mezzo posta) di atti giudiziari, ne’ – ancora – in caso di utilizzo del servizio postale per la trasmissione di atti recettizi.

Deriva da quanto sopra – quindi – che e’ totalmente irrilevante – al fine del decidere – l’insegnamento contenuto nelle pronunce di questa Corte richiamate nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c. (come ad esempio, Cass. 3 luglio 2003, n. 10481).

In realta’, l’assunto invocato dalle ricorrenti incidentali ancorche’ – in qualche rara occasione – affermato da parte di questa Corte regolatrice (cfr., ad esempio, Cass. 12 maggio 2005, n. 10021, nonche’ Cass. 10 novembre 2006, n. 24031, che – singolarmente – invoca l’autorita’ di Cass. 3 luglio 2003, n. 10481 e di Cass. 2 settembre 2004, n. 17702, rese con riguardo alla speciale disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3, non applicabile fuori dall’ambito del contenzioso tributario), non merita consenso.

La prevalente giurisprudenza di questa Corte regolatrice – in particolare – e’ orientata in termini opposti, avendo affermato, ripetutamente il diverso principio – che questa Corte ritiene di dovere ulteriormente ribadire secondo cui la lettera raccomandata o il telegramma – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarita’ del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente (Cass., 18 ottobre 2005, n. 20144, nonche’ Cass. 24 novembre 2004, n. 22133. Sempre nello stesso senso, Cass. 20 gennaio 2004, n. 771; Cass. 19 agosto 2003, n. 12135; Cass. 3 luglio 2003, n. 10536, tra le tantissime).

7. Come accennato in parte espositiva i giudici di secondo grado, rigettata l’opposizione proposta dal debitore avverso il decreto ingiuntivo 16 aprile 1992 del presidente del tribunale di Ascoli Piceno, hanno riconosciuto il diritto della creditrice all’importo capitale, oltre interessi legali, portato da tale decreto, rigettando peraltro la domanda della creditrice diretta a conseguire il risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c..

Hanno evidenziato quei giudici che la societa’ creditrice ha limitato le proprie richieste, quanto agli accessori del credito, ai soli interessi legali, irrilevante al riguardo essendo la esplicitata riserva di procedere in separata sede per il riconoscimento del maggior danno.

Una domanda di maggior danno – precisa la sentenza impugnata – implica un altro e concreto evento di danno da ritardo e un nuovo tema di indagine, rispetto all’automatismo risarcitorio contemplato dall’art. 1224 c.c., comma 1 e una tale domanda e’ stata tardivamente formulata dalla creditrice unicamente in occasione della costituzione in giudizio per resistere alla opposizione a decreto ingiuntivo e immediatamente controparte ha eccepito la novita’ e – quindi – la inammissibilita’ della deduzione.

8. La ricorrente principale censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando:

da un lato, violazione o falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. ante riforma L. n. 353 del 1990 (art. 360 c.p.c., n. 3), integrando a parere della ricorrente la richiesta del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, una mera emendatio libelli (e non una vietata mutatio libelli) primo motivo;

– dall’altro, insufficiente motivazione per mancata salutazione di risultanze processuali (art. 360 c.p.c., n. 5), atteso – anche nell’eventualita’ si ritenga che la richiesta di tale maggior danno integra una nuova domanda, preclusa in prosieguo di giudizio – che controparte, successivamente alle prime, originarie deduzioni, in replica alla nuova domanda, ha accettato il contraddittorio sul punto, discettando sulla illegittimita’ della richiesta di risarcimento del maggior danno secondo motivo.

9. Entrambi i motivi sono manifestamente infondati.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

9.1. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde la difesa dei ricorrenti e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi:

– nell’ordinario giudizio di cognizione introdotto dalla opposizione a decreto ingiuntivo, solo l’opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, puo’ proporre domande riconvenzionali, e non anche l’opposto, che incorrerebbe nel divieto di proporre domande nuove, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall’opponente, la parte opposta venga a trovarsi nella posizione processuale di convenuto;

– l’inosservanza del divieto, correlata all’obbligo del giudice di non esaminare nel merito tale domanda, e’ rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimita’, poiche’ costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione, che puo’ essere verificata nel giudizio di cassazione anche d’ufficio, ove sulla questione non si sia formato, pur implicitamente, il giudicato interno (Cass. 3 marzo 2009, n. 5071; Cass. 5 giugno 2007, n. 13086; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2529; Cass. 14 dicembre 2005, n. 27573; Cass. 26 settembre 2005, n. 18786; Cass. 17 settembre 2004, n. 18767; Cass. 18 giugno 2004, n. 11415, tra le tantissime).

9.2. Contemporaneamente, e’ incontroverso, in giurisprudenza:

– da un lato, che in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la richiesta ulteriore di pagamento degli interessi convenzionali relativi al credito dedotto in sede monitoria formulata dall’opposto in comparsa di risposta non implica modifica della domanda originaria, cosi’ come non integra (a maggior ragione) gli estremi di una domanda riconvenzionale, costituendo una mera emendatio libelli, siccome comportante un mero ampliamento del petitum al fine di renderlo piu’ idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (Cass. 8 gennaio 2010, n. 75);

– dall’altro, che con l’ingiunzione di pagamento – dovendo questa avere ad oggetto, ai sensi dell’art. 633 c.p.c., comma 1, esclusivamente una somma liquida di denaro o una determinata quantita’ di cose fungibili o una cosa mobile determinata – il creditore non puo’ domandare (in aggiunta alla somma dovutagli ed ai relativi interessi) il risarcimento, ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, del maggior danno derivatogli dal ritardo nell’adempimento, ma puo’ formulare tale richiesta (che integra una emendatio libelli) nel giudizio di opposizione avverso l’ingiunzione (Cass. 17 maggio 2001, n. 6757).

9.3. Certo quanto precede e’ palese a parere di questa Corte, in limine, la manifesta infondatezza del secondo motivo del ricorso principale la’ ove si invoca che controparte dopo essersi opposta alla nuova domanda nel corso del giudizio di primo grado, avrebbe, in prosieguo, accettato il contraddittorio sulla nuova domanda discettando sulla illegittimita’ della richiesta di risarcimento del maggior danno nella memoria di replica del giudizio di primo grado e difendendosi nel merito nella comparsa conclusionale di appello.

Infatti:

– gli scritti successivi alla precisazione delle conclusioni (comparse conclusionali, memorie di replica) – in primo grado e, a maggior ragione in appello – hanno l’esclusiva funzione di illustrare e chiarire le domande come in precedenza rassegnate e non possono contenerne di nuove, si’ che dal contenuto di questi non puo’ dedursi che in realta’ una parte abbia inteso abbandonare precedenti, espresse e formali eccezioni ritualmente acquisite al processo (cfr., Cass. 10 ottobre 2008, n. 24996; Cass. 14 marzo 2006, n. 5478; Cass. 13 ottobre 2005, n. 19894);

– come evidenziato sopra la eventuale inammissibilita’ di una domanda, diversa da quella formulata nel ricorso per ingiunzione, formulata dall’opposto unicamente nel giudizio di opposizione, ancorche’ nella memoria di costituzione, puo’ essere rilevata ex officio anche in sede di legittimita’ e’ – di conseguenza – palesemente irrilevante non solo la circostanza che l’avversario nulla abbia eccepito, al riguardo in sede di merito ma anche (e a maggior ragione) l’assunto che in realta’ le difese di questo ultimo diversamente interpretate (rispetto a quanto affermato dai giudici di merito) possono condurre a ritenere la sussistenza di una implicita accettazione del contraddittorio sul punto.

9.4. Precisato quanto sopra ritiene questa Corte, nell’ambito di una lettura degli artt. 36, 183 e 633 rispettosa dei precetti di cui agli artt. 24 e 111 Cost. che in tema di procedimento per ingiunzione, ove il creditore, nel resistere alla opposizione del debitore, reclami – da questo ultimo – oltre l’importo capitale del credito azionato monitoriamente, anche ulteriori accessori di quello stesso credito (interessi, rivalutazione monetaria) certo essendo che ove invochi un nuovo, diverso credito si e’, senza ombra di dubbio, in presenza di una nuova, inammissibile domanda per accertare se si sia in presenza di una mera consentita emendatio libelli o piuttosto di una vietata domanda riconvenzionale deve prescindersi dalla qualificazione data dall’opposto alle proprie difese.

E’ irrilevante, pertanto, per risolvere la presente controversia, che nel corso del giudizio di primo grado la Sime Commerciale abbia qualificato la propria richiesta ex art. 1224 c.c. quale domanda riconvenzionale, piuttosto che quale mera modifica delle precedenti istanze.

9.5. Devono, per contro, trovare applicazione i principi generali, alla luce dei quali si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e piu’ ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo.

Si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo piu’ idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (cfr. Cass. 27 luglio 2009, n. 17457; Cass. 8 ottobre 2007, n. 21017; Cass. 28 marzo 2007, n. 7579).

9.6. Sempre al riguardo, ancora, non puo’ tacersi che nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, puo’ ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.

Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualita’ soggettiva o l’attivita’ svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avra’ l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva.

In particolare, ove il creditore abbia la qualita’ di imprenditore, avra’ l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttivita’ della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avra’ invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale (Cass., sez. un., 16 luglio 2008, n. 19499, nonche’ la pacifica giurisprudenza successiva, Cass. 28 settembre 2009, n. 20753; Cass. 31 luglio 2009, n. 17813; Cass. 24 febbraio 2009, n. 4402).

9.7. Concludendo il discorso sinora svolto, deriva – da quanto sopra – che mentre integra una consentita emendatio libelli la richiesta degli interessi (legali o convenzionali) dovuti per l’inadempimento della obbligazione invocata nel ricorso per ingiunzione, o il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, invocato secondo parametri fissi, come nella eventualita’ si richieda la differenza tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi e l’inferiore saggio degli interessi legali, integra invece, una vera domanda riconvenzionale la richiesta di tale maggior danno rapportato alle particolari e singolari condizioni in cui si e’ trovato il creditore durante la mora.

In questa seconda ipotesi, infatti, si introduce non un mero ampliamento quantitativo del petitum, ma un fatto costitutivo (del credito per danni reclamato) radicalmente differente (rispetto a quello azionato con il ricorso per ingiunzione), e si sottopone al giudice un nuovo tema d’indagine (in particolare la verifica delle condizioni soggettive del creditore durante la mora) cosi’ spostando i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo.

9.8. Facendo applicazione dei riferiti principi di diritto al caso di specie e’ agevole osservare che correttamente i giudici a quibus hanno ritenuto la inammissibilita’ della domanda riconvenzionale spiegata nel giudizio di opposizione a ingiunzione dalla Sime Commerciale.

L’odierna ricorrente principale nel costituirsi in giudizio per resistere alla opposizione a ingiunzione proposta dalla controparte – infatti – ha chiesto la condanna di questa ultima al risarcimento del maggior danno sofferto a causa del ritardo nel pagamento ai sensi dell’art. 1224 c.c. e tale danno e’ stato equiparato agli interessi bancari sostenuti dalla SIME a causa del mancato realizzo del credito e, per esemplificazione contabile, computato in base al tasso ufficiale di sconto maggiorato di sette punti con capitalizzazione trimestrale, anche minore degli interessi piu’ volte in passato addebitati alla debitrice… producendo perizia asseverata.. sul costo del c/c.. intrattenuto dalla Sime presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Ascoli Piceno.

E’ palese, conclusivamente, che con tale richiesta la opposta ha introdotto in causa temi di indagine assolutamente nuovi, totalmente estranei al thema decidendum di cui al ricorso per ingiunzione, atteso che l’esame della nuova domanda presupponeva accertamenti totalmente estranei all’unica materia oggetto di controversia, cioe’ il credito per le prestazioni eseguite dalla opposta.

10. Entrambi i ricorsi, risultati totalmente infondati, devono – in conclusione – rigettarsi.

Atteso l’esito di questo giudizio di legittimita’ sussistono giusti motivi onde disporre, tra le parti, la totale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta;

compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di Cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2010

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