Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16152 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/07/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 28/07/2020), n.16152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17757-2015 R.G. proposto da:

Idroeco srl rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Benincasa

domiciliata in Roma via F.Siacci n. 4 presso lo studio dell’avv. A.

Voglino;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata dall’Avvocatura Generale dello

Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 3867/18/14 depositata il 16/04/2014

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/11/2019 dal

Consigliere Dott. Pandolfi Catello.

 

Fatto

RILEVATO

La società Idroeco ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 3867/18/14 depositata il 16 aprile 2014.

La vicenda trae origina della notifica dell’avviso di accertamento in data 28/10/2011 con cui l’Ufficio aveva contestato, a rettifica della dichiarazione fiscale per l’anno 2006,

maggiori imposte per Euro 692.703,00, oltre interessi e sanzioni per Euro 559.649,00, a seguito di verifica dalla quale erano rilevate l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e la soprafatturazione di operazioni imponibili.

La ricorrente opponeva l’atto impositivo alla CTP di Caserta e poi alla CTR per la Campania, senza che, in entrambi i gradi, i ricorsi fossero accolti.

Il ricorso per cassazione è basato su tre motivi.

Con il primo la ricorrente rileva violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 361, comma 2, n. 4, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118, comma 1 disp. att. c.p.c. nonchè per omessa motivazione su punti decisivi della controversia; con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Con il secondo lamenta violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973 art. 39 comma 1, lett. d), dell’art. 2697 c.c., comma 3, dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il terzo censura violazione o falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso. Ha presentato memoria la ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

In ordine al primo motivo, è da ritenere non ravvisabile alcuna violazione dell’obbligo di motivazione nel senso che, come obiettato, la decisione sarebbe priva di autonoma valutazione rispetto alta sentenza di primo grado. La decisione detta CTR detta Campania, infatti, non si limita a rinviare acriticamente alla pronuncia di prima istanza. Il giudice d’appello, dopo aver premesso di condividere e richiamare la pronuncia impugnata, ha aggiunto, così esternando la propria autonoma valutazione, di ritenere non decisivi, nei senso propugnato dalla ricorrente i titoli bancari da essa prodotti, in mancanza di prova del loro effettivo incasso da parte del beneficiario, non risultando versati in banca. Nella decisione (pag.5), inoltre, si leggono in motivazione altre circostanze specifiche, escludenti il mero rinvio alla (o la pedissequa condivisione della) prima pronuncia.

Quanto al profilo relativo alla mancata valutazione di “punti decisivi della controversia” è da rilevare come la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del debba ritenersi, per come formulato in ricorso, non aderente alla modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito nella L. n. 134 del 2012. Modifica che consente solo di censurare l’omesso esame di un fatto, inteso in senso storico naturalistico, decisivo per il giudizio, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che si ribadisce. (In tal senso, ex plurimis Ord. n. 26305 del 2018; Ord. 23398 del 2019).

A tale connotazione non è conforme il motivo in esame, incentrato sulla mancata valutazione non di fatti/accadimento, ma di deduzioni e argomentazioni defensionali. La ricorrente ha poi lamentato la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) sul presupposto che la decisione non fosse fondata su presunzioni gravi, precise e concordanti, e quindi non sorretta da validi elementi di prova, che sarebbe stato onere dell’Agenzia addurre.

Ha, infatti, ritenuto che il giudice regionale abbia desunto sia l’utilizzo di fatture, emesse da “Piramide srl”, per operazioni inesistenti, che la soprafatturazione di altre, emesse da quest’ultima e da “Edil di G.S.”, su di un unico elemento, ex se insufficiente. Cioè la presunta incapacità tecnica sia della stessa “Edil…” che delle ditte “2D Costruzioni & Servizi” e “Global Projet”, indicate come subappaltatrici della società Piramide s.r.l., a sua volta appaltatrice della “Idroeco” per l’esecuzione dei lavori fatturati.

La premessa da cui muove la ricorrente però non corrisponde al reale contenuto della decisione. La censura, infatti, tace sulle (o depotenzia le) circostanze evidenziate dal giudice d’appello. Questi ha posto in rilievo come non potesse ritenersi acciarato l’effettivo pagamento avvenuto da parte della Idroeco alla Piramide, mediante assegni bancari, a riprova della veridicità dei rapporti intercorsi e delle prestazioni rese, nel quadro dell’operazione in esame. Nessuna prova, infatti, è stata addotta dalla ricorrente circa la reale negoziazione dei titoli e il loro incasso da parte dei beneficiari. E’ da ritenere che, in caso di pagamento mediante il rilascio di assegni bancari, la prova dall’assolvimento dell’obbligazione pecuniarie è solitamente data, salvo specifici diversi accordi tra le parti, dall’effettiva riscossione della somma portata dal titolo. (Sent. n. 14372/2018).

Nè è condivisibile, come eccepisce la ricorrente, che la prova del pagamento debba ritenersi desumibile dalle scritture contabili, sul presupposto che la loro attendibilità non è stata messa in dubbio dai verificatori. La circostanza non è decisiva posto che, in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), non è sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili (ex mulits Sent. n. 27804/2018).

La CTR ha, inoltre, rilevato che, dalle dichiarazioni, assunte dai verbalizzanti nel corso dell’accertamento, di persone facenti capo alla ” 2 D Costruzioni & Servizi”, risultava che quella società non aveva emesso alcuna fattura, nè ne aveva ricevute, nè aveva sottoscritto contratti o ricevuto somme di denaro, ciò in riferimento ai rapporti tra la predetta impresa e la società “Piramide”.

La ricorrente aveva ritenuto che le suddette affermazioni fossero ininfluenti, nella ricostruzione della vicenda operata dall’Agenzia, dal momento che non riguardavano i rapporti diretti tra se stessa e la “2D Costruzioni..”. Ed invece le suindicate dichiarazioni, raccolte dalla Guardia di Finanza nel processo verbale, si inseriscono coerentemente in quella ricostruzione, contribuendo a rafforzarla, nel momento in cui i dichiaranti escludono che la “2D Costruzioni..” abbia operato, in subappalto, su incarico della società “Piramide”, a sua volta appaltatrice della Idroeco. Perde così di credibilità l’effettivo instaurarsi di una filiera di rapporti tra la ricorrente, la società “Piramide” e le due subappaltatrici di questa. Acquista, invece, rilevanza il riferimento, pure contenuto nella sentenza impugnata, alla mancata produzione da parte della Idroeco dei buoni di consegna dei “mezzi d’opera”, necessari all’esecuzione dei lavori, asseritamente noleggiati presso la “Edil di G.S.”. Buoni di consegna, che la ricorrente si era impegnata a produrre ai verificatori, per comprovare la disponibilità di adeguate risorse strumentali della “Edil….” e la veridicità del rapporto con la stessa. Documentazione che la società non ha mai conferito.

La CTR ha, quindi, basato la sua decisione su molteplici circostanze alle quali, valutate nel complesso e nella loro coerenza, ha attribuito, con adeguata motivazione, valenza indiziaria tale da considerarle presunzioni gravi, precise e concordanti.

Nessuna violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e dell’art. 2697 c.c. è, dunque, realmente ravvisabile nella pronuncia gravata, per cui il motivo di ricorso in esame, pur con il riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, tende sostanzialmente alla promozione di una nuova valutazione di circostanze di fatto, inammissibile in sede di legittimità (ex multis Sent. n. 8758/2017).

Il secondo motivo è da ritenersi pertanto inammissibile.

La ricorrente ha poi, con la memoria prodotta, rappresentato che la Commissione Regionale della Campania aveva adottato la sentenza 3061/48/2016, depositata il 4 aprile 2015, tra le stesse parti, con cui aveva dichiarato l’illegittimità dell’accertamento. Decisione non impugnata e quindi costituente “giudicato esterno” con forza espansiva riflessa sul presente giudizio.

Tale affermazione, nella specie, non è condivisibile.

La vicenda, oggetto delle richiamata e allegata pronuncia, trae origine dall’avviso di accertamento del 18.09.2013 relativo all’anno d’imposta 2008. I fatti in esame scaturiscono, invece, dall’avviso di accertamento del 28 gennaio 2011, per l’anno 2006. L’accertamento ha riguardato, nei due giudizi, fatture diverse, relative a prestazioni separate per durata e modalità, implicanti un accertamento di fatto correlato a ciascun periodo in cui sarebbero state rese le prestazioni fatturate. I rapporti contrattuali tra la ricorrente e le ditte emittenti le fatture, non hanno, per loro natura, carattere necessariamente unitario e duraturo, ben potendo risolversi in prestazioni circoscritte ad uno solo degli anni interessati. Nè i pagamenti, in base alle risultanze, possono ritenersi altro che tranches di una unica obbligazione, in mancanza di elementi documentali che depongano in tal senso.

In altri termini, le valutazioni di fatto svolte dalla CTR della Campania, per l’anno 2008, non implicano che esse valgano anche per il 2006. E del resto, proprio la decisione richiamata ha espresso valutazioni differenti circa gli anni d’imposta 2007 e 2008, proprio sul presupposto della variabilità e del non automatico riverbero del primo sul secondo.

Peraltro, il ricorso della società nulla precisa sui termini temporali e contenutistici dei rapporti che sarebbero intercorsi con e tra le varie ditte coinvolte.

Quanto al terzo motivo, esso è da ritenersi fondato.

La società ricorrente si era doluta che l’Agenzia delle Entrate avesse applicato, nel calcolare le sanzioni, comminate con l’avviso di accertamento impugnato, il D.Lgs. n. 472 del 1997 senza tener conto di quanto previsto dal D.L. n. 16 del 2012 e in particolare dell’art. 8, comma 2, sul (corretto) presupposto della sua retroattività “in bonam partem”.

La CTR aveva ritenuto che nessuna riduzione, delle sanzioni applicate, spettasse, in quanto la vicenda penale che aveva interessato la “Idroeco” si era conclusa con un decreto di archiviazione e non con una sentenza di assoluzione.

La motivazione, per il riferimento alla vicenda penale, rende palese che abbia richiamato il citato D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1 del, che lo contiene. Ha perciò errato nell’applicare tale disposizione dal momento che la richiesta dell’appellante era riferita allo stesso D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2 relativo alla misura delle sanzioni, nel quale, a differenza del precedente, non vi è alcun riferimento alla incidenza di pendenze penali.

Peraltro, la vicenda giudiziaria che aveva riguardato la “Idroeco” era stata oggetto di un decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di S.M. Capua Vetere del 21.09.2012, per cui, a carico della società, non pende più alcun procedimento penale.

In definitiva, la CTR ha applicato a quanto richiesto dall’appellante (riduzione delle sanzioni) una norma, il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1 che non disciplina tale aspetto, in luogo dello stesso D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, di cui l’appellante chiedeva l’applicazione. Il giudice è, pertanto, incorso nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. (In tal senso, ex pluribus, Sent. n. 23851 del 2019).

Il terzo motivo va quindi accolto, dichiarati inammissibili il primo e il secondo. La sentenza in tali limiti va cassata e rinviata alla CTR della Campania in diversa composizione, per il riesame del motivo accolto e per la definizione delle spese.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo. Dichiara inammissibili il primo e il secondo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, per il riesame della causa, limitatamente al motivo accolto, nonchè per la definizione delle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 7 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 luglio 2020

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