Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16151 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 23/05/2017, dep.28/06/2017),  n. 16151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11539/2010 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale sono domiciliati ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Avv. M.L., in giudizio di persona, elettivamente

domiciliato presso lo studio legale del prof. avv. Massimo

Cerniglia, in Roma, viale Liegi, n. 16;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia, n. 67/19/09, depositata in data 1 aprile 2009.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 23 maggio

2017 dal Cons. Dott. Lucio Luciotti.

Fatto

PREMESSO

– che con sentenza n. 67 del 1 aprile 2009 la Commissione tributaria regionale della Sicilia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da M.L., di professione avvocato, avverso l’avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria, sulla base degli indici parametrici di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e segg., applicati al predetto contribuente, aveva provveduto a rettificare i redditi di lavoro autonomo dichiarati dal contribuente ai fini IVA ed IRPEF per l’anno di imposta 1998;

– che la CTR, pur dando atto che i giudici di primo grado avevano errato nell’annullare l’avviso di accertamento sul presupposto della nullità dei D.P.C.M. di elaborazione dei parametri di cui alla sopra citata disposizione, per mancanza del preventivo parere del Consiglio di Stato, in quanto eccezione non sollevata dal contribuente, sosteneva che le presunzioni derivanti dall’applicazione del metodo parametrico necessitassero di ulteriori elementi di riscontro, non forniti nel caso di specie dall’amministrazione finanziaria, idonei a conferire a quelle presunzioni i requisiti di gravità, precisione e concordanza, e che erano comunque condivisibili le giustificazioni fornite dal contribuente;

– che avverso tale statuizione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di tre motivi, illustrati con memorie ex art. 378 c.p.c., cui replica l’intimato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

– che il primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente Agenzia censura la sentenza di merito per error in iudicando, per avere la CTR disapplicato il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 (come modificato dal successivo D.P.C.M. 27 marzo 1997) perchè emesso in assenza del preventivo parere del Consiglio di Stato, è inammissibile in quanto non costituente una delle rationes decidendi della decisione impugnata, da individuarsi nell’assenza di presunzioni qualificate idonee a legittimare i risultati dell’accertamento parametrico, costituenti semplici indizi, come tali insufficienti a motivare un accertamento di maggiori redditi, nonchè sulla condivisibilità delle giustificazioni fornite dal contribuente;

– che è, invece, fondato il secondo motivo di ricorso con cui viene censurata la sentenza impugnata per avere i giudici di appello, in violazione e falsa applicazione della L. n. 400 del 1998, art. 17, comma 4, L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e segg., art. 2697 c.c. e del D.P.C.M. 29 gennaio 1996, escluso che l’accertamento potesse essere basato soltanto sul rilevato scostamento dei ricavi da quelli risultanti dai parametri, nonostante il contribuente non avesse offerto validi elementi probatori di segno contrario, ignorando anche l’invito al contraddittorio, e ponendo erroneamente a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di fornire ulteriori elementi di riscontro ai risultati parametrici mentre incombeva sul contribuente l’onere, da questi non assolto, di provare la sussistenza di specifiche cause di esclusione dall’applicazione di quei parametri;

– che, nel caso di specie, la ricorrente sostiene che il contribuente ignorò l’invito al contraddittorio, ma quest’ultimo, dal canto suo, sostiene di essersi più volte presentato, per il tramite di un proprio delegato, per esperire il contraddittorio e di aver spiegato al funzionario e documentato, anche mediante deposito di memoria scritta, la causa del rilevato scostamento reddituale, senza che però fosse mai stato redatto verbale. Ciò posto, il ricorrente non indica quale documentazione avrebbe prodotto in sede di contraddittorio per giustificare quello scostamento, nè risulta che a ciò abbia provveduto in sede processuale, cosicchè i giudici di appello, a fronte di un contraddittorio che il contribuente non ha dimostrato essere stato effettivamente espletato e a fronte del rilievo che anche in sede processuale il contribuente non aveva assolto l’onere di fornire la prova della più favorevole determinazione reddituale, avrebbe dovuto ritenere legittimo l’avviso di accertamento impugnato, e ciò in base al principio reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri” (ex multis, Cass. n. 17646 del 2014; id. n. 10047 del 2016);

– che anche il terzo motivo, con cui la ricorrente deduce il difetto di motivazione della sentenza impugnata laddove i giudici di appello hanno affermato di condividere le giustificazioni fornite dal contribuente senza però dare conto di quali fossero quelle idonee a far ritenere veritieri i dati dichiarati piuttosto che quelli risultanti dall’accertamento, è fondato e va accolto;

– che, al riguardo, si legge nella sentenza impugnata che “nel caso che ci occupa inoltre appaiono condivisibili, anche perchè non smentite dall’Ufficio, le giustificazioni fornite dal contribuente”;

– che la CTR omette qualsiasi indicazione in merito alla sussistenza delle giustificazioni che sostiene essere state dedotte dal contribuente e “non smentite” sul piano probatorio dall’amministrazione finanziaria, ovvero con adeguate prove contrarie fornite dall’Agenzia, in tal senso dovendosi intendere quell’inciso; i giudici di appello, in buona sostanza, omettono di fornire una giustificazione logica dell’apprezzamento di quelle circostanze e, quindi, del proprio assunto, che, in disparte della sua correttezza in punto di diritto (di cui si è già detto esaminando il secondo motivo di ricorso), risulta palesemente generica ed inadeguata, non essendo in grado di reggere alla prova della verifica della sua sufficiente compiutezza secondo quel metodo di analisi strutturale della motivazione (che distingue tra contenuto di specie statico, costituito dal giudizio, e contenuto di specie dinamico, consistente nella narrazione del passaggio del giudice dalla condizione iniziale di ignoranza a quella finale di conoscenza espressa nel giudizio) rinvenibile in Cass. n. 1236 del 2006; – che da quanto detto consegue che la sentenza va cassata con rinvio al giudice di merito che, in diversa composizione, rivaluterà la vicenda processuale attenendosi ai principi sopra enunciati e provvederà alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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