Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16147 del 08/07/2010

Cassazione civile sez. III, 08/07/2010, (ud. 11/06/2010, dep. 08/07/2010), n.16147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9918/2005 proposto da:

C.S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI

Guido, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

B.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dagli Avvocati MOLINARO Lucio, ASARA STEFANO giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 162/2004 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI,

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, emessa il 03/03/2004, depositata il

17/03/2004 R.G.N. 158/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/06/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato GUIDO ROMANELLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilità e il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 18.11.1998, il geom. C.S. A., conveniva davanti alla pretura di Tempio Pausania, sez. dist. Di Olbia, B.I., assumendo che il convenuto, imprenditore edile, si era impegnato a corrispondergli il 5% dell’ammontare di tutti i lavori edili, che, in virtù della sua opera mediatoria, avesse realizzato nel complesso (OMISSIS); che, tenuto conto che il convenuto aveva realizzato opere per L. 288 milioni, gli competeva la somma di L. 14.250.000.

Il C. si costituiva e contestava la domanda.

Il Tribunale di Tempio Pausania, sez. dist. Di Olbia, con sentenza del 20.11.2001, condannava il convenuto al pagamento nei confronti dell’attore della somma di L. 11.000.000, ritenendo che nella fattispecie si versasse in ipotesi di contratto atipico di procacciamento di affari.

La Corte di appello di Cagliari, sez. dist. Di Sassari, su appello del B.I., in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda e condannava l’attore alla restituzione della somma incassata per effetto della prima sentenza.

Riteneva la corte di merito che nella fattispecie dalla documentazione e dagli atti processuali emergeva che si trattava del contratto di mediazione tipica; che, conseguentemente a norma della L. n. 39 del 1989, art. 6, il diritto alla provvigione competeva solo in presenza di iscrizione dell’attore nell’apposito albo dei mediatori; che, mancando tale iscrizione nella fattispecie, la domanda doveva essere rigettata.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’attore, che ha presentato memoria.

B.I. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Di nessun rilevo è la tesi del ricorrente prospettata con la memoria, secondo cui, essendo intervenuto il D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, pubblicato in G.U. 23.4.2010, che ha soppresso il ruolo dei mediatori, non opererebbe più’ la preclusione alla corresponsione del corrispettivo per mancata iscrizione del mediatore al ruolo. Va, anzitutto, considerato che nella fattispecie il D.Lgs. in questione non contiene alcuna norma che lo renda applicabile anche ai rapporti già esauriti.

Infatti il principio della irretroattività della legge (art. 11 preleggi), che è applicabile anche alle norme di diritto pubblico, preclude l’applicazione della nuova normativa non soltanto ai rapporti giuridici già esauriti, (come è quello in esame) ma anche a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, qualora gli effetti sostanziali scaturenti da detta normativa siano eziologicamente collegati con un fattore causale non previsto da quella precedente.

(Cass. n. 10436 del 18/07/2002).

1.2. In ogni caso va osservato che il D.Lgs. n. 59 del 2010, art. 73, ha si soppresso il ruolo di cui alla L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 2 e successive modificazioni, ma non ha abrogato tale legge.

E’ stato, anzi, disposto che le attività’ disciplinate dalla L. 3 febbraio 1989, n. 39, sono soggette a dichiarazione di inizio di attività, da presentare alla Camera di commercio, competente per territorio corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti.

La Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura verifica il possesso dei requisiti e iscrive i relativi dati nel registro delle imprese, se l’attività è svolta in forma di impresa, oppure nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA) previsto dalla L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8 e dal D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, art. 9, assegnando ad essi la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività, distintamente previste dalla L. 3 febbraio 1989, n. 39.

Il comma sei di detto art. 73 statuisce che “Ad ogni effetto di legge, i richiami al ruolo contenuti nella L. 3 febbraio 1989, n. 39, si intendono riferiti alle iscrizioni previste dal presente articolo nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA)”.

Ciò comporta che in assenza di abrogazione della L. n. 39 del 1989, art. 6, ma in presenza della sola soppressione del ruolo, la norma di cui all’art. 6 va letta nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa di cui al D.Lgs. n. 59 del 2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che sono iscritti nei registri o nei repertori tenuti dalla Camera di commercio secondo l’art. 73 cit..

2. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., art. 1754 c.c., e l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Secondo il ricorrente erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie sussistesse un’ipotesi di mediazione tipica (con la conseguenza dell’obbligatorietà di iscrizione all’albo professionale per il diritto alla provvigione), mentre dalla documentazione prodotta, se correttamente interpretata, risultava che si trattava di un procacciamento di affari.

3.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia inammissibile sotto un duplice profilo.

Va, anzitutto, osservato che l’impianto argomentativo del motivo di ricorso si fonda sul presupposto che l’obbligo di iscrizione nell’albo professionale, di cui alla L. n. 38 del 1989, ai fini del diritto alla provvigione, sussista solo per i mediatori e non per i procacciatori di affari.

Ove – invece – tale presupposto risultasse errato, in quanto sussiste tale obbligo di iscrizione all’albo per entrambe le figure, il motivo di ricorso sarebbe inammissibile per carenza di interesse, poichè la pacifica mancanza di iscrizione del ricorrente, renderebbe irrilevante la questione se egli agì come mediatore o quale procacciatore di affari.

3.2. Rileva questa Corte che sul punto della necessità o meno dell’iscrizione da parte del “procacciatore di affare” all’albo professionale dei mediatori esiste non vi è uniformità di opinioni.

Secondo un primo orientamento il mediatore ed il procacciatore d’affari individuano due distinte figure negoziali – la prima tipica e la seconda atipica – che si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto al procacciatore, il quale, invece, agisce su incarico di una delle parti interessate, dalla quale soltanto può pretendere la provvigione, e non è soggetto all’applicazione della norma – da considerarsi eccezionale – di cui alla L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 6, che presuppone l’obbligo di iscrizione nel relativo albo, previsto dalla stessa legge, al precedente art. 2, per i soli mediatori. (Cass. 16/12/2005, n. 27729;

Cass. 25.1.2005, n. 1441).

Secondo altro orientamento anche l’ipotesi della mediazione atipica (o del c.d. procacciatore di affari) rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dalla L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza, nell’atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale sì accompagna l’attività ulteriore in vista della conclusione dell’affare.

Pertanto, anche per l’esercizio di questa attività è richiesta l’iscrizione nell’albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato della citata L. n. 39 del 1989, art. 2, ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione (Cass. 05/09/2006, n. 19066; Cass. 26.3.2009, n. 7332).

3.3. Ritiene questa Corte di dover aderire a questo secondo orientamento.

La L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 2, statuisce ai primi due commi:

“1. Presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura è istituito un ruolo degli agenti di affari in mediazione, nel quale devono iscriversi coloro che svolgono o intendono svolgere l’attività di mediazione, anche se esercitata in modo discontinuo o occasionale.

2. Il ruolo è distinto in tre sezioni: una per gli agenti immobiliari, una per gli agenti merceologici ed una per gli agenti muniti di mandato a titolo oneroso, salvo ulteriori distinzioni in relazione a specifiche attività di mediazione da stabilire con il regolamento di cui all’art. 11″.

L’art. 6 statuisce che ” hanno diritto alla provvigione solo coloro che sono iscritti nei ruoli”.

Osserva questa Corte che, indipendentemente da quale sia la natura giuridica delle due figure (salvo a voler ritenere l’inesistenza giuridica-ontologica della ed. mediazione atipica – o del c.d.

procacciamento di affari – essendo essa solo un mandato, come ritenuto isolatamente da Cass. 14.7.2009, n. 16382), pur dovendosi affermare l’autonomia tra le due figure , identico è tuttavia il nucleo essenziale, costituito dall’attività di mediazione prevista.

Infatti il codice qualifica come mediatore anche colui che ha ricevuto l’incarico di promuovere la conclusione dell’affare da una sola delle due parti (cfr. art. 1756 c.c.) ovvero colui che ha avuto l’incarico da una delle due parti di rappresentarla negli atti relativi all’esecuzione del contratto concluso con il suo intervento (art. 1761 c.c.).

E’ stato infatti di recente affermato che in tema di rapporti tra mediazione e procacciamento di affari, costituisce elemento comune a dette figure la prestazione di un’attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione (Cass. civ., Sez. 2^, 24/02/2009, n. 4422).

3.4. Inoltre, e soprattutto, va osservato che la L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, stabilisce che l’iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l’attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende.

Ne consegue che anche i procacciatori di affari, che svolgono l’attività di intermediazione per la conclusione dell’affare su incarico di una parte, devono essere iscritti nell’albo professionale di cui alla L. n. 39 del 1989, con la conseguenza che la mancata iscrizione esclude il diritto alla provvigione.

3.5. Nè tale obbligo di iscrizione urta contro la disciplina comunitaria.

Infatti, quanto alla compatibilità della disciplina di cui alla L. n. 39 del 1989 con il Trattato di Roma, si osserva che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee già si è espressa al riguardo ed ha statuito che la direttiva 67/43/CEE del Consiglio, del 12 febbraio 1967, concernente la realizzazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi per le attività non salariate relative al settore degli affari immobiliari, non impedisce allo Stato membro di riservare determinate attività rilevanti nel settore degli affari immobiliari alle persone autorizzate ad esercitare la professione di agente immobiliare (C. Giust. CE 25 giugno 1992, n. 147).

3.6. Ne consegue che nella fattispecie, poichè è pacifico che l’attore non era iscritto nell’apposito albo per la disciplina della professione di mediatore, poichè la mancanza di tale iscrizione preclude il diritto alla provvigione anche a chi si sia limitato a svolgere attività di intermediazione nella qualità di procacciatore di affari, quindi su mandato di una sola parte, il motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse sul punto di quale delle due figure (mediazione tipica o atipica) ricorresse nella fattispecie.

4.1. Il motivo di ricorso è, altresì, inammissibile per mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso. Il ricorrente lamenta che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che nella fattispecie si verteva in ipotesi di mediazione tipica e non di procacciamento di affari; che, se fossero state esattamente interpretate la lettera del 7.7.1995 nonchè la scrittura posta a base della richiesta di pagamento della provvigione, si sarebbe giunti alla conclusione che si trattava della seconda delle due figure suddette.

4.2. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qualora, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l’omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita errata valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del c.t., ecc.), è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza erroneamente valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi – ove occorra, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva ed erroneamente valutata o insufficientemente valutata, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, il controllo deve essere consentito alla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (Cass. 23.3.2005, n. 6225; Cass. 23.1.2004, n. 1170).

Nella fattispecie, poichè entrambi i suddetti due documenti non risultano trascritti nel ricorso, lo stesso è inammissibile per difetto di specificità sotto il profilo della mancanza di autosufficienza.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Esistono giusti motivi (segnatamente la peculiarità della vicenda e le oscillazioni giurisprudenziali suddette in merito all’obbligatorietà di iscrizione all’albo del procacciatore di affari) per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2010

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