Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16145 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 09/06/2021), n.16145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21154/2013 R.G. proposto da:

STYL GRAND S.p.A., in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giuseppe Mazzini, n. 11,

presso lo studio degli avv.ti Gabriele Escalar e Livia Salvini, dai

quali è rappresentata e difesa in forza di procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 21/22/13 della Commissione tributaria

regionale del Veneto, depositata il 7 febbraio 2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 11

marzo 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A seguito di verifica fiscale – concernente un contratto di prestito di azioni garantito (dalle parti denominato stock lending agreement) stipulato dalla Styl Grand S.p.A., in qualità di borrower, e dalla società DFD Czech s.r.o. (finanziaria fiscalmente residente nella Repubblica Ceca), quale fender, avente ad oggetto n. 3.000 azioni del valore nominale di 1 Euro cadauna emesse dalla società Mont Bazon Consultadoria e Servicos s.a., con sede nella zona franca di (OMISSIS), controllata al 100 per cento dalla DFD – l’Agenzia delle entrate, ritenendo la nullità di detto contratto siccome connotato da causa contraria alla legge e la conseguente inopponibilità dei suoi effetti all’Amministrazione finanziaria, rideterminava il reddito imponibile della Styl Grand per l’anno d’imposta 2005, emettendo avviso di accertamento a carico della stessa.

2. L’impugnativa della contribuente veniva disattesa in ambedue i gradi di giudizio.

Nella sentenza in epigrafe indicata, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha ritenuto che il controverso negozio giuridico, dalle parti denominato stock lending agreement, non riconducibile al contratto tipico di mutuo, era apparentemente aleatorio, ma in realtà simulante una scommessa, dacchè il soggetto “prestatore”, la DFD, era proprietaria al 100 per cento della Mont Bazon, società emittente le azioni mutuate, da cui derivavano i dividendi attribuiti al soggetto “prestatario”, Styl Grand; la complessiva operazione, nulla per mancanza di causa, integrava una vera e propria attività in frode (e non già una mera elusione), in quanto diretta unicamente a conseguire indebiti risparmi fiscali.

4. Per la cassazione della sentenza ricorre la Styl Grand S.p.A., affidandosi a quattordici motivi; resiste, con controricorso, l’A.F.. Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. E’ doverosa una notazione preliminare.

Ciascuno dei motivi di ricorso proposti a titolo di violazione o falsa applicazione di norme di diritto o di nullità della sentenza è corredato, a mò di chiosa, dalla formulazione di un quesito di diritto.

Tali quesiti vanno intesi come sintetica e riepilogativa illustrazione delle argomentazioni svolte con le singole censure, non già come assolvimento di una condizione di procedibilità del ricorso.

Ed infatti, il ricorso in esame non è regolato dall’art. 366-bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6: come chiarito da questa Corte (Cass. 19/11/2014, n. 24597), questa norma si applica ratione temporis ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del citato D.Lgs.), e fino al 4 luglio 2009 (data di abrogazione della disposizione, operata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47).

6. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contraddittorietà della motivazione circa l’accertamento del fatto, decisivo e controverso, che la motivazione degli avvisi di accertamento contestasse ai destinatari l’integrazione dei presupposti di una fattispecie elusiva ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis.

7. Con il secondo mezzo l’impugnante prospetta il rilievo critico di cui al primo motivo (ribadito negli stessi, identici, termini) come omesso esame di una circostanza di fatto decisiva, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione novellati dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), (convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

8. Con il terzo motivo, si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37-bis, 39, 42, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, degli artt. 1325,1343,1344 e 1418 c.c., e art. 12 preleggi.

Più specificamente, assume parte ricorrente che: a differenza di quanto ritenuto dai giudici di secondo grado, i contratti conclusi per scopi esclusivamente fiscali non possono reputarsi nulli per mancanza di causa o per illiceità della causa o perchè conclusi in frode alla legge; laddove questa Corte ha ritenuto la nullità del negozio per frode alla legge tributaria, lo ha fatto con riguardo ad operazioni poste in essere prima della entrata in vigore della norma antielusiva del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis; lo specifico regime d’inopponibilità dei negozi conclusi in frode alla legge tributaria introdotta da tale ultima norma preclude l’applicazione per le materie ed operazioni così individuate del principio di nullità dei negozi per frode alla legge sancito dall’art. 1344 c.c..

Aggiunge, poi, che la disposizione dettata dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, non consente di contestare la nullità dei contratti conclusi in elusione dalla legge tributaria con effetto dalla sua entrata in vigore.

Sostiene, infine, che la norma antielusiva del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, ed i relativi obblighi di contraddittorio preventivo devono sempre trovare applicazione ogniqualvolta sia contestata l’integrazione dei relativi presupposti di applicabilità, ponendosi altrimenti la norma in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza ex art. 3 Cost., e di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., in quanto, con l’espediente della contestazione della nullità dei negozi posti in essere dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria sarebbe legittimata a negare le garanzie stabilite dall’art. 37-bis.

In via subordinata all’accoglimento del motivo, solleva questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37-bis e 39, nella parte in cui non obbligano l’Amministrazione finanziaria a rispettare gli oneri procedimentali di cui ai commi quarto e quinto dell’art. 37-bis, nel caso in cui contesti la nullità per frode alla legge di fatti, atti e negozi di cui al comma 3, della stessa norma sulla base delle medesime contestazioni che l’avrebbero legittimata a formulare un rilievo antielusivo sempre ai sensi del predetto art. 37-bis.

9. Con il quarto mezzo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si rileva la nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., per aver il giudice del merito omesso di pronunciare sul motivo di appello lamentante l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione dell’avviso di accertamento.

10. Con il quinto motivo, si eccepisce la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: la sentenza non avrebbe pronunciato sul motivo denunciante la violazione dei principi di collaborazione e buona fede tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, violazione integrata dall’avere l’Ufficio non tenuto conto della “inoppugnabile prova della effettività dei pagamenti intercorsi con DFD”.

11. Con il sesto mezzo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si denuncia omessa motivazione in ordine all’accertamento di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, costituito dal fatto che, come provato sin da primo grado di giudizio, la DFD non era in grado di predeterminare l’ammontare dei dividendi distribuiti dalla Mont Bazon, società emittente le azioni.

Segnatamente, la C.T.R. non avrebbe considerato che l’utile di esercizio di Mont Bazon dipendeva esclusivamente dai risultati realizzati dall’organismo di investimento, terzo ed indipendente, Selected Capital Opportunity, nel quale la Mont Bazon aveva investito totalmente il suo attivo; su detto organismo, tuttavia, la Mont Bazon non esercitava alcun controllo nè poteva altrimenti incidere al fine di determinare i proventi, detenendo unicamente una partecipazione rappresentata da una azione di classe B, non assicurante nemmeno il diritto di voto nell’assemblea.

La documentazione prodotta dimostrava altresì che la DFD (ma neppure altra società facente parte del gruppo bancario Fortis) non era in grado di predeterminare (nè poteva influire in maniera decisiva sul) l’ammontare dei dividendi distribuiti da Mont Bazon e, per conseguenza, anche l’entità della commissione da versare.

12. Con il settimo mezzo, l’impugnante deduce il rilievo critico di cui al sesto motivo (pedissequamente riprodotto) sotto forma di omesso esame di una circostanza di fatto decisiva, rilevante ai sensi del riformato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

13. Con l’ottavo motivo, ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza gravata in ordine all’accertamento del fatto, decisivo e controverso, della effettività dei pagamenti relativi all’operazione di prestito titoli.

In particolare, sarebbe inficiato da intrinseca ed irriducibile contraddizione il passaggio argomentativo con cui il giudice di appello ha affermato che “i pagamenti reciproci sono avvenuti con documenti bancari emessi nella stessa giornata, per cui nessuna delle società interessate aveva realmente la disponibilità delle somme apparentemente movimentate”, e ravvisato in ciò “un ulteriore indizio della mancanza di una reale volontà contrattuale”.

I documenti bancari prodotti dalla ricorrente dimostrerebbero tanto l’effettivo pagamento dei dividendi deliberati in distribuzione dalla Mont Bazon alla Styl Grand quanto l’effettivo incasso da parte della DFD delle commissioni versate dalla Styl Grand.

Ancora, e per altro verso, a dire dell’impugnante, la C.T.R. avrebbe omesso di valutare che la effettività dei pagamenti era stata attestata dall’Autorità fiscale della Repubblica Ceca all’esito di una procedura di scambio di informazioni con l’A.F. italiana.

9. Con il nono mezzo, il ricorrente delinea la doglianza di cui all’ottavo motivo (e sulla base dei medesimi argomenti) come omesso esame di una circostanza di fatto decisiva, rilevante ai sensi del riformato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

10. Con il decimo motivo, sempre per omessa e contraddittoria motivazione in ordine all’accertamento di un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si critica la sentenza impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto dei vantaggi economici derivanti per la Styl Grand dall’operazione, erroneamente ritenendo che quest’ultima “fosse congegnata al solo scopo di evadere l’imposta sul reddito delle società, simulando un contratto aleatorio inesistente”.

11. Con l’undicesimo motivo, la doglianza testè riassunta è delineata (in termini del tutto uguali) sotto forma di denuncia di omesso esame di una circostanza di fatto decisiva, rilevante ai sensi del riformato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

12. Con il dodicesimo motivo, si asserisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,1343,1344,1362,1367,1418,1813,1815 e 1933 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice di secondo grado erroneamente configurato quale negozio atipico a carattere aleatorio un contratto di prestito di azioni connotato da una remunerazione variabile per il mutuante in funzione dell’ammontare dei dividendi distribuiti dalla società emittente le azioni mutuate.

Un duplice errore di diritto inficerebbe siffatto apprezzamento, in asserito contrasto con: (i) l’art. 1362 c.c., in quanto basato su un’interpretazione del contratto contraria alla comune intenzione delle parti come desumibile dal tenore letterale delle clausole e dal contegno dei contraenti, indici univoci dell’intento di stipulare un mutuo; (ii) l’art. 1815 c.c., per la errata considerazione che la determinazione del corrispettivo costituisca elemento essenziale del contratto di mutuo, come tale idoneo ad incidere sulla sua causa.

Ad avviso di parte ricorrente, la previsione di una commissione annuale commisurata ai dividendi distribuiti dalla Mont Bazon non mutava la natura del contratto, essendo ben possibile nel contratto di mutuo la pattuizione di un corrispettivo non prefissato, ma variabile; tale contratto non aveva neppure causa di scommessa, atteso che la scommessa postula l’assunzione da parte di entrambi i contraenti del rischio contrapposto ed equivalente di eseguire una prestazione, che poi dovrà essere eseguita da uno solo dei due, caratteristica questa non rinvenibile nel contratto di prestito di azioni qui concluso.

La nullità del contratto per mancanza o illiceità della causa non poteva nemmeno farsi discendere dal fatto che esso, a prescindere dagli effetti fiscali, generasse per una delle parti una perdita economica, essendo esclusa l’esistenza di un principio di equivalenza delle prestazioni nei contratti a prestazioni corrispettive.

13. Con il tredicesimo motivo, assumendo violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si eccepisce la nullità della gravata sentenza per non aver pronunciato sul motivo di appello con cui era stato dedotto che la pretesa nullità del contratto di prestito di azioni non comportava l’indeducibilità dall’imponibile IRES delle commissioni pagate.

14. Con il quattordicesimo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, e della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, commi 4 e 4-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice di prossimità erroneamente escluso la deducibilità dal reddito imponibile IRES delle commissioni pagate da Styl Grand a DFD, costi sostenuti in dipendenza di contratti civilisticamente nulli.

Sostiene il ricorrente che, a mente dell’art. 109, comma 5, l’inerenza dei componenti negativi di reddito alla determinazione dell’imponibile IRES è correlata al solo fatto che si riferiscono ad attività e beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che fruiscano di un regime di esclusione, presupposto sussistente nel caso di specie atteso che la commissione era stata sostenuta per il prestito di azioni erano produttive di proventi imponibili per il 5 per cento del loro ammontare.

D’altro canto, la L. n. 537 del 1993, art. 14, i commi 4 e 4-bis, confermano la deducibilità dei costi derivanti da contratti soltanto civilisticamente illeciti, operando il divieto di deduzione nel solo caso in cui i costi derivino da acquisti di beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti per i quali il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale.

15. Tutte le censure ora illustrate vanno disattese.

Lo scrutinio di esse postula, come premessa logica indefettibile, la corretta sussunzione sub specie iuris della complessa operazione economica sottoposta a verifica ad opera dell’A.F. e da cui è scaturito l’accertamento oggetto del contendere.

15.1. Occorre, in particolar modo, soffermare l’attenzione sul contratto nella prassi commerciale usualmente denominato stock lending agreement.

In linea generale, tale figura negoziale consiste nel prestito di titoli (ad esempio, azioni) da un soggetto (il mutuante o lender) ad un altro soggetto (il mutuatario o borrower) con previsione in favore di quest’ultimo del diritto all’incasso dei dividendi dei titoli mutuati verso il pagamento di una commissione (chiamata fee), di importo corrispondente o meno all’ammontare dei dividendi riscossi, e con contestuale costituzione di una garanzia (denominata collateral), rappresentata da denaro o altri titoli, volta a tenere indenne il lender dal rischio di inadempimento dell’obbligo di restituzione dei titoli.

Allo spirare del vincolo pattizio, il mutuatario deve restituire al mutuante altrettanti titoli di identica specie e quantità di quelli ricevuti, rientrando in possesso dei beni concessi in garanzia (nonchè, se il collateral è costituito da denaro, di una remunerazione di esso quantificata al tasso di mercato).

Caratteristica essenziale del negozio de quo è la necessità che, per tutto il corso dell’operazione, rimanga inalterato il rapporto tra il valore dei titoli mutuati e il valore dei beni costituiti in garanzia, sicchè, in caso di apprezzamento dei titoli, il borrower è tenuto ad integrare la garanzia originariamente prestata mentre, in ipotesi di deprezzamento, il lender è tenuto a restituire l’eccedenza.

Con riguardo alla durata, si distinguono due tipi di contratto: a) prestiti aperti (on open basis), privi di un termine finale stabilito, nei quali il borrower può chiudere l’operazione in qualsiasi momento (return) e il lender può chiedere la restituzione dei titoli in qualunque momento (recall); b) prestiti chiusi, con durata stabilita a priori, nei quali i contraenti non possono chiudere l’operazione in anticipo e neppure rinegoziare il tasso; le commissioni maturate sui prestiti, come pure gli interessi sulla garanzia cash (rebate), vengono pagati e incassati mensilmente e non alla scadenza dell’operazione.

15.2. Nella specie, per come illustrato dalla sentenza impugnata e concordemente riferito dallo stesso ricorso, la concreta modulazione del rapporto negoziale è avvenuta nel seguente modo:

a) in data 14 ottobre 2004 la Styl Grand ha concluso con la società DFD Czech s.r.o., fiscalmente residente nella Repubblica Ceca, un contratto di stock /ending avente ad oggetto il prestito di n. 3.000 azioni (del valore nominale unitario di Euro 1,00) emesse dalla società Mont Bazon Consultadoria e Servicos, Sociedade Unipessonal S.A., fiscalmente residente in Portogallo, nella zona franca di (OMISSIS), società interamente controllata dalla DFD;

b) in virtù dell’accordo stipulato, la Styl Grand, “prestataria” delle azioni, ha acquisito il diritto all’incasso dei dividendi correlati ai titoli ricevuti in prestito, mentre la DFD, titolare e “prestatore” delle azioni, si è riservata l’esercizio dei diritti amministrativi e sociali, quale il diritto di voto (salvo il consenso scritto della “prestataria” per le operazioni esulanti dalla gestione ordinaria), e si è obbligata a deliberare la distribuzione integrale dell’utile di esercizio conseguito dalla controllata Mont Bazon;

c) al prestito non oneroso dei titoli è stata legata una pattuizione in forza della quale, laddove l’ammontare dei dividendi distribuiti in ciascun anno da Mont Bazon fosse risultato inferiore all’importo di Euro 660.000,00, la Styl Grand non avrebbe dovuto corrispondere alcuna commissione alla DFD; in ipotesi di distribuzione di dividendi in misura superiore a detta cifra, invece, la Styl Grand avrebbe dovuto corrispondere alla DFD una commissione pari all’ammontare di detti dividendi incrementato di una percentuale pari al 12,702 per cento, ma, in ogni caso, non superiore a Euro 1.014.000,00;

d) al fine di assicurare l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di prestito di azioni, la Styl Grand si è altresì obbligata a depositare sul proprio conto corrente intrattenuto presso la Banca di Gestione Patrimoniale S.A., appartenente al gruppo Credit Suisse, una garanzia in denaro pari alla perdita massima realizzabile di Euro 114.000,00 (cd. collateral) ed a conferire mandato irrevocabile a tale banca di pagare a DFD l’ammontare della commissione che le sarebbe spettata, escutendo la garanzia in denaro;

e) con contratto collegato, la Styl Grand si è inoltre obbligata a concedere in pegno alla DFD le azioni ricevute in prestito, onde garantire la loro restituzione alla relativa scadenza, sicchè esse non sono state materialmente trasferite;

f) la scadenza dello stock lending agreement è stata convenzionalmente fissata al 31 gennaio 2007, con la previsione che a tale data la Styl Grand avrebbe ritrasferito alla DFD azioni della stessa quantità e qualità di quelle ricevute in prestito;

g) con pattuizione perfezionata in data 10 ottobre 2005, sono state apportate modificazioni al regolamento contrattuale, con la riduzione ad Euro 20.000 dell’importo della garanzia, ferme le modalità di prestazione della stessa riportate sub d), e con la rimodulazione della misura della commissione dovuta, nel senso che, per la residua durata del vincolo negoziale: (i) qualora l’ammontare dei dividendi distribuiti in ciascun anno da Mont Bazon fosse risultato inferiore all’importo di Euro 660.000,00, la Styl Grand non avrebbe dovuto corrispondere alcuna commissione alla DFD; (ii) nell’ipotesi di distribuzione di dividendi di entità superiore ad Euro 660.000 ma inferiore a Euro 900.000, la Styl Grand avrebbe dovuto versare alla DFD una commissione pari all’ammontare di detti dividendi, decurtato di Euro 10.000; (iii) laddove infine l’importo dei dividendi per anno fosse stato superiore ad Euro 900.000, la Styl Grand avrebbe dovuto corrispondere alla DFD una commissione pari all’ammontare di detti dividendi incrementato di una percentuale pari al due per cento, ma, in ogni caso, non superiore a Euro 1.020.000;

h) il 26 giugno 2006 la Styl Grand ha esercitato la facoltà di recesso anticipato dal contratto che, per effetto della conferma dell’avvenuta ricezione della notizia ad opera della DFD, ha cessato di avere efficacia a far data dal 30 giugno 2006.

Nell’esercizio del periodo compreso tra il 1 dicembre 2004 e il 30 novembre 2005, la Mont Bazon (la quale aveva interamente investito l’attivo in un’azione rappresentativa di una quota di partecipazione totalitaria nella società d’investimento Selected Capital Opportunity, sedente nelle (OMISSIS)) ha realizzato un utile di oltre tredici milioni di Euro e distribuito alla Styl Grand dividendi per l’importo di Euro 780.688,00, riscossi in data (OMISSIS) da quest’ultima la quale, in pari data, ha corrisposto alla DFD una commissione, determinata come in contratto, di Euro 770.688,00.

Nella dichiarazione fiscale relativa all’anno d’imposta 2005, la Styl Grand ha imputato alla formazione dell’imponibile IRES i dividendi percepiti, limitatamente al cinque per cento del relativo ammontare, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 89, comma 3, nella versione ratione temporis vigente, ed esposto invece quale costo l’intero importo versato a titolo di commissione.

15.3. In sede di verifica dell’Amministrazione finanziaria, la complessiva operazione, testè descritta, è stata ricondotta ad una fattispecie contrattuale nulla per assenza di causa (segnatamente, per difetto dell’alea sulla misura dei dividendi distribuibili, elemento necessariamente caratterizzante lo stock lending agreement), diretta a realizzare, in frode alla legge, un duplice indebito vantaggio fiscale, consistente nella esclusione dalla tassazione del 95 per cento dei presunti dividendi di fonte estera (giusta il disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 89), e nella deduzione integrale dal reddito imponibile della commissione (fee) corrisposta al fender, in virtù del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109.

Siffatta ricostruzione è stata avallata dai giudici del merito.

Nel confutare le contestazioni della contribuente, la sentenza gravata ha ravvisato nello stock lending agreement “un contratto apparentemente aleatoria, con il quale la società italiana si poneva completamente nelle mani di controparte, la quale, senza aver fornito alcuna informazione sul probabile esito della scommessa, era in grado di determinarne l’esito a suo piacimento”, essendo proprietaria al 100 per cento della società Mont Bazon di cui “prestava” le azioni. Secondo la C.T.R., il meccanismo congegnato, privo di ogni altra razionale giustificazione, integrava una vera e propria frode fiscale (e non già un mero comportamento elusivo), siccome diretto a sottrarre “al fisco italiano quanto allo stesso spettante” mediante la creazione di un negozio nullo per mancanza di causa.

16. Il percorso argomentativo ora illustrato non è corretto, in quanto si incentra sull’inesatta qualificazione giuridica dell’operazione negoziale compiuta e non coglie l’effettivo fondamento del recupero a tassazione operato dall’Ufficio.

Esso, tuttavia, conduce egualmente alla conclusione, conforme a diritto, della legittimità della pretesa impositiva accertata, la quale resiste altresì ai rilievi degli impugnanti, sicchè il compito di questa Corte risiede (e, al contempo, si esaurisce) nella correzione, ai sensi dell’art. 384 codice di rito, u.c., della motivazione della sentenza impugnata, nei sensi in appresso esplicitati.

16.1. Nell’avviso di accertamento da cui origina la lite, il maggior reddito imponibile ai fini IRES della società Styl Grand è stato determinato nella differenza tra l’importo della commissione esposta dal contribuente come costo e la quota dei dividendi (pari al 5 per cento del complessivo) distribuiti dalla Mont Bazon e assoggettati a tassazione nella dichiarazione fiscale: è dunque la indeducibilità della fee l’autentico fulcro della operata ripresa impositiva.

16.2. Orbene, nello scrutinare vicende analoghe, il giudice della nomofilachia, con orientamento consolidato dalla reiterazione di identici principi, ha chiarito che “l’operazione di stock lending, ossia di prestito di azioni che preveda a favore del mutuatario il diritto all’incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente o meno all’ammontare dei dividendi riscossi), realizza il medesimo fenomeno economico dell’usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che nell’un caso si verta su un diritto reale e, nell’altro, su un diritto di credito, sicchè è soggetto ai limiti previsti dal D.P.R. n. 917 del 1096, art. 109, comma 8, restando il versamento della commissione costo indeducibile” (così Cass. 12/05/2017, n. 11872; conf. Cass. 04/06/2020, n. 10551; Cass. 28/09/2020, n. 20424).

Ed invero, l’usufrutto di azioni è una operazione finanziaria con la quale viene concesso il diritto a percepire i dividendi distribuiti da un’altra società a fronte di un corrispettivo comprensivo del valore attuale dei flussi futuri di utili: il cedente, pertanto, percepisce anticipatamente l’entità del dividendo sotto forma di corrispettivo per la cessione dell’usufrutto e il cessionario iscrive in bilancio, nell’attivo patrimoniale immateriale, il corrispondente onere.

16.3. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 8, laddove prevede che “In deroga al comma 5, non è deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto d’usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi ai sensi dell’art. 89”, individua un parallelismo tra la deducibilità del costo dell’usufrutto su azioni e l’imponibilità dei dividendi derivanti dalla sottostante partecipazione.

Nel contratto di stock lending, corrispondentemente, il prestito dei titoli si associa al diritto di percepire i relativi dividendi da parte del mutuatario, mentre il mutuante ha diritto al pagamento di una commissione in relazione al dividendo incassato.

Come nell’usufrutto di azioni, infatti, il contratto di stock lending trasferisce (temporaneamente) la titolarità del diritto al dividendo e per ottenere la relativa riscossione è previsto un costo.

Il fenomeno economico è dunque lo stesso, senza che assuma valenza, ai fini tributari (gli unici che qui rilevano, non essendovi la necessità di una declinatoria civilistica del contratto), la circostanza che nell’un caso si verta in un diritto reale e, nell’altro, in un diritto di credito: i costi sostenuti (ovvero la commissione versata al lender) per l’operazione di stock lending devono ritenersi indeducibili.

L’applicazione alla fattispecie in parola del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 8, non configura, d’altro canto, una impropria estensione analogica del dettato della norma, la quale opera un testuale riferimento “ad altro diritto analogo” senza ulteriori connotazioni, sicchè non va intesa come meramente confinata ai soli diritti reali (interpretazione da cui, del resto, ne deriverebbe una implicita abrogazione), non deponendo in tal senso nè la lettera, nè lo spirito della disposizione.

16.4. In sintesi, e per riepilogare.

Il contratto in esame non è nullo per mancanza di causa o per violazioni di norme imperative o per frode alla legge, e nemmeno è ascrivibile al fenomeno della elusione fiscale: lo stock lending agreement, per come in concreto posto in essere, integra un’ipotesi di evasione d’imposta.

I costi sostenuti per l’operazione (a titolo di commissione versata al lender o sotto altra veste) devono ritenersi, in applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 8, indeducibili, senza che al riguardo spieghi alcuna incidenza (diversamente da quanto opinato da parte ricorrente nella memoria illustrativa) il regime di imposizione cui è assoggettato il “prestatore” delle azioni.

17. Corretta nei predetti termini la motivazione della decisione gravata, può ora darsi conto, più specificamente, delle ragioni che giustificano la non accoglibilità dei motivi di ricorso.

18. Ricondotto lo stock lending nel perimetro della evasione d’imposta, sono in primis inammissibili le doglianze (primo, secondo e terzo motivo) lamentanti, per vari aspetti (omessa contestazione dei presupposti, inosservanza degli oneri procedimentali), la violazione della disposizione antielusiva dettata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, non applicandosi quest’ultima al caso de quo.

Per l’effetto, priva di rilevanza si rivela la questione di legittimità costituzionale di detta norma sollevata con il terzo motivo.

19. Sulla scorta del compiuto inquadramento giuridico della vicenda negoziale e della espressa emenda ex art. 384 c.p.c., risulta assorbito il quarto motivo, afferente ad una supposta carenza della decisione sulla motivazione dell’avviso di accertamento.

20. Del pari inammissibili sono le censure (ottavo e nono motivo) con cui, denunciando carenze o contraddittorietà della motivazione della sentenza, parte ricorrente rileva come il giudice territoriale non abbia considerato l’effettività dei pagamenti dei dividendi, pur in presenza di idonea documentazione (contabili bancarie, attestazioni dell’Autorità fiscale della Repubblica Ceca) e, in conseguenza dell’omessa valutazione di tale “inoppugnabile prova”, assume (deducendo error in procedendo per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato) la mancata pronuncia sulla eccepita violazione dei principi di collaborazione e buona fede tra A.F. e contribuente (quinto motivo).

L’inammissibilità discende da una duplice, concorrente, ragione.

Innanzitutto, poichè le articolate doglianze richiedono a questa Corte un (inaccettabile) riesame delle emergenze istruttorie, un vaglio su questioni di mero fatto ed un apprezzamento di attendibilità e di concludenza di determinati documenti, attività esclusivamente riservate al giudice di merito ed estranee alla natura ed alla finalità del sindacato di legittimità.

Ancora, perchè le questioni così poste sono inconferenti rispetto alla corretta qualificazione giuridica della vicenda e, comunque, non incidenti (tanto in fatto quanto in diritto) sul fondamento della ripresa a tassazione, da rinvenirsi, come già detto, nella indeducibilità della commissione esposta quale costo nella dichiarazione del contribuente.

21. Pure inammissibili sono i mezzi di gravame recanti critica alle statuizioni della sentenza impugnata in punto di controllo esercitato dalla DFD sulla società Mont Bazon emittente le azioni ed alla possibilità della prima di predeterminare i dividendi distribuiti dalla seconda (sesto e settimo motivo) nonchè di inesistenza di vantaggi economici derivanti alla Styl Grand dall’operazione (decimo ed undicesimo motivo).

Per un verso, tali censure sollecitano la Suprema Corte ad un nuovo (ed in thesi differente) apprezzamento di circostanze fattuali, valutazione esulante dai compiti del giudice della nomofilachia.

D’altro canto, l’accertamento compiuto dal giudice di merito sugli evocati aspetti era strumentalmente funzionale alla declaratoria di nullità del contratto di stock lending, in una prospettiva d’indagine superata (e, pertanto, irrilevante) dalla sussunzione (qui compiuta in via di emenda) della vicenda in un’ipotesi di evasione d’imposta.

22. Inammissibile per irrilevanza, alla luce delle argomentazioni sulla natura dell’operazione diffusamente esplicate sopra sub p. 16., il dodicesimo motivo, avente ad oggetto la natura di negozio atipico a carattere aleatorio dello stock lending agreement, la nullità di esso per mancanza di causa ritenuta dal giudice di prossimità, la diversa qualificazione (prospettata da parte impugnante) come contratto di mutuo, privo di causa di scommessa.

23. Infondato, da ultimo, il quattordicesimo motivo (con cui si sostiene la deducibilità dei costi derivanti da contratti civilisticamente nulli) in quanto argomentato sull’insussistente presupposto della invalidità dello stock lending e sull’applicabilità nella specie del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5: sul punto, basti qui richiamare le notazioni (sopra illustrate al p. 16.) in ordine alla assimilazione della figura negoziale de qua all’usufrutto di azioni ed alla conseguente operatività della regola dell’indeducibilità dei costi sancita dal citato art. 109, comma 8.

24. In conseguenza dell’infondatezza del quattordicesimo motivo risulta assorbito l’esame del tredicesimo, lamentante un’omessa pronuncia sulla deducibilità ai fini IRES delle commissioni pagate pur in presenza della nullità del contratto di prestito di azioni.

25. Conclusivamente rigettato il ricorso, il regolamento delle spese di giudizio segue la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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