Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16140 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 23/05/2017, dep.28/06/2017),  n. 16140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10475/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Parma Agency Sas di G.M.P. e Z.A.,

G.M.P., Z.A., G.A. e

F.P.A., rappresentati e difesi dall’Avv. Nicola Bianchi e dall’Avv.

Claudio Coggiatti, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in

Roma, via Lazio n. 20/C, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna sez. staccata di Parma n. 26/21/09, depositata

il 24 febbraio 2009.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 maggio

2017 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– L’Agenzia delle entrate impugna per cassazione la decisione della CTR dell’Emilia Romagna che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto legittimo il diniego di condono da parte dell’Ufficio e fondato l’accertamento erariale per gli anni 19972003, ad eccezione della determinazione del maggior reddito non dichiarato e all’individuazione dell’aliquota Iva per la copiatura e stampa di testi;

– l’Ufficio, con quattro motivi, censura la sentenza in punto di determinazione del reddito, deducendo insufficiente motivazione (primo motivo) per non aver la sentenza considerato che l’accertamento si basava sulla effettiva documentazione rinvenuta, contraddittoria motivazione (secondo motivo) per aver ritenuto eccessivo il maggiore reddito accertato, rimettendone al contempo la nuova determinazione all’Ufficio secondo le indicazioni della contribuente ovvero di altro studio di settore scelto dall’Ufficio, violazione dell’art. 5 tuir e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 (terzo motivo) per non aver proceduto alla esatta quantificazione del reddito o, comunque, dello studio di settore applicabile, doglianza che reitera (quarto motivo) anche quale violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 risolvendosi la statuizione in una rinunzia ad esercitare la propria giurisdizione;

– i motivi, da esaminare unitariamente in quanto strettamente connessi, sono fondati nei termini che seguono;

– la CTR, infatti, ha ritenuto dimostrato che il reddito accertato fosse “sproporzionatamente elevato” sulla base di una tabella esibita dai contribuenti, trascurando, peraltro, che – come emerge dall’avviso di accertamento, riprodotto in ricorso in osservanza del principio di autosufficienza – l’accertamento è stato operato in base ai dati effettivi e non presuntivamente, computando i costi delle fatture passive e ricavi delle fatture attive, circostanza, questa, non valutata od apprezzata dal giudice di merito quando ha ritenuto preferibile il ricorso ad una determinazione meramente presuntiva, e ciò tanto più in assenza di altri e contrapposti elementi documentali prodotti dal contribuente;

– nel considerare questa opzione ricostruttiva, inoltre, la CTR non ha proceduto ad una nuova concreta determinazione, idonea a definire il contenuto della pretesa erariale, ma ha sostanzialmente rimesso alla parte pubblica tale attività affermando “merita accoglimento la richiesta di rideterminazione del reddito con criteri più rispettosi dei risultati ottenibili con l’applicazione dello studio di settore indicato dagli appellati o di altro che l’Agenzia delle entrate ritenga più confacente con la reale attività svolta dalla società”, argomentazione che oltre ad essere intrinsecamente contraddittoria;

– reputando, al contempo, corretta e non corretta l’indicazione operata dai contribuenti – costituisce una violazione dell’obbligo del giudice tributario di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta e delle sanzioni dovute dalla contribuente e del suo dovere, istituzionale, di esaminare nel merito la pretesa tributaria (con il limite dell’invalidità discendente da vizi formali) e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (v. Cass. n. 15825 del 2006; Cass. n. 13034 e n. 11935 del 2012; Cass. n. 6918 del 2013; Cass. n. 24611 e n. 26532 del 2014; Cass. n. 13294 del 2016);

– tale violazione, seppure non sia certamente censurabile come vizio di giurisdizione, realizza una ipotesi di inottemperanza ai doveri decisionali del giudice tributario equivalente all’avvenuta pronuncia di una decisione limitata al solo an della pretesa, in sè non consentita al giudice tributario;

– il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla CTR competente, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra enunciati, provvedendo anche al regolamento delle spese.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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