Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1614 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 24/01/2020), n.1614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36243-2018 proposto da:

O.L., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA BORGHESE 3,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIA REGOLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato RITA BURCHIELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 22301/2018 del TRIBUNALE di ROMA,

depositata il 06/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

Fatto

RILEVATO

– che è proposto ricorso avverso il provvedimento del Tribunale di Roma del 6.11.2018, che ha respinto il ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;

– che non svolge difese il Ministero intimato.

Diritto

CONSIDERATO

– che il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed omesso esame degli elementi probatori, per non avere ritenuto credibile il richiedente nelle sue dichiarazioni, laddove occorreva procedere alla integrazione officiosa delle prove;

– che il secondo motivo censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), e l’omesso esame della sussistenza di un rischio effettivo di danno grave, con riguardo alle minacce degli adepti della setta menzionata;

– che la corte del merito ha, anzitutto, ritenuto il richiedente non credibile, e, quindi, ha adeguatamente esposto la propria ricostruzione in fatto della realtà socio-politica della Nigeria, tenuto conto dell’onere della prova attenuato in tali giudizi e della dovuta cooperazione col richiedente: il quale, come si legge nel provvedimento impugnato, si è limitato a riferire di essere fuggito per una storia di pretesa successione al padre come sacerdote di un idolo locale, situazione però dal medesimo avversata, con conseguenti traversie; egli, dunque, afferma la corte del merito, non ha neppure enunciato concreti pericoli integranti i presupposti delle forme di protezione internazionale, in particolare della sussidiaria ed umanitaria;

– che, pertanto, in primo luogo e radicalmente, il giudice del merito non ha ritenuto il racconto del richiedente credibile, quale prima ratio decidendi: e, al riguardo, questa Corte ha ormai chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole foro per circostanziare la domanda del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma3, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fitti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fitto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni su scientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione interna donale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. ancora, fra le altre, Cass. 31 maggio 2018, n. 13858 e n. 14006; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

– che, inoltre, quale seconda ed ultronea ratio, la corte del merito ha anche escluso l’esistenza di elementi peculiari della situazione personale integranti le norme invocate, non sussistendo conflitto armato ed indiscriminato, nè situazioni soggettive di rischio circa i suoi diritti umani;

– che, in definitiva, il tribunale ha compiutamente approfondito l’esame in fatto della situazione, nel pieno rispetto dei principi enunciati da questa Corte in materia, dilungandosi in una motivazione accurata ed esauriente nell’esporre le ragioni che hanno portato la medesima alla decisione di rigetto; si tratta, dunque, da un lato della risposta alle domande ed alle questioni proposte dall’appellante, e, dall’altro lato, di valutazioni prettamente discrezionali rimesse al giudice di merito, onde il ricorso chiede di ripetere il giudizio di fatto, attività preclusa in virtù della funzione di legittimità;

– che tutto ciò rende il ricorso manifestamente inammissibile;

– che non occorre provvedere sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, se dovuto, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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