Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16135 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 03/08/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 03/08/2016), n.16135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17473-2014 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANGELO TOMASELLI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISEA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 296/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

13/03/2014, depositata i126/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9 giugno 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.: “Con la domanda di cui al ricorso di primo grado V.G. adiva il giudice del lavoro del Tribunale di Catania per sentir condannare la convenuta ISEA s.r.l. al pagamento delle differenze sulle somme corrisposte a titolo di tfr, per inclusione nella relativa base di calcolo delle voci retributive costituite dalla indennità di trasferta, dall’indennità monoagente, dall’indennità supernastro lavorativo e dal compenso per lavoro straordinario, nonchè al pagamento di interessi legali e rivalutazione monetaria sul trattamento di fine rapporto tardivamente corrisposto.

Il giudice di primo grado ha respinto la domanda. La Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della decisione, nel resto confermata, ha condannato la società datrice al pagamento di interessi legali e rivalutazione monetaria sull’importo di Euro 34.441,37 corrisposto a titolo di tfr, per il periodo dal 10 gennaio al 24 marzo 2004.

Il decisum del giudice di appello, per quel che rileva, è stato fondato sulle seguenti considerazioni: l’art. 2120 c.c., nel testo risultante dalla modifica introdotta dalla L. n. 297 del 1982, art. 1, è rimasto ispirato ad una nozione omnicomprensiva di retribuzione facendo salva tuttavia la possibilità per la contrattazione collettiva di determinare, in deroga al suddetto principio, le voci retributive utili ai fini del calcolo del tfr; la società appellata ha provato che con l’Accordo sindacale tra l’ANAC Sicilia e le 00.55. di categoria del 18.7.1989 si era stabilito che la retribuzione annua utile per la determinazione della quota annuale da accantonare ai fini del tfr era costituita da una serie di voci retributive tra le quali non risulta, innanzitutto, la indennità di trasferta; in merito alle ulteriori voci la prova offerta dal lavoratore costituita dai modelli 101 e CUD e dalle buste paga relative al periodo da settembre 1982 a dicembre 1983 (laddove la data di assunzione nel ricorso e nelle buste paga era indicata nel 22.8.1983) e all’anno 2003 (con esclusione dei mesi di marzo e dicembre) è inidonea dimostrare la percezione dei compensi in questione secondo un criterio di regolarità e frequenza, o anche di mera periodicità, entro un lasso di tempo apprezzabile, dovendo evidenziarsi, quanto alla indennità supernastro lavorativo, che la stessa dai cedolini paga in atti non risulta corrisposta in relazione all’anno 2003 ed al periodo agosto/dicembre 1983; alla mancata produzione documentale, della quale era onerato il lavoratore, non può farsi fronte a mezzo di ordine di esibizione a carico della controparte, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile solo quando la prova di fatto non sia acquisibile aliunde e quando l’iniziativa non presenti finalità meramente esplorative; inammissibile è la prova per testi articolata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado attesa la genericità ed indeterminatezza delle circostanze dedotte a riguardo.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso V.G. sulla base di un unico motivo con il quale ha denunziato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2120 c.c.. Ha dedotto che la mera produzione dell’Accordo Sindacale Regionale non costituiva prova del rispetto da parte della società della norma di legge nazionale che regolamenta il trattamento di fine rapporto, che l’Accordo non era applicabile al caso concreto non essendo esso lavoratore iscritto ad alcuno dei sindacati stipulanti, che, comunque, le voci retributive delle quali in domanda era stata chiesta l’inclusione nella base di computo del tfr erano tutte previste dalla norma collettiva e che era quindi onere della società dimostrare di averla in concreto applicata, che, trovando l’Accordo applicazione a partire dal 1.1.1989, fino a tale data la determinazione delle quote annuali di accantonamento del tfr doveva essere effettuata sulla base di una nozione omnicomprensiva della retribuzione, che, essendo la materia regolata da legge nazionale alcuna deroga poteva essere introdotta ad opera di organizzazioni sindacali di categoria locali, pena la violazione del precetto costituzionale di parità di tutti i cittadini di fronte alla legge. Ha quindi chiarito che gli statini stipendiali antecedenti al 22 agosto 1983, indicata in ricorso come data di assunzione, si riferivano ad un pregresso periodo lavorativo svolto alle dipendenze della medesima impresa quale autista avventizio e occasionale. Ha inoltre dedotto la illegittimità della clausola dell’Accorda 18.7.1989 che aveva stabilito, in relazione al periodo corrente dal mese di maggio 1982 al mese di gennaio 1989, che in luogo delle voci retributive escluse dal calcolo del tfr andava riconosciuta una quota forfettaria di alcune centinaia di Euro.

Il motivo di ricorso è manifestamente infondato. Preliminarmente occorre evidenziare che le censure svolte sono incentrate sulla deduzione di una serie di profili di illegittimità e inapplicabilità dell’Accordo del 18.7.1989 che non risultano affrontati dalla decisione impugnata. Secondo il costante insegnamento di questa Corte Suprema (cfr., Cass. n. 20518 del 2008, n. 14590 del 2005), ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa. Parte ricorrente non ha articolato il motivo di ricorso in termini coerenti con tale insegnamento posto che non ha allegato di avere, con il ricorso in appello, riproposto le deduzioni a riguardo formulate nelle note (riprodotte nel ricorso per cassazione) del 18.7.2005 di replica alla memoria di costituzione di primo grado della società, deduzioni evidentemente respinte o non esaminate dal giudice di prime cure.

In conseguenza di quanto ora rilevato è da escludere la idoneità delle censure articolate da parte ricorrente ad investire le effettive ragioni della decisione rappresentate quanto alla indennità supernastro lavorativo dalla assoluta carenza di prova della relativa percezione da parte del lavoratore e, quanto agli ulteriori compensi, dalla mancata dimostrazione che gli stessi erano stati corrisposti con regolarità e frequenza per un lasso di tempo apprezzabile. L’accertamento di fatto operato dal giudice di merito così come i parametri di riferimento ai quali è stata ancorata la esclusione delle voci in questione dalla base di computo del tfr non risultano puntualmente investiti dalle doglianze del ricorrente.

In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto in quanto manifestamente infondato”.

Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia e che ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, per la definizione camerale.

A tanto consegue il rigetto del ricorso. Nulla per le spese non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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