Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16134 del 08/07/2010

Cassazione civile sez. III, 08/07/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 08/07/2010), n.16134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7714/2006 proposto da:

DEL MISTRO GIACOBBE IMPRESA EDILE SPA (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante D.M.G., elettivamente

domiciliato in ROMA, via G.G. BELLI 27, presso le studio

dell’avvocato MEREU Paolo, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DE STEFANO NTCOLA con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA;

– intimata –

sul ricorso 11756/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS) in persona del Responsabile della

Direzione Affari Legali Avv. S.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 3, presso lo studio dell’avvocato

BELLINI VITO, che lo rappresenta e difende con delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– ricorrente –

contro

DEL MISTRO GIACOBBE IMP EDILE SPA, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato MEREU PAOLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE STEFANO NICOLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 43/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

Sezione Prima Civile, emessa il 28/01/2005; depositata il 01/03/2005;

R.G.N. 726/C;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/06/2010 dai Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato MEREU PAOLO;

udito l’Avvocato FACCINI ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore-Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e assorbito il ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 28 gennaio-1 marzo 2005 la Corte di appello di Trieste, in riforma della decisione del 3 ottobre 2003 del Tribunale di Pordenone, rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla locatrice Giacobbe Del Mistro Impresa Edile s.p.a. contro la conduttrice Poste Italiane s.p.a..

I giudici di appello, accogliendo l’appello incidentale della conduttrice, riconoscevano la legittimità del recesso dal contratto di locazione di questa ultima società.

Osservava la Corte territoriale che la proprietaria dell’immobile, impresa edile Giacobbe Del Mistro, aveva accettato il recesso di Poste italiane, con il proprio comportamento concludente.

Infatti, la locatrice non solo aveva atteso oltre quindici mesi – dalla data del recesso – prima di proporre la domanda giudiziale, ma aveva anche frazionato l’immobile (originariamente unico, della estensione di circa cinquecento metri quadrati) in tre distinte unità, vendendone una a terzi.

Qualsiasi volontà di impugnare di illegittimità il recesso di Poste doveva, pertanto (hanno concluso i giudici di appello) considerarsi rinunciata in conseguenza di tale comportamento concludente.

Nulla poteva essere riconosciuto al locatore, a titolo di risarcimento dei danni, considerato che con il proprio comportamento acquiescente, le parti non avevano inteso disciplinare eventuali effetti restitutori o risarcitori derivanti dalla rottura del contratto.

Avverso tale decisione la società Giacobbe Del Mistro Impresa Edile ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi.

Resiste con controricorso Poste italiane, la quale ha proposto ricorso incidentale condizionato, cui resiste la Del Mistro con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve innanzi tutto disporsi la riunione dei due ricorsi, proposti contro la medesima decisione.

Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 436 e 112 c.p.c..

I giudici di appello avrebbero dovuto, preliminarmente, rilevare la nullità (per genericità) della eccezione sollevata da Poste italiane, in base alla quale la locatrice avrebbe aderito con il proprio comportamento allo scioglimento del contratto di locazione, rinunciando inoltre agli effetti risarcitori conseguenti all’illegittimo recesso operato dalla stessa conduttrice.

Sia in primo che in secondo grado – nella memoria difensiva e di appello incidentale – Poste italiane si era limitata a svolgere alcune, brevissime, considerazioni in proposito, senza richiamare elementi che potessero in qualche modo giustificare la configurabilità di una volontà, in capo alla Del Mistro, di aderire al recesso di Poste italiane.

I giudici di appello, pertanto, avevano violato il principio della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) attribuendo alla appellante incidentale diritti maggiori di quelli desumibili dalle argomentazioni svolte, rilevando di ufficio una eccezione in senso stretto, proposta in modo del tutto generico nella memoria di costituzione in appello (donde la ulteriore violazione dell’art. 436 c.p.c., commi 2 e 3).

Le censure sono prive di fondamento.

Nel caso di specie, i giudici di appello hanno ricordato che la eccezione – secondo la quale con il suo comportamento concludente la Del Mistro aveva accettato il recesso, “accettando” così la risoluzione del contratto ad ogni effetti – era stata ritualmente sollevata da Poste italiane in primo grado e ribadita in appello.

Poste italiane aveva invocato gravi motivi oggettivi, indicati nelle sopraggiunte nuove necessità di organizzazione degli uffici (che consentono, a determinate condizioni, la facoltà di recesso anticipato al conduttore, con onere di preavviso al locatore: L. n. 392 del 1978, art. 27).

Nessuna violazione delle norme denunciate, pertanto, è possibile ravvisare nel caso di specie.

Tra l’altro, occorre rilevare che il comportamento concludente, così come la risoluzione consensuale del contratto non costituisce materia di eccezione in senso stretto, ma è un fatto estintivo dei diritti nascenti dal contratto, che può essere accertato anche d’ufficio dal giudice, quando lo stesso – come nel caso di specie – possa desumersi dai fatti dedotti e accertati nel giudizio. (Cass. 24 maggio 2007 n. 12075).

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, anche nell’ambito delle controversie di lavoro, possa essere dedotta per la prima volta in appello l’avvenuta risoluzione consensuale di un contratto, non soggiacendo tale deduzione difensiva alle preclusioni stabilite dall’art. 416 cod. proc. civ., comma 2, e art. 437 cod. proc. civ., comma 2, che riguardano soltanto le eccezioni in senso stretto o proprio (Cass. 10 giugno 1992 n. 7153).

Con il secondo motivo, la ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2946 cod. civ., nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

L’assunto per il quale l’asserito comportamento “acquiescente” della Del Mistro fosse ancor più sinonimo di rinuncia al diritto di impugnare la illegittimità del recesso non è conforme ai principi più volte espressi dalla giurisprudenza di questa Corte.

L’inerzia o il semplice ritardo, di per sè soli, non sono sufficienti a dedurre una simile volontà abdicativi potendo gli stessi ben essere frutto di semplice ignoranza, di temporaneo impedimento ovvero di altra causa.

La volontà di rinunciare ad un diritto di credito non può mai essere oggetto di presunzioni.

Infine, nell’affermare la esistenza di un comportamento concludente della locatrice, la Corte aveva formulato una motivazione che prescindeva completamente da iniziative successive al recesso, poste in essere dalla conduttrice ed, anche solo astrattamente, rilevanti.

In pratica la unica argomentazione svolta dai giudici di appello consisteva nella affermazione che la semplice inerzia protratta per oltre quindici mesi aveva prodotto l’effetto della rinuncia al diritto al risarcimento del danno.

Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia, sotto altro profilo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2946 cod. civ., rilevando che – anche a prescindere dal consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di silenzio/inerzia e rinuncia la sentenza impugnata appariva gravemente lacunosa e insufficiente, nella parte in cui aveva ritenuto produttivo di effetti giuridici il comportamento della locatrice dell’immobile per il solo fatto del trascorrere del tempo tra la data del recesso e quello della notifica della citazione (senza che – nel frattempo – si fossero verificati fatti tali che confermassero la univoca volontà della locatrice di aderire e accettare il recesso della conduttrice).

I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono inammissibili ancor prima che infondati.

Innanzi tutto, deve rilevarsi la non congruenza delle norme denunciate, rispetto alle censure sviluppate nei motivi.

Esse, infatti, fanno riferimento – peraltro – del tutto generico alla violazione di canoni di interpretazione dei contratti e delle disposizioni in materia di prescrizione che non hanno alcuna attinenza con le questioni trattate. Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, la rinuncia ad un diritto, se pure non può essere presunta, può tuttavia desumersi da un comportamento concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto,la volontà di rinunciare.

La valutazione in concreto di tali comportamenti forma oggetto di un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se non per contraddittorietà intrinseca della motivazione o per sua carenza o illogicità (Cass. 13 gennaio 2009 n. 460).

L’accertamento compiuto dai giudici di appello in ordine alla condotta tenuta dalla Impresa Del Mistro sfugge a qualsiasi censura in questa sede di legittimità, in quanto ampiamente e logicamente motivata.

Non risponde al vero, tra l’altro, che i giudici di appello abbiano tenuto conto solo del decorso del tempo al fine di stabilire il comportamento concludente della stessa e la conseguente rinuncia a qualsiasi diritto di risarcimento conseguente al recesso dal contratto di locazione.

Infatti, nella sentenza impugnata – oltre alla indicazione del periodo di tempo trascorso tra comunicazione del recesso ed iniziativa giudiziaria viene richiamata diffusamente la circostanza che a pochi mesi di distanza dal recesso, la locatrice aveva venduto a terzi una parte dell’immobile, dopo aver realizzato una divisione materiale e funzionale di quello che era all’origine, un unico immobile.

A questa prima vendita era poi seguita una vendita della seconda porzione di immobile in corso di causa, a distanza di poco tempo.

Sulla base di tali accertamenti di fatto – che non sono specificamente contestati dalla locatrice – la Corte territoriale è giunta alla conclusione che la Del Mistro avesse prestato acquiescenza al recesso operato da Poste italiane accettando gli effetti risolutivi dell’esercizio legittimo di tale facoltà, senza nulla pretendere a titolo di risarcimento dei danni.

Conclusivamente il ricorso principale deve essere rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale, espressamente qualificato come condizionato.

Sussistono giusti motivi, in considerazione delle alterne soluzioni date alla presente controversia dai giudici di merito, per disporre la compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi.

Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale.

Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2010

 

 

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