Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16129 del 26/06/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 16129 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ORRU’ Veronica (RRO VNC 81D43 E202B), ORRU’ Annarella (RRO NRL
59C63 17240), ORRU’ Andrea (RRO NDR 83E23 E202X), elettivamente
domiciliati in Roma, Piazzale Clodio n. 18, presso lo studio
dell’Avv. Daniela Salvadore, rappresentati e difesi unitamente e
disgiuntamente dagli Avv. Rossella Spediacci, Francesca Ricci e
Caterina Gullì, giusta procure speciali a margine del ricorso;
q

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro della Giustizia
pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è
elettivamente domiciliato per legge;
– intimato –

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Data pubblicazione: 26/06/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, reso nel
procedimento n. 29/10 RGVG, depositato in data 9 aprile 2010.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 1 febbraio 2012 dal Consigliere relatore Dott.ssa Maria
Rosaria San Giorgio;

dott. Ignazio Patrone, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Con ricorso depositato in data 11 gennaio 2010 presso la
Corte d’appello di Genova, Veronica, Annarella e Andrea Orrù
chiesero

il

riconoscimento

dell’equa

riparazione per

la

irragionevole durata di un giudizio dagli stessi promosso innanzi
al Tribunale di Grosseto con citazione notificata il 29 maggio
2002, ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni da
responsabilità professionale medica, non ancora terminato alla
data di proposizione del ricorso.
2. – La Corte adita, con decreto depositato il 9 aprile 2010,
accolse la domanda, condannando il Ministero della Giustizia a
versare a titolo di equa riparazione, a ciascuno dei ricorrenti,
la somma di euro 4000,00, rilevando che dall’inizio della causa
presupposta erano decorsi, alla data di deposito del ricorso, otto
anni, periodo dal quale andava detratto quello di quattro anni,
ritenuto congruo per la durata di un giudizio civile di primo
grado, e ritenendo, pertanto, che il periodo eccedente quello di
ragionevole durata del processo fosse, allo stato, di quattro
anni.

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sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

3. – Per la cassazione di tale decreto ricorrono Annarella,
Andrea e Veronica Orrù sulla base di due motivi. L’intimato
Ministero della Giustizia non si è costituito nel giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con i due motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente

profili – si censura l’impugnato decreto per aver ritenuto congrua
la durata di quattro anni di un giudizio civile di primo grado,
così discostandosi dai criteri adottati dalla giurisprudenza EDU e
da quella della Corte di legittimità – secondo i quali di norma e
salvo ragioni di differenziazione da accertare specificamente, la
durata ragionevole del processo di primo grado è di anni tre senza minimamente motivare la deroga a tale orientamento.
2. – Il ricorso è fondato.
2.1. – E’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte, che la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone che la
ragionevole durata di un processo va verificata in concreto,
all’esito di una valutazione degli elementi previsti da detta
norma (per tutte, Cass. n. 6039, n. 4572 e n. 4123 del 2009; n.
8497 del 2008) e in tal senso è orientata anche la giurisprudenza
della Corte EDU (tra le molte, sentenza Prima Sezione del 23
ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha tuttavia
stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole
del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il
giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità. Siffatto
parametro va osservato dal giudice nazionale e da esso è possibile

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in quanto attinenti alla medesima questione valutata sotto diversi

discostarsi, purché in misura ragionevole e sempre che la relativa
conclusione sia confortata con argomentazioni complete,
logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i
criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano
di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del

tante, Cass. n. 4123 e n. 3515 del 2009, n. 8383 del 2010).
2.2. – Il decreto impugnato non si sottrae, pertanto, alle
critiche dei ricorrenti per aver valutato come termine ragionevole
di durata del processo presupposto quello di quattro anni, anziché
di tre anni, discostandosi dagli

standards

indicati dalla Corte

EDU e dalla giurisprudenza di questa Corte senza motivare in
ordine alle ragioni della deroga.
3. – Il ricorso deve, dunque, essere accolto. Il decreto
impugnato va cassato e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai
sensi dell’art. 384, secondo comma, cod.proc.civ., condannando
l’Amministrazione convenuta al pagamento della somma di euro
4250,00, oltre agli interessi dalla domanda al saldo, per ciascuno
dei ricorrenti, secondo i criteri di liquidazione normalmente
utilizzati da questa Corte (euro 750,00 ad anno per i primi tre
anni di ritardo, ed euro 1000,00 per gli anni successivi di durata
irragionevole del processo, complessivamente pari a cinque anni).
Le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità sono
poste a carico dell’Amministrazione soccombente e liquidate come
in dispositivo.

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processo (Cass., Sez. un., n. 1338 del 2004; in seguito, tra le

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo
nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in
favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 4250,00,
oltre gli interessi legali dalla data della domanda al saldo;

giudizio, che liquida, per il giudizio di merito, in complessivi
euro 900,00, di cui euro 450,00 per onorari e Euro 400 per
diritti, con distrazione a favore del difensore antistatario, e,
per il giudizio di legittimità, in Euro 506,50 per compensi, oltre
Euro 100 per esborsi e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sez.

condanna il predetto Ministero al pagamento delle spese di

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