Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16128 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 22/05/2017, dep.28/06/2017),  n. 16128

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14043/2010 R.G. proposto da:

A.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Russo, presso il

quale è domiciliato, in Roma, viale Castro Pretorio n. 122, giusta

procura speciale notarile;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo n. 103/09/09, depositata il 3 aprile 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 maggio

2017 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli,

Letta la memoria depositata dall’Avv. Andrea Russo per il ricorrente.

Fatto

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:

– A.C., esercente attività di concessionario auto, impugna per cassazione la decisione della CTR dell’Abruzzo che, in riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto legittima la ripresa per l’omessa fatturazione dei premi corrisposti dalla Autogerma Spa (poi Volkswagen) alla concessionaria per la ricorrenza di un rapporto sinallagmatico rispetto al raggiungimento degli standards contrattuali, assumendo, con due motivi, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio identificato nell’esistenza in capo al concessionario di una obbligazione di fare e di un rapporto di corrispettività tra bonus e prestazione dei servizi (primo motivo), nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1371 c.c., in ordine all’interpretazione degli atti negoziali tra concedente e concessionario;

– la contestazione scaturisce dal mancato assoggettamento al regime IVA dei bonus che la casa produttrice di autoveicoli (attraverso il distributore nazionale) aveva corrisposto secondo contratto, bonus che secondo la Amministrazione finanziaria si configuravano come corrispettivi per la prestazione di servizi autonomamente fatturabili ai sensi del D.P.R. n. 633 cit., art. 3; il contribuente, per contro, si duole di tale qualificazione ritenendo che l’erogazione, avendo ad oggetto somme di denaro in assenza di corrispettività, non sia assoggettata ex art. 2 del medesimo D.P.R.;

– il primo motivo è infondato;

– va premesso che, in materia di bonus o premi occorre distinguere tra bonus quantitativi, ossia di erogazioni corrisposte a fronte dell’attività tipicamente svolta dal cliente/concessionario ed incidente direttamente sul volume d’affari dell’impresa fornitrice/concedente, e bonus qualitativi, rispetto ai quali le erogazioni sono corrisposte non a fronte dell’attività tipicamente svolta dal cliente/concessionario, ma in relazione ad attività collaterali e distinte dalla prestazione principale, quali azioni dirette all’espansione delle vendite, lo svolgimento di attività di marketing ovvero di attività legate, direttamente o indirettamente, alla fidelizzazione della clientela;

– oltre a questi casi, la prassi operativa ha individuato anche i bonus misti, per i quali l’erogazione è condizionata al raggiungimento di obbiettivi di natura sia quantitativa che qualitativa (v. sul punto Cass. n. 11398 del 2015);

– la prima ipotesi si concretizza in una remunerazione della medesima attività svolta in via ordinaria: ne deriva, quanto a regime fiscale, l’applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, ossia del trattamento riservato agli abbuoni o sconti;

– analoga conclusione vale per la terza ipotesi (Cass. n. 11398 del 2015) ove il riconoscimento dello sconto sia collegato ad obbligazioni qualitative non autonome ma funzionali alla realizzazione dell’obbiettivo quantitativo;

– con riferimento alla seconda ipotesi, invece, la prestazione è soggetta al regime ordinario qualora sussista un rapporto di corrispettività tra la somma corrisposta dal fornitore dei beni e lo svolgimento, da parte del soggetto percettore, di specifiche obbligazioni di fare, riconducibili alla categoria dei servizi, la cui definizione va ricercata nel D.P.R. n. 633 cit., art. 3, comma 1, che dispone “Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”;

– la CTR, sulla base dell’esame delle disposizioni dei contratti di concessione di vendita, ha ritenuto che “il bonus non può essere ascritto ad un premio che il concedente attribuisce al concessionario indipendentemente dalla qualità della attività da lui prestata nell’ambito del rapporto concessorio, ma costituisce il corrispettivo di una prestazione che il concessionario ha reso in adempimento di precisi obblighi di fare individuati contrattualmente in una serie di valori di riferimento assegnati agli standards organizzativi” atteso che:

a) “l’osservanza delle condizioni – standards organizzativi del concessionario – indicate nell’allegato 4” costituisce – ai sensi dell’art. 1 del contratto – il “presupposto fondamentale del contratto”;

b) le attività richieste nell’allegato 4, inoltre, sono state identificate “nello svolgimento di una corretta ed idonea attività commerciale” anche al fine di “migliorare l’immagine aziendale del concessionario e contestualmente della marca… il concedente consegna un fascicolo denominato standard organizzativi del concessionario”;

c) i bonus per standard organizzativi sono attribuiti “a condizione che il concessionario abbia realizzato gli standard previsti nel contratto di concessione come da suo allegato 4”;

d) l’esistenza di una ipotesi di risoluzione senza preavviso all’art. 20, punto 6, del contratto ove indica “il mancato conseguimento per più di una volta e in notevole misura degli obbiettivi di vendita o di mercato da parte del concessionario”, precisando la CTR che tali obbiettivi “non possono essere che quelli indicati negli standards del concessionario, i cui valori di riferimento una volta realizzati danno diritto al pagamento del bonus qualitativo”, senza essere collegati “alla sola vendita degli autoveicoli” attesa l’esplicita finalità, racchiusa nel citato allegato 4, “di migliorare l’immagine del concessionario… e della marca”;

– la motivazione e le argomentazioni logiche della CTR si articolano, dunque, su un duplice livello: a) l’accertata relazione di corrispettività tra i bonus riconosciuti ed i risultati concernenti standards qualitativi richiesti alla concessionaria e dipendenti dallo svolgimento di specifiche attività (qualificate fiscalmente come servizi); b) l’assunzione in contratto dell’impegno da parte della concessionaria della esecuzione di dette attività, ritenute pertanto oggetto di obbligazione, risultando sanzionato con clausola risolutiva espressa l’inadempimento (grave e ripetuto); e tutti tali elementi vengono riconosciuti dalla CTR come indicativi della pattuizione di bonus qualitativi in senso proprio che debbono pertanto essere fatturati dal concessionario;

– orbene le censure del ricorrente non sono conducenti ed idonee ad inficiare il ragionamento della CTR abruzzese:

– non realizza un salto logico fondare la prescrittività delle prestazioni di cui all’allegato 4 (ossia standard del concessionario) sul disposto di cui all’art. 1 poichè il loro rispetto costituisce “presupposto fondamentale del contratto”, e, dunque, identifica un elemento di particolare e decisiva (“fondamentale”) rilevanza per il contratto; la censura, quindi, si traduce in una contestazione della valutazione operata e in un diverso apprezzamento di fatto, alternativo a quello del giudice;

– corretta e non incongrua è pure la riferibilità della clausola risolutiva espressa alle specifiche attività del concessionario, attesa l’evidente sovrapposizione delle nozioni “obbiettivi contrattuali di vendita e di mercato” e l’osservanza delle condizioni standard del concessionario, che sono funzionali “allo svolgimento di una corretta e idonea attività commerciale”;

– è poi irrilevante l’affermazione che, anche a fronte dell’assolvimento di tutte le condizioni previste dal fascicolo sugli standard organizzativi (non riprodotto e, comunque, mai prodotto), nessun bonus verrebbe elargito ove non fosse stata effettuata alcuna vendita nel periodo, costituendo quest’ultimo il parametro per la determinazione del premio; per contro, se ne deriva che il bonus, pur a fronte di vendite, non spetta se non sono state assolte le condizioni che fungono, dunque, da effettivo presupposto;

– la natura di incentivo del bonus, poi, non solo non comporta come sostenuto dal ricorrente – una incongruenza ma, anzi, in quanto diretto ad attribuire un vantaggio economico in relazione alla tenuta di uno specifico comportamento, costituisce ulteriore riscontro e conferma del percorso motivazionale della CTR; nè, per le medesime ragioni, assume rilievo che l’erogazione del bonus sia sottoposta “a condizione”, circostanza che, anzi, evidenzia l’esistenza di un rapporto di sinallagmaticità;

– l’omessa considerazione da parte della CTR del “bonus per Indice di soddisfazione del cliente” costituisce poi circostanza non decisiva che non incide sull’esegesi del contratto operata, potendosi peraltro rilevare che anche tale bonus – come emerge dal testo della clausola riprodotta – è erogato in funzione della realizzazione e del mantenimento di standard che attengono alle strutture di vendita e che incidono, direttamente o indirettamente, sulla customer care;

– è poi irrilevante che nel contratto non vi sia una specifica clausola per ottenere tutela in via specifica in caso di mancata erogazione del bonus pur in presenza di tutte le condizioni, restando operative;

– come pure evidenziato dalla CTR – le ordinarie garanzie previste dal codice civile in caso di inadempimento dell’altra parte;

– il secondo motivo è inammissibile attesa l’astrattezza del quesito ex art. 366 bis c.p.c., privo di ogni riferimento alla concreta vicenda;

– in ogni caso la doglianza è comunque infondata: la decisione è rispettosa dei canoni ermeneutici, avendo ancorato la soluzione al tenore letterale delle disposizioni contrattuali e, prioritariamente, all’art. 1 che definisce, in termini inequivoci, che “il presupposto fondamentale del presente contratto è l’osservanza delle condizioni;

– standard del concessionario – indicate nell’allegato 4”;

– da ultimo, va esaminata la richiesta di applicazione, formulata nella memoria ex art. 378 c.p.c., dello ius superveniens di cui al d.lgs. n. 158 del 2015 e di conseguente rideterminazione delle sanzioni in tema di mancata od omessa emissione di fatture per operazioni imponibili Iva e dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta ai fini Iva;

– la modifica normativa in esame, invero, non opera in maniera generalizzata in favor rei, con la conseguenza che la mera affermazione di uno ius superveniens più favorevole, non consente di operare sic et simpliciter latrasformazione della sanzioneirrogata in sanzione illegale, specie in assenza di specifica deduzione dell’applicabilità in concreto (avuto riguardo, in particolare, alle specifiche condizioni esistenti, alla rilevanza della condotta e agli elementi di fatto rilevanti per la determinazione al minimo edittale) di una sanzione tributaria inferiore rispetto a quella applicata, nel caso in esame mancata con riferimento sia ai margini edittali della sanzione inflitta che alla valutazione della gravità della violazione;

– ne deriva che deve escludersi che la mera deduzione di uno ius superveniens più favorevole, senza alcuna altra precisazione con riferimento al caso concreto, sia tale da imporre il rinvio della causa al giudice di merito, a ciò ostandovi non soltanto il principio di necessaria specificità dei motivi di ricorso in cassazione (Cass. n. 24625 del 2015), ma anche e soprattutto il principio costituzionale di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost. (Cass. n. 20141 del 2016);

– il ricorso va pertanto respinto, con condanna alle spese liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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