Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16127 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. I, 28/07/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 28/07/2020), n.16127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14503/2016 r.g. proposto da:

S.D., (cod. fisc. (OMISSIS)) ed A.A. (cod.

fisc. (OMISSIS)), entrambi rappresentati e difesi, giusta procura

speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Mario Del Prete,

con cui elettivamente domiciliano in Roma, al Piazzale Clodio n. 56,

presso lo studio dell’Avvocato Giovanni Bonaccio;

– ricorrenti –

contro

UBI BANCA S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS),

quale incorporante la Banca Popolare di Ancona s.p.a. (giusta atto

di fusione per notar C.G.B. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato John Loris

Battisti, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via G.

Paisiello n. 15, presso lo Studio Legale SRS degli Avvocati Sarti,

Ripoli e Stoduto.

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ANCONA depositata il

15/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 07/07/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.D. ed A.A. citarono la Banca Popolare di Ancona s.p.a. (oggi UBI Banca s.p.a., d’ora in avanti, semplicemente Banca) innanzi al Tribunale di Pesaro invocandone, previa declaratoria di nullità e/o annullabilità degli ordini di acquisto di obbligazioni Cirio, per un controvalore complessivo di Euro 139.712,73, sottoscritti il (OMISSIS), la condanna alla restituzione della somma investita. In subordine, chiesero accertarsi la responsabilità contrattuale della convenuta per violazione dei doveri di correttezza, di diligenza ed informazione gravanti sull’intermediario finanziario e per l’inadempimento degli obblighi di cui al mandato, con conseguente sua condanna al risarcimento del danno pari al capitale investito.

1.1. Costituitasi la convenuta ed espletata l’istruttoria, l’adito tribunale, con sentenza n. 456 del 2007, respinse le domande degli attori ritenendo che: i) la Banca non aveva svolto nei confronti dei clienti alcuna attività di sollecitazione e collocamento dei titoli controversi, sicchè non aveva commesso violazioni della disciplina normativa e regolamentare relativa a tali servizi. Essa, inoltre, aveva agito correttamente ed impiegando il dovuto grado di diligenza nell’ambito del rapporto contrattuale di negoziazione e raccolta ordini intercorso tra le parti; ii) i fatti allegati dovevano qualificarsi come ipotesi di responsabilità precontrattuale, avendo gli attori sostenuto di essere stati sollecitati all’acquisto da parte della Banca convenuta e di non avere ricevuto adeguata informazione in merito al rischio connesso all’investimento; iii) l’azione di responsabilità era infondata, non ravvisando inadempimenti nella Banca, in considerazione del crescente profilo di rischio dell’investitore, nè una situazione di conflitto di interesse.

2. Il gravame promosso dal S. e dalla A. contro quella decisione è stato respinto dalla Corte di appello di Ancona con la sentenza del 22 dicembre 2015/15 gennaio 2016, n. 45, resa nel contraddittorio con la Banca. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, richiamata la disciplina degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario ed alcune pronunce di legittimità: i) ha affermato che “la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario, con la quale egli dia atto di avere ricevuto le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del “grado di rischiosità”, è inidonea ad assolvere gli obblighi informativi prescritti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, trattandosi di una dichiarazione riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente”. Tuttavia “non vi è dubbio che il giudizio in ordine alle asserite violazioni da parte della banca degli obblighi informativi deve essere effettuato ex ante, ovvero parametrato alle conoscenze esigibili da un intermediario finanziario professionista sulle informazioni presenti nel mercato al momento dell’operazione e non ex post sulla base della conoscenza del default del titolo… Nè l’allegata conoscenza dell’alto tasso di rischio dei titoli oggetto di causa può essere tratta da elementi presuntivi, posto che non può attribuirsi rilievo ai fini probatori, ancorchè in via presuntiva, a fatti meramente ipotetici”; ii) ha considerato che “all’epoca della disposizione dell’ordine, e cioè nel (OMISSIS), non era ancora nota tra la generalità degli operatori la grave situazione finanziaria della Cirio, poi sfociata nella dichiarazione di default del successivo (OMISSIS). In altri termini, al momento dell’acquisto non emergevano particolari caratteristiche di rischio del titolo – oltre a quella immediatamente percepibile dagli acquirenti, costituita dall’elevata redditività dell’obbligazione – tali da gravare gli obblighi informativi della banca di oneri e contenuti ulteriori rispetto alla segnalazioni contenute nella documentazione fornita”; iii) ha negato che, “per l’adempimento dell’obbligo informativo, la Banca appellata doveva compiutamente informare i clienti della situazione finanziaria e dell’assetto societario del gruppo Cirio”; iv) ha sostenuto, “quanto alla dedotta assenza di rating dei titoli ed alla riserva di vendita ad investitori professionali in base alla offering circular,… che, in epoca, precedente gli acquisti, la stampa specializzata aveva dato una valutazione positiva del titolo…; che gli appellanti avevano acquistato il titolo ad un prezzo superiore al valore nominale, circostanza indicativa della percezione del mercato in merito alla “bontà” del prodotto finanziario; che gli acquisti sono avvenuti a collocamento avvenuto, sicchè non sussisteva alcuna limitazione nei confronti della cosiddetta clientela retail”; v) ha escluso la configurabilità del dedotto conflitto di interessi, atteso che, da un lato, la negoziazione in contropartita diretta rientrava tra le modalità con le quali l’intermediario poteva dare corso ad un ordine di acquisto o vendita di strumenti finanziari impartitogli dal cliente; dall’altro, era mancata la dimostrazione che la Banca avesse suggerito acquisto al fine di perseguire scopi ulteriori e diversi rispetto alla realizzazione dell’interesse del cliente.

3. Avverso questa sentenza il S. e la A. ricorrono per cassazione, affidandosi a tre motivi. Resiste, con controricorso, la Banca. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi – rubricati, rispettivamente, “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 23 TUF e artt. 28,29 Reg. Consob 11522/98, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” e “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21,23 TUF e artt. 26 e ss. Reg. Consob 11522/98, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, – censurano entrambi la decisione della corte territoriale nella parte in cui ha escluso l’avvenuta violazione degli obblighi informativi gravanti sulla Banca. Si sostiene, tra l’altro, che il giudice di merito: i) una volta riconosciuta l’incompletezza di ordini di acquisto in cui il cliente “dia atto di avere ricevuto informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del grado di richiesta”, e, pertanto, la loro inidoneità ad assolvere gli obblighi informativi a carico dell’intermediario, avrebbe dovuto verificare la rispondenza dei predetti principi al contenuto dei contratti sottoscritti dagli odierni ricorrenti, onde raggiungere il convincimento della assoluta insufficienza degli avvertimenti ed informazioni ivi riportati. Operazione, quest’ultima, totalmente pretermessa e, viceversa, assolutamente decisiva ai fini dell’esito del giudizio; ii) avrebbe dovuto arrestarsi di fronte alla mera constatazione della mancanza della prova positiva della diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a carico dell’intermediario, condannando la Banca al risarcimento del relativo danno. Preso atto, cioè, dell’inadeguatezza dell’investimento, unico e generico avvertimento impartito per iscritto dall’intermediario, nonchè dell’inidoneità dello stesso ad assolvere agli obblighi di legge, avrebbe dovuto definire il giudizio sulla scorta di tali elementi; iii) da un lato, aveva omesso totalmente la valutazione della carenza informativa desumibile per tabulas dall’ordine di acquisto del (OMISSIS), pur affermando, in punto di diritto, l’essenzialità e specificità di tale tipologia di obblighi in capo all’intermediario; dall’altro, si era contraddetto apertamente nel momento in cui, premessi gli obblighi di cui sopra, aveva svolto considerazioni in merito a quali informazioni in concreto la Banca avrebbe dovuto fornire, in una prospettiva ex ante, mandando inspiegabilmente esente quest’ultima da ogni censura; iv) contrariamente al principio espresso dalla sentenza della Suprema Corte n. 18039/2012, aveva indebitamente operato una valutazione positiva circa la convenienza del titolo, sostituendosi in tal modo all’investitore, anzichè prendere atto, con tutte le conseguenze del caso, che a quest’ultimo, positive o meno che fossero le valutazioni del titolo, le stesse erano state totalmente omesse.

1.1. Le descritte doglianze sono suscettibili di scrutinio congiunto perchè chiaramente connesse, fin da ora evidenziandosi che il rapporto dedotto in causa si è svolto in epoca antecedente al recepimento delle direttive comunitarie n. 39 del 2004 e n. 73 del 2006 (cd. direttiva MiFid), poi integrate dal regolamento n. 1283 del 2006, sicchè si farà riferimento alla disciplina dettata dal T.U.F. del 1998 (D.Lgs. n. 58 del 1998) e dal regolamento Consob vigente prima delle modifiche apportategli per adattarli alle suddette nuove direttive.

1.2. Giova poi ricordare che questa Corte si è in molteplici occasioni (cfr. tra le più recenti ed esaustive, Cass. n. 10111 del 2018) soffermata sul tema degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario in applicazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21 in combinato disposto con gli artt. 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, esaminando l’argomento, e pervenendo ad esiti interpretativi univoci e consolidati, sotto due distinti aspetti che sono stati tenuti e che occorre tenere attentamente separati: i) quello dell’identificazione della latitudine degli obblighi informativi medesimi; ii) quello dell’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova in sede giudiziale ove l’investitore lamenti l’inadempimento di detti obblighi.

1.2.1. Sotto il primo aspetto, quello della latitudine degli obblighi informativi di cui al citato art. 28 ed al successivo art. 29, non vi è dubbio che essi – all’infuori dell’ipotesi di cliente che sia effettivamente operatore qualificato, ove ne ricorrano le condizioni individuate da Cass. n. 18702 del 2016 – siano particolarmente estesi e penetranti, giacchè diretti, in generale, a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, avendo acquisito l’intero ventaglio delle informazioni, specifiche e personalizzate, che, di volta in volta, alla luce del parametro di diligenza applicabile, l’intermediario debba fornire in ragione dell’investimento prescelto, tenuto conto tanto delle caratteristiche dell’investitore, quanto di quelle del titolo verso cui si indirizza l’investimento, benchè attuato nel contesto di un rapporto di sola negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini (cfr. Cass. n. 14884 del 2017; esclusa, ma nel quadro del successivo regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, qui inapplicabile ratione temporis, l’ipotesi della cd. execution only: Cass. n. 14884 del 2017). Pertanto, una volta doverosamente acquisite le informazioni necessarie (cfr. Cass. n. 8619 del 2017), l’intermediario deve esemplificativamente rendere edotto l’investitore del rating, della eventuale offering circular e delle caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato (cfr. Cass. n. 8619 del 2017), di eventuali situazioni di grey market (cfr. Cass. n. 8314 del 2017), e, se del caso, finanche del rischio di default dell’emittente, sempre che resti apprezzabile da esso intermediario (cfr. Cass. n. 12544 del 2017, e, riassuntivamente, Cass. n. 1376 del 2016), senza che un deficit informativo si possa giustificare sulla base della dimensione locale dell’intermediario medesimo e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli (cfr. Cass. n. 8619/2017).

1.2.1.1. Dunque, i menzionati obblighi informativi non sono certo soddisfatti dalla sola consegna del prospetto generale dei rischi degli investimenti in strumenti finanziari, nè da altre comunicazioni di tipo generico e standardizzato (cfr. Cass. n. 9066 del 2017: ma la standardizzazione è, invece, espressamente considerata dal regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, art. 27), ovvero dalla semplice sottoscrizione, da parte del cliente, della formula “operazione non adeguata per tipologia”, così come dalla previsione, da parte della banca, di una clausola “rischio Paese” (cfr. Cass. n. 8314/2017), o dall’indicazione contrattuale del massimo rischio contrattualmente previsto (cfr. Cass. n. 8089 del 2016), o, altresì, dalla dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario, con la quale egli dia atto di avere ricevuto le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del “grado di rischiosità” (cfr. Cass. n. 11412 del 2012, secondo cui una siffatta dichiarazione “non può essere qualificata come confessione stragiudiziale, essendo a tal fine necessaria la consapevolezza e volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole all’altra parte, che determini la realizzazione di un obiettivo pregiudizio, ed è, inoltre, inidonea ad assolvere gli obblighi informativi prescritti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, trattandosi di una dichiarazione riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente”).

1.2.1.2. Insomma, l’investitore deve ricevere una vera informazione, sicchè gli intermediari devono, dal canto loro, fornire ai clienti – per usare la chiara formula adottata dal già citato regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, art. 27, sebbene inapplicabile ratione temporis alla vicenda in esame – “in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinchè essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole”.

1.2.1.3. L’eventuale violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario assume, inoltre, rilevanza non solo in relazione alla stipula del contratto quadro d’intermediazione, che costituisce soltanto la cornice contrattuale delle successive operazioni di investimento, ma anche nella successiva fase applicativa: con la conseguenza che l’inadempimento degli obblighi informativi facenti capo all’intermediario può giustificare tanto la risoluzione del contratto quadro che dei singoli ordini di investimento e disinvestimento impartiti alla banca. Infatti, gli adempimenti relativi agli obblighi informativi nei confronti del cliente posti a carico dell’intermediario finanziario prevalentemente nella fase anteriore all’effettuazione delle singole operazioni di investimento, costituiscono soltanto un aspetto particolare del più generale obbligo di informazione che la legge pone a carico dell’intermediario stesso ed alla cui osservanza è informato l’intero svolgimento del rapporto, dalla fase anteriore alla stipula del contratto quadro fino all’esecuzione delle singole operazioni di investimento (cfr. Cass. n. 16820 del 2016; Cass. n. 12937 del 2017; Cass. n. 3261 del 2018; Cass. n. 10111 del 2018).

1.2.2. Con specifico riguardo, poi, alla segnalazione di inadeguatezza di cui all’art. 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998 (tema che conserva attualità solo in ragione del protrarsi di liti, come quella odierna, concernenti vicende temporalmente collocate in epoca antecedente al regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007), vale osservare che questa Corte ha già avuto modo di segnalare che anche detto scrutinio si colloca entro l’ambito della pluralità degli obblighi informativi facenti capo agli intermediari finanziari (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere), tutti convergenti verso un fine unitario, consistente, per l’appunto, nel segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (cfr. Cass. n. 1376 del 2016, secondo cui “tale segnalazione deve contenere specifiche indicazioni concernenti: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del soggetto emittente, non essendo sufficiente la mera indicazione che si tratta di un “Paese emergente”; 3) il “rating” nel periodo di esecuzione dell’operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali carenze di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo (situazioni cd. di “grey market”); 5) l’avvertimento circa il pericolo di un imminente “default” dell’emittente. il contenuto della segnalazione di inadeguatezza”).

1.2.2.1. Il citato art. 29, che pone la cd. suitability rule, ossia la regola che impedisce agli intermediari di porre in essere operazioni inadeguate al profilo di rischio dell’investitore, si colloca in collegamento con la cd. know your customer rule, dal momento che l’intermediario in tanto può verificare l’adeguatezza dell’operazione in quanto abbia precedentemente acquisito le informazioni concernenti il cliente. Ciascuna operazione di negoziazione, secondo la disposizione menzionata, può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, ed ognuno di tali eventuali profili di inadeguatezza, ove sussistente, deve essere – con diverso approfondimento in dipendenza dell’attività prestata dall’intermediario, secondo si tratti di attività di gestione, ovvero di mera negoziazione o ricezione/trasmissione di ordini – indicato e spiegato all’investitore al menzionato fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole.

1.2.2.2. In particolare, l’inadeguatezza per tipologia ed oggetto va verificata in relazione alle caratteristiche proprie dello strumento finanziario, le quali si riflettono sul coefficiente di rischio dell’operazione; il profilo dell’adeguatezza per dimensione o frequenza riguarda, invece, il rapporto tra l’entità dell’investimento ed il portafoglio del cliente (in questi termini, cfr. Cass. n. 17353 del 2016).

1.2.2.3. Non c’è dubbio, allora, che il contenuto della segnalazione di inadeguatezza debba essere sufficiente in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente (così Cass. n. 10111 del 2018; Cass. n. 20178 del 2014; Cass. n. 18140 del 2013; Cass. n. 22147 del 2010).

1.2.2.4. Dinanzi al rifiuto dell’investitore di fornire informazioni concernenti il suo profilo, poi, l’intermediario non è esonerato dalla valutazione di adeguatezza, che deve essere eseguita sulla base delle informazioni in suo possesso, quale ad esempio l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse ed abituali, la situazione di mercato (cfr. Cass. n. 18039 del 2012; Cass. n. 5250 del 2016).

1.2.2.5. La segnalazione di inadeguatezza, peraltro, è dovuta anche se il cliente abbia in precedenza acquistato altri titoli a rischio, perchè ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob (cfr. Cass. n. 17340 del 2008). Inoltre, ove pure l’investitore reso consapevole dalle informazioni ricevute insista per l’esecuzione dell’ordine, l’intermediario non è, per ciò solo, vincolato ad adempiere, potendo recedere “in presenza di ordini chiaramente rischiosi, idonei ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso, ai sensi dell’art. 1727 c.c., comma 1” (cfr. Cass. n. 7922 del 2015; Cass. n. 12262 del 2015).

1.2.3. Chiaro ed univoco è anche l’orientamento della Suprema Corte con riguardo alla forma della segnalazione di inadeguatezza.

1.2.3.1. L’art. 29 in discorso non pone un requisito di forma concernente il contenuto delle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornire all’investitore in ordine alle ragioni di inadeguatezza della disposizione di investimento (cfr. Cass. n. 18140 del 2013). La norma richiede, cioè, la forma scritta per l’ordine da parte del cliente, ma non con riguardo alla motivazione dell’inadeguatezza, la quale, considerato il principio generale della libertà di forme, ben può essere fornita verbalmente: ed anzi, nel quadro di applicazione di detta norma, – a seguito del regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 le informazioni, come si è accennato, “possono essere fornite in formato standardizzato” discenderà di regola da un individualizzato colloquio verbale, mirato ad un’effettiva spiegazione e reale comprensione dei termini e delle ragioni dell’inadeguatezza rilevata dall’intermediario (cfr. Cass. n. 17353 del 2016).

1.2.3.2. L’integrale esplicazione scritta del contenuto della segnalazione, dunque, non è obbligatoria “essendo sufficiente il riferimento alla circostanza dell’avere l’intermediario rivolto le avvertenze al cliente, ottenendone l’ulteriore richiesta di eseguire comunque l’operazione. Infatti, alla luce sia della lettera, sia della ratio della norma, nè la prima si presta ad un’interpretazione estensiva, nè la seconda la postula, considerando che la disposizione intende enfatizzare al cliente la rilevanza della sua decisione, nonchè precostituire una prova per la banca, ma non impone nessuna forma con la quale veicolare le dovute informazioni” (cfr. Cass. n. 11578 del 2016). Proprio in ragione dell’insussistenza di una previsione che imponga all’intermediario, per così dire, di verbalizzare il contenuto delle informazioni somministrate al cliente in ordine requisito formale della segnalazione di inadeguatezza si giustifica l’affermazione secondo cui siffatta segnalazione è inidonea, in se stessa, ad assolvere agli obblighi informativi prescritti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 28 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, integrando la stessa un’affermazione del tutto riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente (cfr. Cass. n. 11412 del 2012).

1.2.3.3. Nè un diverso orientamento sul punto potrebbe essere desunto da una frettolosa lettura di talune massime, o brani di decisioni, che, in effetti, non segnalano, come talora sostenuto in alcuni interventi di dottrina, alcun contrasto. Si trova ad esempio affermato che: “Tale dichiarazione può, al più, comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’intermediario, sempre che sia corredata da una, sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l’acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie” (cfr. Cass. n. 4620 del 2015, ripresa da Cass. n. 1376 del 2016). Ciò, evidentemente, non vuoi dire che la segnalazione di inadeguatezza, redatta per iscritto, debba contenere una “sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio”, bensì che, se la contiene, come era accaduto nel caso di specie, essa può provare, in relazione alla circostanza ivi menzionata, e solo rispetto ad essa, l’adempimento dell’obbligo informativo.

1.2.4. Passando all’esame del secondo aspetto, quello dell’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova in sede giudiziale, occorre anzitutto richiamare la regola secondo cui, nei giudizi di risarcimento del danno, è onere dell’intermediario provare di avere agito con la diligenza richiestagli, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6: norma che, lungi dal comportare un’inversione dell’onere probatorio altrimenti discendente dall’art. 2697 c.c., si pone in perfetta armonia e continuità con la regola generale stabilita dall’art. 1218 c.c., che, in presenza dell’inadempimento, pone a carico del debitore la prova della sua non imputabilità (cfr. Cass. n. 17138/2016), non trovando applicazione tale norma solo al di fuori del campo della responsabilità contrattuale, ove il danneggiato intenda far valere la responsabilità extracontrattuale dell’intermediario per fatto altrui (cfr. Cass. n. 16616/2016).

1.2.4.1. Ciò detto, con particolare riferimento agli obblighi informativi merita sottolineare che nessuna deroga sussiste rispetto alla regola generale che impone al creditore il quale agisca per l’inadempimento della controparte di allegare – ma certo non di provare – l’inadempimento. Con riguardo al riparto dell’onere di deduzione e probatorio, soffermandosi sul significato dell’art. 23 citato, questa Corte ha affermato che, in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorchè risulti necessario accertare la responsabilità per danni subiti dall’investitore, va verificato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonchè, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e prima ancora dal D.Lgs. n. 23 luglio 1996, n. 415, nonchè dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonchè fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta” (Cass. n. 3773/2009).

1.2.4.2. Spetta, dunque, in primo luogo all’investitore dedurre l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l’intermediario finanziario è tenuto, con conseguente collocazione a carico dello stesso intermediario finanziario dell’onere probatorio di avere esattamente adempiuto, nei termini previsti dalla normativa applicabile ed in relazione all’inadempimento così come dedotto. Dopo di che grava sul cliente investitore l’onere della prova del nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno: onere della prova la cui osservanza, versandosi in ipotesi di causalità omissiva, va scrutinata, in ossequio alla regola del “più probabile che non”, attraverso l’impiego del giudizio controfattuale, e, cioè, collocando ipoteticamente in luogo della condotta omessa quella legalmente dovuta, così da accertare, secondo un giudizio necessariamente probabilistico condotto sul modello della prognosi postuma, giudizio che ben può muovere dalla stessa consistenza dell’informazione omessa (cfr. Cass. n. 12544 del 2017), riguardata attraverso la lente dell’id quod plerumque accidit, se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole. Tale giudizio per sua natura non si presta alla prova diretta, ma solo a quella presuntiva, occorrendo desumere (nel rispetto del paradigma di gravità, precisione e concordanza previsto dall’art. 2729 c.c.) dai fatti certi emersi in sede istruttoria se l’investitore avrebbe tenuto una condotta, quella consistente nel recedere all’investimento, ormai divenuta nei fatti non più realizzabile (cfr. Cass. n. 17194/2016). Grava infine, ovviamente, sull’investitore la prova del danno, ricordandosi, in proposito, che, come chiarito da Cass. n. 29353 del 2018 (cfr. pag. 5-6 della motivazione), “…in presenza di un comportamento illegittimo dell’intermediario, l’investitore inconsapevole si trova esposto ad un rischio che avrebbe potuto essergli accollato solo a seguito di adeguate informazioni. Il danno consiste nel rischio di perdita del capitale investito che il cliente ben informato non si sarebbe presumibilmente addossato, o almeno non in quella misura. E poichè il legislatore, nel dettare la normativa di settore in materia, muove dal presupposto che dette informazioni sono invece necessarie all’effettuazione di scelte d’investimento effettivamente consapevoli ed oculate, deve presumersi, fino a prova contraria, che quel rischio il cliente non lo avrebbe corso se fosse stato informato come si doveva. E’ dunque corretto far riferimento alla successiva perdita di valore del titolo per quantificare il danno subito dall’investitore il quale si sia trovato esposto al rischio di quella perdita per un fatto imputabile all’intermediario (Cass. n. 29864/2011)…”.

1.2.5. Con speciale riguardo alle caratteristiche della deduzione di inadempimento dell’obbligo informativo, è stato ulteriormente specificato che essa deve necessariamente tradursi nella pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che la banca avrebbe omesso di fornire, dovendo il giudice, nello scrutinare siffatto inadempimento, attenersi ai fatti che l’attore ha posto a fondamento della domanda, senza poter, come è ovvio, desumere la sussistenza dell’inadempimento dalla mancata offerta di informazioni che neppure l’interessato abbia lamentato di non aver ricevuto. E l’osservanza dell’onere di deduzione ha da essere sufficientemente delineata per una duplice ragione: i) sia perchè essa è necessaria al fine di consentire alla banca di dimostrare il proprio adempimento, prova che va rapportata al ventaglio di informazioni che l’investitore ha lamentato di non aver ricevuto; ii) sia perchè essa si collega all’onere della prova del nesso di causalità tra inadempimento e danno, gravante sullo stesso cliente, attraverso il giudizio controfattuale di cui si è detto. Sicchè, a fronte della deduzione da parte dell’investitore, scatta l’onere probatorio posto a carico dell’intermediario, il quale deve in tal caso provare di aver fornito, nei termini prima indicati, le informazioni dovute, ovvero che tali informazioni esulavano dall’ambito di quelle dovute.

1.2.5.1. Con riguardo all’assolvimento degli oneri probatori gravanti sull’intermediario, questa Corte ha altresì preso posizione sul rilievo della presa d’atto, da parte del cliente, della segnalazione di inadeguatezza, evidenziando, in continuità con il principio in precedenza esposto, che la sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d’ordine, contenente la segnalazione d’inadeguatezza dell’operazione sulla quale egli è stato avvisato, è idonea a far presumere assolto – beninteso: non già a ritenere provato – l’obbligo previsto in capo all’intermediario dall’art. 29, comma 3 regolamento Consob n. 11522 del 1998; tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi quali specifiche informazioni furono omesse, grava sulla banca l’onere di provare, con qualsiasi mezzo, che invece quelle informazioni essa aveva specificamente reso (cfr. Cass. n. 11578 del 2016). In altri termini, come precisato da Cass. n. 10111 del 2018, “la sottoscrizione della segnalazione di inadeguatezza da parte del cliente non prova qualità e quantità delle informazioni date dall’intermediario, ma fa ritenere che questi abbia somministrato al cliente una informativa dal medesimo giudicata al momento, a torto o a ragione, soddisfacente. E, però, il cliente può allegare in giudizio che l’informazione non vi è stata o non è stata completa, indicando le circostanze rilevanti non comunicate – e così, a mero titolo di esempio tra i tanti, lamentare di essere stato informato dell’inadeguatezza dell’investimento per tipologia ed oggetto, ma non per dimensione e frequenza, quantunque si trattasse di un investimento sotto tale profilo sbilanciato -, dovendo in tal caso l’intermediario dimostrare specificamente il proprio adempimento”.

1.2.6. Tale ricostruzione è ormai ferma, come emerge dalla massima secondo cui: “Nell’ipotesi in cui un investimento finanziario sia stato qualificato anche dall’intermediario come operazione inadeguata, l’assolvimento degli obblighi informativi cui quest’ultimo è tenuto, in mancanza della prova dell’osservanza delle cogenti prescrizioni contenute negli art. 28 e 29 del regolamento Consob, n. 11522 del 1998, attuati ve dell’art. 21 Tuf, non può essere desunta in via esclusiva dal profilo soggettivo del cliente, dal suo rifiuto di fornire indicazioni su di esso o soltanto dalla sottoscrizione dell’avvenuto avvertimento dell’inadeguatezza dell’operazione in forma scritta, essendo necessario che l’intermediario, a fronte della sola allegazione contraria dell’investitore sull’assolvimento degli obblighi informativi, fornisca la prova positiva, con ogni mezzo, del comportamento diligente della banca. Tale prova può essere integrata dal profilo soggettivo del cliente o da altri convergenti elementi probatori ma non può essere desunta soltanto da essi” (cfr. Cass. n. 19417 del 2017).

1.2.7. Tutto quanto fin qui detto si condensa nei principi di diritto, già sanciti da Cass. n. 10111 del 2018 e qui condivisi, che di seguito si ribadiscono:

i) “In tema di intermediazione finanziaria, la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonchè di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute”;

ii) “In tema di intermediazione finanziaria, nel quadro di applicazione dell’art. 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, la segnalazione di inadeguatezza ivi contemplata al comma 3, laddove si riferisce ad “esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”, non richiede l’indicazione del contenuto delle informazioni al riguardo somministrate dall’intermediario; in tal caso, e cioè in mancanza di indicazione del contenuto delle informazioni omesse, la sottoscrizione da parte del cliente della segnalazione di inadeguatezza non incide sul riparto del relativo onere di allegazione e prova, nè tantomeno costituisce prova dell’adempimento, da parte dell’intermediario, dell’obbligo informativo posto a suo carico, ma fa soltanto presumere che l’obbligo sia stato assolto, sicchè, ove il cliente alleghi quali specifiche informazioni siano state omesse, grava sull’intermediario l’onere di provare, con ogni mezzo, che invece quelle informazioni siano state specificamente rese, ovvero non fossero dovute”.

1.3. Alla stregua dei suddetti principi, pertanto, i due motivi in esame si rivelano inammissibili.

1.3.1. Invero, come si è già anticipato (cfr. p. 2 dei Fatti di causa), la corte distrettuale, richiamata la disciplina degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario, ha innanzitutto fatto proprio l’orientamento espresso da Cass. n. 11412 del 2012, secondo cui “la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario, con la quale egli dia atto di avere ricevuto le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del “grado di rischiosità”, è inidonea ad assolvere gli obblighi informativi prescritti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, trattandosi di una dichiarazione riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente”. A tanto ha fatto seguire la descrizione delle circostanze fattuali idonee, a suo avviso, ad escludere che alla Banca potesse ascriversi la violazione degli obblighi informativi come lamentata dagli appellanti, premettendo, tra l’altro, che un simile giudizio doveva “essere effettuato ex ante, ovvero parametrato alle conoscenze esigibili da un intermediario finanziario professionista sulle informazioni presenti nel mercato al momento dell’operazione, e non, ex post, sulla base della conoscenza del default del titolo”, senza che l’allegata conoscenza dell’alto tasso di rischio dei titoli oggetto di causa potesse essere tratta da elementi presuntivi, “posto che non può attribuirsi rilievo ai fini probatori, ancorchè in via presuntiva, a fatti meramente ipotetici”. Ha rimarcato quindi, che, nel (OMISSIS), epoca dell’ordine di acquisto degli odierni ricorrenti, non era ancora nota tra la generalità degli operatori la grave situazione finanziaria della Cirio, poi sfociata nella dichiarazione di default del successivo (OMISSIS), sicchè “non emergevano particolari caratteristiche di rischio del titolo – oltre a quella immediatamente percepibile dagli acquirenti, costituita dall’elevata redditività dell’obbligazione – tali da gravare gli obblighi informativi della banca di oneri e contenuti ulteriori rispetto alla segnalazioni contenute nella documentazione fornita”. Ha negato, infine, che, “per l’adempimento dell’obbligo informativo, la Banca appellata doveva compiutamente informare i clienti della situazione finanziaria e dell’assetto societario del gruppo Cirio”.

1.4. Tale modus procedendi è coerente con i principi enunciati nel precedente p. 1.2.7.

1.4.1. La corte marchigiana, infatti, ha escluso che la dichiarazione del S. contenuta nell’ordine di acquisto del (OMISSIS), recante una generica e riassuntiva presa d’atto delle avvertenze ivi riportate (e così descritte alla pag. 12 dell’odierno ricorso: “1) operazione non adeguata per emittente con altro rischio speculativo; 2) autorizzata operazione fuori mercato regolamentato; 3) operazione eseguita in contropartita diretta”) fosse idonea a far ritenere assolto gli obblighi informativi gravanti sulla Banca. Quella dichiarazione, però, giusta la già riportata precisazione di Cass. n. 10111 del 2018, consentiva di ritenere che la Banca stessa avesse somministrato al cliente una informativa dal medesimo giudicata al momento, a torto o a ragione, soddisfacente.

1.4.1.1. Pertanto, a fronte dell’allegazione dell’appellante secondo cui, invece, quella informativa era stata sostanzialmente incompleta (si legge nella sentenza impugnata, laddove è descritto il primo motivo di appello – cfr. pag. 4 – che, “nel caso di specie, gli avvertimenti riportati sugli ordini sottoscritti relativamente alla inadeguatezza dell’operazione di acquisto non erano sufficienti non avendo l’intermediario finanziario adeguatamente informato l’investitore in merito alla esatta consistenza ed alla solvibilità dell’emittente Gruppo Cirio, al suo forte indebitamento, al meccanismo di emissione delle obbligazioni”), l’intermediario avrebbe dovuto dimostrare specificamente il proprio adempimento.

1.4.1.2. Questa dimostrazione la corte dorica ha inteso ricavarla proprio dalla già riferita circostanza che, all’epoca dell’ordine di acquisto degli odierni ricorrenti (risalente al (OMISSIS)), non era ancora nota tra la generalità degli operatori la grave situazione finanziaria della Cirio, poi sfociata nella dichiarazione di default del successivo (OMISSIS) (oltre, dunque, un anno e mezzo dopo), da ciò traendo la conclusione della insussistenza di “particolari caratteristiche di rischio del titolo – oltre a quella immediatamente percepibile dagli acquirenti, costituita dall’elevata redditività dell’obbligazione – tali da gravare gli obblighi informativi della banca di oneri e contenuti ulteriori rispetto alla segnalazioni contenute nella documentazione fornita” (cfr. pag. 6 della menzionata sentenza). A tanto, peraltro, ha aggiunto, quanto alla dedotta assenza di rating dei titoli ed alla riserva di vendita ad investitori professionali in base alla offering circular, “che, in epoca precedente gli acquisti, la stampa specializzata aveva dato una valutazione positiva del titolo”. Infine, ha rimarcato che: i) “gli appellanti avevano acquistato il titolo ad un prezzo superiore al valore nominale, circostanza indicativa della percezione del mercato in merito alla “bontà” del prodotto finanziario”; ii) “gli acquisti sono avvenuti a collocamento avvenuto, sicchè non sussisteva alcuna limitazione nei confronti della cosiddetta clientela retail”; iii) doveva escludersi “la configurabilità del dedotto conflitto di interessi, atteso che, da un lato, la negoziazione in contropartita diretta rientrava tra le modalità con le quali l’intermediario poteva dare corso ad un ordine di acquisto o vendita di strumenti finanziari impartitogli dal cliente; dall’altro, era mancata la dimostrazione che la Banca avesse suggerito acquisto al fine di perseguire scopi ulteriori e diversi rispetto alla realizzazione dell’interesse del cliente”.

1.4.2. Orbene, le odierne doglianze dei ricorrenti non pongono in alcun modo in discussione il significato e la portata precettiva delle norme richiamate nella rubrica dei corrispondenti motivi, ma mirano a censurare l’operato della corte territoriale, la quale, a loro dire, preso atto, dell’inadeguatezza dell’investimento, unico e generico avvertimento impartito per iscritto dall’intermediario, nonchè dell’inidoneità dello stesso ad assolvere agli obblighi di legge, avrebbe dovuto definire il giudizio sulla scorta di tali elementi piuttosto che svolgere considerazioni, in una prospettiva ex ante, circa le informazioni che, in concreto, la Banca avrebbe dovuto fornire.

1.4.2.1. Viceversa, il descritto modus procedendi della corte a quo è conforme ai principi di cui si è ampiamente dato conto, sicchè la denunciata violazione di legge non ricorre, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione, posto che quel giudice, con motivazione non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che all’epoca dell’investimento, in effetti collocato in un momento temporalmente antecedente di oltre un anno e mezzo rispetto al default, l’evento non fosse pronosticabile, nè potendo addebitarsi all’intermediario di non aver fornito informazioni di cui, secondo il giudice di merito, egli all’epoca legittimamente non disponeva.

1.4.3. Corretta è pure l’affermazione, utilizzata per disattendere la sussistenza del lamentato conflitto di interessi della Banca (peraltro accertatosi essere estranea al comitato di collocamento dei titoli. Cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), secondo cui le operazioni in contropartita diretta, cioè di acquisto delle obbligazioni (anche in mancanza di un mandato del cliente) e successiva rivendita a quest’ultimo, non generano di per sè un conflitto di interessi. Tale assunto è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto che la negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi di investimento al cui esercizio l’intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nell’art. 1 T.U.F., essendo la stessa una delle modalità con le quali l’intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente, con la conseguenza che l’esecuzione dell’ordine in conto proprio non comporta, di per sè sola, l’annullabilità dell’atto ai sensi degli artt. 1394 o 1395 c.c. (cfr. Cass. n. 28432 del 2011, richiamata nella successiva Cass. n. 18039 del 2012; Cass. n. 11876 del 2016; Cass. n. 15161 del 2018).

1.5. In definitiva, le doglianze in esame si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale ed al successivo suo apprezzamento come effettuati dalla corte distrettuale (e dal giudice di prime cure) circa la mancata puntuale osservanza degli obblighi informativi tutti (riguardanti la rischiosità dell’acquisto dei bonds Cirio e la inadeguatezza dell’operazione, conclusa rispetto al profilo di rischio degli investitori) gravanti sulla Banca, cui i ricorrenti intenderebbero opporre, inammissibilmente (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019), sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione. Così operando, però, essi non considerano che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità. Essa, dunque, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., ex multis, Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass. n. 26300 del 2018).

2. Il terzo motivo, rubricato “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (sanzione comminata alla Banca Popolare di Ancona dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per violazione del T.U.F. e Reg. Consob 11522/98), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, ascrive alla corte dorica di non aver tenuto in alcuna considerazione, ai fini della valutazione dell’osservanza degli obblighi informativi gravanti sulla Banca e della dedotta situazione di suo conflitto di interesse, della sanzione comminata ad essa comminata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per violazioni riguardanti: a) il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 comma 1, lett. d), e del Regol. Consob. 11522/98, “per non essersi l’intermediario dotato di procedure interne idonee ad assicurare l’efficiente, ordinata e corretta prestazione del servizio di negoziazione in conto proprio”; b) l’art. 26, comma 1, lett. e) regolamento Conosb n. 11522/98, “per non avere l’intermediario acquisito una conoscenza degli strumenti finanziari adeguata al tipo di prestazione fornita, ossia alla negoziazione in conto proprio; il che ha reso immediatamente disponibili alla clientela emissioni dalle caratteristiche peculiari, come quelle riguardanti le obbligazioni del gruppo Cirio”.

2.1. Giova, allora, premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 15 gennaio 2016), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.1.1 Costituisce, poi, un “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); il) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.1.2. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); ii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.2. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

2.2.1. Lo stesso deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto “controverso”, contestato, non dato per pacifico tra le parti.

2.2.2. E’ utile rammentare, poi, che Cass., SU, n. 8053 del 2014, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extra testuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.3. Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti, il motivo in esame è inammissibile sia perchè viene indicato un fatto del tutto nuovo (una sanzione comminata alla banca controricorrente dal Ministero dell’Economia e delle Finanza), sia, soprattutto, per la dirimente considerazione che i suddetti provvedimenti sanzionatori (rectius: la circostanza fattuale da essi desumibile) sono assolutamente generici, privi di ogni indicazione delle concrete fattispecie sottostanti, e comunque carenti di qualsiasi dimostrazione circa un loro effettivo collegamento con la specifica vicenda contrattuale oggetto dell’odierno giudizio. Non è, dunque, configurabile, rispetto ad essi, il carattere della decisività come precedentemente descritto, mentre le ulteriori argomentazioni del motivo si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo apprezzamento di circostanze (vendita in contropartita diretta; preteso conflitto di interessi) come effettuato dalla corte distrettuale (e dal giudice di prime cure) circa l’osservanza degli obblighi informativi gravanti sulla Banca, cui i ricorrenti intenderebbero opporre, inammissibilmente (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019), questa volta sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, una diversa loro valutazione: ciò, però, come si è già detto, non è ammesso nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

2.4. A tanto deve soltanto aggiungersi che la doglianza riguardante il non avere la corte distrettuale tratto conclusioni sfavorevoli alla banca, ex art. 116 c.p.c., dal suo rifiuto di produrre tutta la documentazione relativa alle modalità, comprese le quantità, degli acquisti dei titoli Cirio, oltre che nuova è anche inammissibile perchè attiene ad un potere discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. n. 2124 del 2017).

3. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, regolate dal principio di soccombenza, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna S.D. ed A.A., in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla banca controricorrente, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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