Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16124 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. I, 28/07/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 28/07/2020), n.16124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34737/2018 proposto da:

G.G., in proprio e quale amministratore di sostegno

della madre R.D., domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Rossi Rita, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via Toscana n.

10, presso lo studio dell’avvocato Rizzo Antonio, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Ambrosoli Matteo, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Pubblico Ministero in Persona del Procuratore Generale della

Repubblica presso la Corte di Appello di Torino;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositato il

25/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/07/2020 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

G.G., in proprio e quale amministratore di sostegno della madre R.D.L., ha proposto ricorso per cassazione, in quattro motivi poi illustrati anche da memoria, contro il decreto col quale la corte d’appello di Torino ne ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del giudice tutelare del tribunale di Asti che, ai sensi dell’art. 720-bis c.p.c., aveva dichiarato cessata l’amministrazione di sostegno e disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per l’avvio del giudizio di interdizione;

ha replicato con controricorso il fratello del ricorrente, G.P..

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – il ricorrente:

(i) col primo mezzo, deducendo violazione o falsa applicazione della L. n. 6 del 2004, artt. 1 e 3 e artt. 404 e 413 c.c., censura la decisione per aver confermato la chiusura dell’amministrazione di sostegno in base al mero riscontro del deficit intellettivo della R., quando invece il riscontro di tale deficit avrebbe imposto – egli sostiene – il mantenimento della misura nel contesto di attuale protezione assicurata dalla legge;

(ii) col secondo mezzo, deducendo violazione o falsa applicazione delle medesime norme, censura la decisione nella parte in cui ha mancato di considerare che il procedimento intrapreso imponeva di valutare il permanere o meno dell’idoneità dell’amministrazione di sostegno ai fini di tutela della persona, a fronte delle potenzialità offerte dall’interdizione;

(iii) col terzo mezzo critica la corte d’appello imputandole un’omessa pronuncia sul motivo di gravame relativo alla possibile ridefinizione dei compiti e dei poteri dell’amministratore di sostegno, in luogo della disposta chiusura del procedimento;

(iv) col quarto motivo infine denunzia l’omesso esame di distinti fatti controversi, a suo dire decisivi: (a) l’avvenuta attribuzione all’amministratore di sostegno di compiti di rappresentanza sostitutiva e di assistenza necessaria; (b) l’avvenuto assolvimento dei compiti vicariali suddetti; (c) l’avvenuta nomina altresì di un pro-amministratore di sostegno onde fronteggiare eventuali situazioni di conflitto di interessi; (d) le ottimali condizioni di vita della R. presso la struttura per anziani nella quale era ricoverata; (e) l’esistenza dei deficit cognitivi della medesima R. già al momento dell’apertura della procedura di amministrazione di sostegno;

II. – i motivi possono essere esaminati congiuntamente, essendo tutti afferenti alla questione della sussistenza, o meno, delle condizioni legittimanti la chiusura dell’amministrazione di sostegno a fronte del permanere delle esigenze di tutela da tale istituto preservate;

la corte d’appello di Torino, sebbene all’esito di una lunga e non sempre lineare esposizione, ha osservato (pag. 8) che il giudice tutelare, “nel dichiarare chiusa l’amministrazione di sostegno”, aveva disposto “la trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica” affinchè valutasse se promuovere o meno il giudizio di interdizione; ha aggiunto che “coerentemente con tale prospettazione” il giudice tutelare aveva altresì previsto che l’amministratore di sostegno avrebbe terminato le sue funzioni “con la nomina del tutore o del curatore provvisorio o con la sentenza di interdizione o inabilitazione”;

in tale contesto la corte d’appello ha ritenuto che il decreto avesse lasciato impregiudicata la questione dell’ammissibilità del provvedimento interdittivo o inabilitativo nei riguardi della sig.ra R., semplicemente avendo ravvisato l’opportunità di una verifica in tal senso demandata al giudice competente, ove investito dal pubblico ministero; donde la questione sottoposta si sarebbe dovuta declinare in termini assai più semplici di come ritenuto dal reclamante, essendo relativa al fatto se sussistessero o meno le condizioni per la trasmissione degli atti alla locale Procura della Repubblica, “impregiudicato rimanendo l’esito” dell’eventuale giudizio di interdizione;

III. – il ricorrente basa le sue argomentazioni sul presupposto che invece vi sarebbe stata la chiusura del procedimento di amministrazione di sostegno come diretta conseguenza del provvedimento, a prescindere cioè dall’esito del giudizio di interdizione (ove instaurato); e insiste così nel dire che la condizione soggettiva della R. era compatibile con l’adozione di misure rafforzative dell’amministrazione in corso;

IV. – sennonchè il complesso di rilievi in tal modo svolti, da un lato, non tiene conto della specifica contraria affermazione della corte territoriale, così da apparire assertivo e non ben allineato alla ratio della decisione, dall’altro (in modo assorbente) contrasta con l’art. 413 c.c.;

risulta dalle stesse premesse del ricorso per cassazione che con sentenza del (OMISSIS) il tribunale di Asti ha dichiarato giustappunto l’interdizione della R.;

ciò rende inammissibile il ricorso per difetto di interesse;

a prescindere dalla circostanza se (come nel ricorso si dice) la decisione sia stata preceduta o meno dalla nomina di un tutore provvisorio (art. 717 c.p.c.), è pacifico che la pronuncia di interdizione fa cessare automaticamente l’amministrazione di sostegno e sposta ogni problematica nel contesto degli eventuali gravami contro la sentenza; il che si ricava dall’art. 413 c.c., u.c., secondo il quale, ove il giudice tutelare abbia ritenuto di informare il pubblico ministero della necessità di promuovere il giudizio di interdizione, per essersi l’amministrazione di sostegno rivelata a suo parere inidonea a tutelare pienamente la persona, in ogni caso “l’amministrazione (..) cessa (..) con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione”;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 7.200,00 Eur, di cui 200,00 Eur per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale massima di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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