Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16120 del 08/07/2010

Cassazione civile sez. III, 08/07/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 08/07/2010), n.16120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16091/2006 proposto da:

S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MONTE ZEBIO 32, presso lo studio dell’avvocato MESSINA MARINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PORTALE Giacomo giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.V. (OMISSIS) nella qualità di procuratore degli eredi

di B.C., considerato domiciliato “ex lege” in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GERACI Francesco giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 578/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 22/12/2005, depositata il

09/01/2006, R.G.N. 475/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/04/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

IN FATTO

B.V., nella qualità di procuratore generale degli eredi di B.C., intimò ad S.A. sfratto (per morosità e) per finita locazione di un immobile adibito ad uso abitativo.

Il S. eccepì l’intervenuta usucapione del bene.

Il giudice di primo grado accolse la domanda.

L’impugnazione proposta dal S. fu rigettata dalla corte di appello di Messina.

La sentenza è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi.

Resiste con controricorso B.V., nella sopraindicata qualità.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi.

Il motivo è privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che – risalendo il rapporto locatizio al (OMISSIS), come da atto scritto originariamente stipulato con S.I. e proseguito dapprima con la moglie, B.F., poi con l’odierno ricorrente – nonostante il disconoscimento della sottoscrizione apposta al contratto de quo dal proprio dante causa sussistessero elementi di carattere indiziario seri, precisi e concordanti idonei a giustificare l’esistenza di un rapporto locativo tra le parti (indicando puntualmente tali elementi a ff. 4 e 5 della sentenza impugnata).

Trattasi di condivisibile valutazione di fatto delle emergenze processuali che, immune da vizi logico-giuridici, si sottrae alle censure mosse dal ricorrente, essendo istituzionalmente sottratta, in quanto tale, a qualsiasi vaglio di legittimità.

Il motivo in esame, difatti, pur lamentando formalmente una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra -i esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove ed. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1141 c.c. e art. 244 c.p.c. in relazione all’art. 1158 c.c.; motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punti decisivi.

Il motivo è infondato.

Avendo correttamente ricostruito, in punto fatto, il rapporto intercorso inter partes in termini di locazione di immobile, la prova testimoniale addotta dall’odierno ricorrente appariva del tutto ultronea e inconferente (onde il conseguente, corretto diniego di ammissione), stante la situazione soggettiva di detenzione e non di possesso riconducibile ai danti causa del ricorrente e al ricorrente stesso.

Con il terzo motivo, si denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla riconvenzionale subordinata di rimborso delle somme pagate per la manutenzione e ristrutturazione.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo indicato specificamente in ricorso l’oggetto della domanda di rimborso, che veniva demandato in primo grado all’espletamento di una inammissibile consulenza tecnica esplorativa, mentre dal contenuto dell’atto di appello non emerge in alcun modo la espressa riproposizione della domanda medesima.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue, giusta il principio della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 2700,00 di cui Euro 200,00 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2010

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