Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1612 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. II, 26/01/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 26/01/2021), n.1612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7048/2016 proposto da:

M.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIA TERESA

SAPIENZA, e dall’Avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, ed elettivamente

domiciliati presso lo studio di quest’ultima a Roma, via Di

Pietralata 320, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MO.EM., rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURIZIO

ROGORA, e dall’Avvocato ALDO SEMINAROTI, ed elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo a Roma, viale Parioli

47, per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 261/2015 della CORTE D’APPELLO DI FORINO,

depositata il 11/2/2015;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

19/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale della Repubblica Dott. CAPASSO Lucio, il quale ha concluso

per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Mo.Em., con atto di citazione notificato il 28/11/2008, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Verbania, M.G. e, dopo aver esposto di essere proprietario di un fabbricato nel Comune di (OMISSIS), censito in Catasto al f. (OMISSIS), mappale (OMISSIS), ha dedotto che il convenuto, proprietario di un fabbricato costruito in aderenza a quello dell’attore, censito in Catasto al f. (OMISSIS), mappale (OMISSIS), aveva iniziato, nell’estate del 2008, in forza del permesso a costruire n. (OMISSIS), opere edilizie di ristrutturazione edilizia e di ampliamento del fabbricato medesimo, e di aver costruito, dopo la sua completa demolizione, il muro perimetrale del suo fabbricato non più in aderenza ma in appoggio all’immobile di proprietà dell’attore, mentre il muro di quest’ultimo aveva una completa autonomia strutturale ed era più elevato di quello del convenuto.

Il convenuto, inoltre, ha aggiunto l’attore, ha svolto lavori che hanno comportato la completa demolizione e la ricostruzione dello stabile, con un ampliamento della volumetria eccedente quella consentita dal P.R.G.C..

L’attore, quindi, ha contestato al convenuto i seguenti illeciti: – la realizzazione del nuovo fabbricato in appoggio e non, com’era in precedenza, in aderenza; – la messa in opera di una tubatura del bagno (poi rimossa in corso di causa) a distanza inferiore a quella legale; – la causazione di crepe e fessure nel fabbricato dell’attore; – l’ampliamento in eccedenza della volumetria; e ne ha chiesto l’accertamento, con la condanna del convenuto alla messa a norma del fabbricato, oltre al risarcimento dei danni.

In seguito, l’attore ha proposto anche la domanda di rimessione in pristino a norma dell’art. 872 c.c., comma 2, per violazione delle distanze legali.

Il convenuto, costituendosi in giudizio, ha resistito alle domande proposte dall’attore, contestandone la fondatezza ed eccependo la tardività di quella relativa alle distanze legali, ed ha proposto, in via riconvenzionale, domanda per la demolizione dello sporto di gronda dell’edificio dell’attore ed, in subordine, per la comunione del muro perimetrale ai sensi dell’art. 874 c.c., per tutta l’altezza di detto muro e per tutta l’estensione della proprietà della parte convenuta, con il pagamento della metà del valore di tale muro.

Il tribunale, con sentenza del 13/12/2011, ha, innanzitutto, ritenuto che la domanda dell’attore di rimessione in pristino, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2, per violazione delle distanze legali, fosse tardiva in quanto non proposta nell’atto introduttivo del giudizio; e, dopo aver accertato, in fatto, che il M. aveva realizzato il muro del proprio fabbricato in appoggio e non in aderenza al muro del fabbricato dell’attore, per un’altezza di due metri circa, laddove era pacifico che, prima della demolizione e della ricostruzione, il fabbricato di proprietà del convenuto era stato costruito in aderenza al contiguo immobile del Mo., ha accolto la domanda riconvenzionale proposta, in via subordinata, dal convenuto ed ha, quindi, dichiarato che il muro perimetrale dell’attore, al confine tra la costruzione dell’attore e quella del convenuto, era da considerarsi, a norma dell’art. 874 c.c., in comunione forzosa. Il tribunale, peraltro, ha ritenuto che il convenuto dovesse essere condannato ad eseguire le opere necessarie per completare l’aderenza dell’edificio del convenuto al contiguo edificio dell’attore e, quindi, ad ancorare al muro attoreo anche la parte oltre i due metri già ancorati.

Il tribunale, inoltre, ha dichiarato che il convenuto aveva realizzato il fabbricato oltre i limiti stabiliti dalla normativa urbanistica ed ha, infine, escluso la violazione invocata in ordine alla gronda, condannando, quindi, il convenuto a risarcire all’attore i danni conseguenti che ha liquidato, in via equitativa, nella somma complessiva di Euro 5.000,00, oltre interessi.

Il Mo., con atto di citazione notificato il 6/6/2012, ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale, articolando sei motivi.

Il M. ha resistito al gravame, contestandone la fondatezza, ed ha, a sua volta, proposto appello incidentale.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’appellato ed ha, in parte, accolto l’appello principale proposto dall’appellante per cui, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda di comunione forzosa del muro di proprietà della parte attrice che l’appellato aveva proposto, ha condannato l’appellato al distacco del muro del proprio fabbricato costruito in appoggio del muro di proprietà della parte appellante, ed ha condannato l’appellato al ripristino dell’antecedente stato di autonomia della gronda del tetto di proprietà di parte appellante.

La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha, innanzitutto, esaminato l’eccezione con la quale l’appellato aveva dedotto l’inammissibilità dei motivi d’appello principale successivi al primo sul rilievo che l’appellante aveva dichiarato la propria acquiescenza al capo della sentenza relativo alla tardività della domanda sulle distanze legali. La corte ha ritenuto la manifesta infondatezza di tale “bizzarra” eccezione “non essendo dato comprendere come una decisione meramente processuale – l’inammissibilità di una domanda per tardività della stessa – possa incidere sulle doglianze, di natura sostanziale, di cui ai motivi secondo-quinto”: “l’acquiescenza comporta semplicemente l’effetto per cui la domanda sulle distanze esula della devoluzione in appello” ma ogni altra censura – ha osservato la corte – restava pienamente ammissibile.

La corte, invece, ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’appellato: “l’appellante incidentale” ha osservato la corte – “pretende che sia la Corte ad individuare e scegliere, fra gli argomenti svolti da parte appellata in sede difensiva rispetto all’appello principale, quelli che possano esserle giovevoli”, laddove, al contrario, spettava all’appellante incidentale, in forza del principio della domanda, l’individuazione dei motivi di censura da sottoporre al giudice di appello. La doglianza, per il resto, ha aggiunto la corte, è generica ed inconcludente ed è, quindi, inammissibile a norma dell’art. 342 c.p.c..

La corte, quindi, ha provveduto ad esaminare i motivi dell’appello principale: a partire da quello con il quale l’appellante ha dedotto che la costruzione eretta da parte appellata costituisce una nuova costruzione edificata in appoggio alla propria ed antecedente, mentre avrebbe dovuto essere conforme a quella precedente, che era in aderenza, con la conseguente impossibilità di disporre la invocata comunione forzosa del muro. Sul punto, dopo aver distinto tra costruzione in aderenza (e cioè la costruzione in semplice contatto con il muro del vicino, rispetto al quale ha piena autonomia, sia strutturale, sia funzionale) e costruzione in appoggio (e cioè la costruzione che scarichi il peso dei suoi elementi strutturali e costitutivi sul muro del vicino), la corte ha ritenuto che, nel caso in esame, come emerge dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio, la costruzione realizzata dall’appellato fosse non di mera aderenza, vale a dire strutturalmente autonomo rispetto a quello dell’appellante, ma di appoggio “tanto da essere ancorato a quello di parte appellante con le immorsature in calcestruzzo liquido, tali da assicurarne la statica grazie alla instaurata solidarietà far il nuovo ed il vecchio muro”.

La corte, quindi, una volta stabilito che la costruzione realizzata dall’appellato era in appoggio, ha verificato, in via dichiaratamente incidentale, se la stessa si configurasse o meno, ai fini civilistici, come una nuova costruzione. Al riguardo, dopo aver chiarito che costituisce una nuova costruzione quella che modifica o il volume o la superficie o la sagoma d’ingombro originari e che costituisce, invece, una mera ricostruzione, del tutto legittima sul piano delle precedenti distanze legali, quella che, seppure del tutto nuova, lascia congiuntamente inalterati il volume, la superficie e la sagoma d’ingombro originari, la corte ha ritenuto che, nel caso in esame, l’intervento edilizio svolto dall’appellato costituisse una nuova costruzione: è rimasto pacifico, infatti, ed è stato comunque accertato dal consulente tecnico d’ufficio senza contestazione delle parti, che il nuovo fabbricato eretto dall’appellato abbia una volumetria superiore al precedente, per cui, a prescindere dalla questione se tale maggiore volumetria sia o meno urbanisticamente legittima, tale maggiore volumetria, alterando l’edificio preesistente del M., si configurava come una nuova costruzione sul piano civilistico.

La corte, in definitiva, ha ritenuto che l’appellato avesse edificato una nuova costruzione in appoggio al muro di proprietà del Mo., laddove il precedente fabbricato era strutturalmente autonomo e costruito in aderenza, con la conseguenza che era fondata la domanda di ripristino proposta dall’appellante, affermando, quindi, che il convenuto aveva l’obbligo di distaccare il nuovo muro dalla proprietà dell’attore così da renderlo autonomo e indipendente dal preesistente muro della proprietà di quest’ultimo.

Nè tale conseguenza, ha aggiunto la corte, può essere evitata dalla domanda, proposta in via riconvenzionale dal convenuto, di comunione forzosa del muro del Mo.. Il tribunale, infatti, ha osservato la corte, “senza la minima considerazione per lo stato dei luoghi” ed “in conformità della domanda riconvenzionale” dell’appellato, aveva dichiarato la comunione forzosa del muro perimetrale a confine considerando, tuttavia, solo l’altezza del muro reso comune e la porzione dello stesso compresa fra i due fabbricati, vale a dire “non anche l’intera estensione” della proprietà del M. “ma solo la porzione edificata”, che è meno estesa rispetto al fondo sul quale insiste, “che è invece latistante a tutto il fabbricato” del Mo., in tal modo violando l’art. 874 c.c., il quale, al contrario, consente la comunione forzosa del muro altrui secondo due dimensioni, e cioè in altezza, che può essere totale o parziale, e in estensione, che può essere solo totale, con la conseguenza che la statuizione del tribunale, lì dove ha disposto la comunione forzosa del muro “solo nella porzione compresa fra i due fabbricati”, doveva essere eliminata.

La corte, quindi, ha considerato assorbito il terzo motivo, concernente la misura dell’indennizzo in caso di conferma della comunione forzosa.

La corte, allora, ha esaminato il motivo relativo alla gronda e ne ha ritenuto la fondatezza. Come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, infatti, la sopraelevazione del fabbricato di proprietà del convenuto ha comportato l’inglobamento della gronda esistente del tetto di proprietà attrice all’interno della muratura perimetrale dell’edificio di proprietà del convenuto. Tale incorporazione, però, ha rilevato la corte, è chiaramente avvenuta contro la volontà dell’appellante e senza alcun accordo in merito, per cui l’appellato doveva essere condannato al ripristino dello stato dei luoghi, riportando la gronda allo stato anteriore all’incorporazione.

La corte, infine, ha dichiarato l’inammissibilità del motivo con il quale l’appellante si era limitato a richiedere la maggiorazione del danno già riconosciuto dal tribunale senza, tuttavia, spiegare per quale ragione il danno da maggiore volumetria sarebbe maggiore.

M.G., con ricorso notificato il 10/3/2016, ha chiesto, per sette motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

Mo.Em. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 342,345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato l’eccezione, proposta dall’appellato, d’inammissibilità dei motivi di gravame e delle domande che l’appellante aveva articolato nell’atto d’appello ritenendo che l’acquiescenza prestata dall’appellante alla sentenza di primo grado, lì dove il tribunale aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda di demolizione e/o messa in pristino svolta dall’attore, non poteva, per la natura meramente processuale del capo di decisione non impugnata, incidere sulle doglianze di natura sostanziale di cui motivi contenuti nell’atto d’appello, comportando, come solo effetto, quello di escludere dal devoluto in appello la sola domanda sulle distanze.

1.2. In realtà, ha osservato il ricorrente, la domanda di tutela reale proposta dall’attore a norma dell’art. 872 c.c., era stata ritenuta inammissibile dal tribunale sotto un duplice profilo, e cioè – sia pur implicitamente – nel merito, per la ritenuta mancanza dei presupposti previsti dalla legge, ed in rito, per la sua tardiva proposizione nel corso del giudizio.

1.3. La mancata impugnazione di tali statuizioni da parte dell’appellante e l’espressa acquiescenza (che non è revocabile) da lui prestata alla sentenza del tribunale anche nella parte in cui il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’azione ex art. 872 c.c., fosse priva dei presupposti di legge, ne ha comportato, ha aggiunto il ricorrente, il passaggio in giudicato, con la conseguente preclusione all’esame, da parte del giudice dell’impugnazione, dei motivi d’impugnazione che, nella prospettazione dello stesso appellante, presuppongono l’applicazione delle norme tecniche del Comune in termini di rispetto delle distanze previste dal piano regolatore generale.

1.4. La corte d’appello, quindi, ha concluso il ricorrente, a fronte della rinuncia all’impugnazione – oltre che della prospettazione nell’atto d’appello di una nuova causa petendi e quindi di una domanda inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c. – avrebbe dovuto ritenere inammissibile e improcedibile la domanda di demolizione e/o ripristino del fabbricato di proprietà dell’appellato che l’appellante ha svolto nell’atto di citazione d’appello.

2.1. Il motivo – con il quale il ricorrente ha, in sostanza, invocato l’inammissibilità dell’appello per la preclusione pro iudicato alle domande ivi riproposte in conseguenza del dedotto passaggio in giudicato, per avvenuta acquiescenza, della sentenza con la quale il tribunale avrebbe rigettato nel merito la domanda di riduzione in pristino ex art. 872 c.c., sul rilievo che le domande riproposte nell’atto d’appello, al pari di quest’ultima, presuppongono, quale causa petendi, la violazione delle norme comunali in materia di distanze – è infondato.

2.2. Emerge, infatti, dalla sentenza impugnata che il tribunale ha ritenuto che l’attore, nell’atto di citazione introduttivo del giudizio, si era limitato “a dolersi del fatto che le opere intraprese nel 2008 sul fabbricato di proprietà” del convenuto “erano da ritenersi illecite in quanto: a) non conformi al permesso di costruire n. 24/07 rilasciato dal Comune…; b) in contrasto con prescrizioni del vigente PRG… e delle relative norme di attuazione, per quanto attiene (a) modalità esecutive e volumetria realizzata, asserita in eccesso rispetto a quella ammissibile; c) causa di danni al contiguo edifico di proprietà” dell’attore. Nel predetto atto, ha osservato il tribunale, l’attore non ha lamentato alcuna violazione delle distanze legali nè ha formulata una domanda “in ordine alle distanze” del fabbricato del M. dalla contigua proprietà del Mo. e/o dal confine: solo successivamente e quindi tardivamente, ha concluso il tribunale, l’attore ha dedotto una specifica violazione delle distanze legali.

2.3. Il tribunale, quindi, si è limitato a prendere atto della tardiva proposizione della domanda di riduzione in pristino, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2, in conseguenza della dedotta violazione delle distanze legali da parte del convenuto, e l’ha dichiarata, per l’effetto, inammissibile in quanto nuova: ma, ad onta di quanto affermato dal ricorrente, non ha affatto ritenuto, neppure implicitamente, che tale domanda era infondata nel merito per difetto dei presupposti previsti dalla legge.

2.4. La statuizione del tribunale, pertanto, avendo natura meramente processuale, non poteva in alcun modo precludere, come ha correttamente affermato la corte d’appello, la valutazione da parte della stessa in ordine alla dedotta violazione, da parte del convenuto, delle norme regolamentari del Comune (peraltro diverse da quelle relative alle distanze, riguardando, come evidenziato dallo stesso tribunale, solo le “modalità esecutive” e la “volumetria realizzata” dal convenuto) che, in ipotesi, l’appellante aveva invocato a sostegno delle (diverse) domande (in tutto o in parte rigettate dal tribunale e riproposte nell’atto d’appello.

2.5. La violazione di tali norme, peraltro, non emerge in alcuna delle statuizioni effettivamente assunte dalla corte d’appello: la quale, in effetti, si è limitata ad affermare che, a prescindere dalla sua regolarità urbanistica, l’intervento edilizio svolto dall’appellato costituiva, per la maggiore volumetria realizzata, una nuova costruzione la quale, per un verso, in quanto realizzata in appoggio (e non più in mera aderenza) al muro di proprietà del Mo., giustificava il ripristino dello stato dei luoghi richiesto dall’attore, e proposta dall’appellante, e, per altro verso, fondava la domanda di risarcimento dei danni, sia pur contenuto nei limiti già stabiliti dal giudice di prime cure.

2.6. Quanto, infine, alla dedotta prospettazione nell’atto d’appello di una nuova causa petendi e quindi di una domanda inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., il motivo difetta della necessaria specificità. Il ricorrente, infatti, non ha riprodotto, neppure nei suoi passi essenziali, gli atti difensivi dell’attore dai quali emergerebbe la deduzione, da parte dello stesso, di una nuova causa petendi e, quindi, la proposizione di domande nuove con l’atto d’appello. Eppure, come questa Corte ha già chiarito, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo, e cioè che il ricorrente riporti in ricorso tutti gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (Cass. n. 23834 del 2019; Cass. n. 19410 del 2015). In particolare, ove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del tantum devolutum quantum appelatum, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi dell’atto introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate (Cass. n. 11738 del 2016; Cass. n. 23420 del 2011).

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha dichiarato l’inammissibilità, a norma dell’art. 342 c.p.c., dell’appello incidentale proposto dall’appellato sul rilievo che i relativi motivi sono generici, inconcludenti e privi di supporto critico avverso la difforme statuizione del giudice di prime cure.

3.2. La corte, in effetti, ha osservato il ricorrente, così facendo, non ha considerato che, al contrario, le argomentazioni addotte a censura dall’appellante incidentale erano di per sè sufficienti ad incrinare il fondamento logico-giuridico sotteso al capo di sentenza impugnato avendo evidenziato l’errore in cui era incorso il tribunale lì dove, nel far proprie le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, aveva, sul punto, erroneamente interpretato il dato tecnico e le conclusioni peritali rassegnate in atti.

3.3. L’appellato, infatti, ha proseguito il ricorrente, aveva censurato la sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado aveva, sia pur implicitamente, rigettato la domanda riconvenzionale svolta dal convenuto e tesa al riconoscimento della costruzione in aderenza, affermando, in particolare, che il M. aveva realizzato il nuovo muro del proprio fabbricato in appoggio al muro di proprietà dell’attore per un’altezza di due metri circa.

3.4. In tale atto, l’appellante incidentale aveva denunciato la contraddittorietà e la illogicità delle motivazione e l’erroneità della pronuncia resa sul punto dal tribunale rilevando che, sotto il profilo squisitamente tecnico, non era possibile, neppure in astratto, ipotizzare che un muro potesse essere costruito parte in appoggio e parte in aderenza e chiedendo, quindi, alla corte d’appello, ove permanessero dubbi sulla modalità costruttiva in aderenza, l’integrazione e/o la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio sul punto.

4.1. Il motivo è infondato. L’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone, infatti, come in precedenza osservato, l’ammissibilità del motivo di censura. Il ricorrente, pertanto, non è dispensato dall’onere di specificare – a pena, appunto, d’inammissibilità – il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di specificità dei relativi motivi. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione d’inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, anche se incidentale, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto quanto meno nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. Cass. n. 22880 del 2017; Cass. n. 20405 del 2006).

4.2. Nel caso di specie, invece, il ricorrente non ha provveduto a trascrivere in ricorso nè il motivo d’appello incidentale che la corte distrettuale ha dichiarato inammissibile per difetto di specificità, nè la parte della motivazione della sentenza del tribunale che a mezzo di quel motivo aveva inteso impugnare: rendendo, in tal modo, impossibile alla Corte la verifica, sulla base del solo ricorso e senza ulteriori indagini (a partire dall’accesso diretto agli atti del giudizio di merito), della effettiva specificità, o meno, delle censure ad essa rivolte. In effetti, con riguardo al testo dell’art. 342 c.p.c., comma 1, nel testo applicabile ratione temporis, e cioè antecedente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con L. n. 134 del 2012, un capo di sentenza può ritenersi validamente impugnato solo se l’atto di appello contenga una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. SU n. 23299 del 2011; Cass. n. 12280 del 2016). Ed è, quindi, inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, l’atto d’appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata (Cass. n. 1461 del 2017). Il ricorrente, piuttosto, aveva l’onere – che, però, nella specie, non ha adempiuto – di far emergere, in questa sede, come il requisito di specificità del motivo d’appello fosse stato soddisfatto, riportando le argomentazioni all’uopo svolte e correlandole con le motivazioni della sentenza gravata, in tal modo offrendo dimostrazione di aver adeguatamente contestato il fondamento logico-giuridico della decisione, sfavorevole alle tesi dagli stessi sostenute.

5.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la

violazione di legge per ultra/extrapetizione e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha dimostrato di non avere ben chiaro quale fosse il limite dell’effetto devolutivo dell’appello principale, essendosi, sul punto, contraddetta lì dove, in particolare, mentre nell’ordinanza pronunciata in data 14/4/2014 (che ha rigettato l’istanza dell’appellante di sospensione del giudizio d’appello ex art. 295 c.p.c., in relazione al giudizio incardinato innanzi al tribunale di Verbania per la tutela di cui all’art. 872 c.c., comma 9, ha ritenuto, con argomentazioni testualmente riportate in sentenza, che la controversia trattava questioni attinenti al risarcimento dei danni, nella stessa sentenza, invece, ha poi precisato che l’ambito della devoluzione concerneva unicamente la statuizione di comunione forzosa del muro ed ha ritenuto, infine, inammissibile i motivo con il quale l’appellante principale aveva chiesto la maggiorazione del danno già riconosciuto nella sentenza di primo grado. La contraddittorietà nella quale la corte d’appello è, in tal modo, caduta, configura, ha aggiunto il ricorrente, un “vizio di infrapetizione” idoneo a determinare la nullità della sentenza impugnata.

5.2. La corte, inoltre, ha proseguito il ricorrente, ha violato il principio tantum devolutum quantum appellatum, di cui agli artt. 112,345 e 346 c.p.c., lì dove, senza svolgere alcun accertamento tecnico che attraverso un’analisi strutturale del fabbricato dell’appellato stabilisca se la costruzione sia in aderenza o in appoggio, ha trattato la questione, non devoluta alla stessa, relativa alla nozione agli effetti civilistici di nuova costruzione.

5.3. Errata ed ingiusta, ha concluso il ricorrente, è, infine, la pronuncia della corte d’appello nella parte in cui, richiamando a conforto le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio in atti, ha ritenuto che il manufatto eretto dall’appellato non fosse più in aderenza, e cioè strutturalmente autonomo da quello della parte appellante, ma in appoggio ad esso, tanto da essere ancorato a quello dell’appellante con immorsature in calcestruzzo liquido, tali da assicurare la statica grazie alla instaurata solidarietà fra il nuovo e vecchio muro. La corte, infatti, così facendo, ha omesso di considerare e di valutare, senza spiegarne le ragioni, le risultanze degli accertamenti che lo stesso consulente tecnico d’ufficio aveva successivamente svolto su ordine del giudice di primo grado e poi rassegnate nel supplemento di perizia depositato in data 2/3/2010 (a seguito delle osservazioni mosse all’elaborato peritale depositato il 2/5/2009) e dall’appellato espressamente richiamate nella comparsa di costituzione e risposta nel giudizio d’appello. In tale supplemento peritale, il consulente tecnico d’ufficio, allo specifico quesito del giudice in ordine alla sussistenza, o meno, di una costruzione in aderenza al confine ovest del fabbricato attoreo, ha affermato che la muratura, costituita da blocchi di laterizio, “risulta essere stata realizzata in aderenza” al confine ovest del fabbricato attoreo poichè, come accertato durante i sopralluoghi, “la muratura in oggetto risulta separata dalla muratura in pietrame del fabbricato di proprietà attrice da un foglio di guaina catramata”.

5.4. L’asserzione della corte d’appello, quindi, ha concluso il ricorrente, non risulta suffragata da alcun dato tecnico ed è smentita dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio secondo il quale la muratura risulta essere stata “realizzata in aderenza”.

6.1. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui risulta articolato.

6.2. La prima censura (5.1.) è inammissibile non avendo il ricorrente neppure dedotto quale sia il suo interesse alla relativa formulazione.

6.3. La seconda censura (5.2.) è parimenti inammissibile ed, in ogni caso, infondata. Intanto, difetta della necessaria specificità: l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone, infatti, come in precedenza osservato, la sua ammissibilità per cui, lì dove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del tantum devolutum quantum appellatum, il ricorrente, onde osservare il principio di specificità del ricorso per cassazione, ha l’onere – nella specie rimasto inadempiuto – di riportare nel ricorso, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi dell’atto introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate (Cass. n. 11738 del 2016). La sentenza impugnata, del resto, a p. 18, ha evidenziato che l’appellante aveva proposto un motivo di censura riguardante proprio la realizzazione da parte del convenuto di una nuova costruzione edificata in appoggio e che l’accertamento svolto dalla stessa corte in ordine alla novità o meno della costruzione era incidentale e unicamente finalizzato a decidere sul predetto motivo d’appello.

6.4. La terza censura (5.3.), infine, è infondata. Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio, infatti, non hanno efficacia vincolante per il giudice il quale, pertanto, può senz’altro disattendere le argomentazioni tecniche svolte dal consulente tecnico d’ufficio sostituendo ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche: l’unico onere che il giudice incontra è, in tal caso, quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (cfr. Cass. n. 17757 del 2014): com’è accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, infatti, dopo aver distinto tra costruzione in aderenza (e cioè la costruzione in semplice contatto con il muro del vicino, rispetto al quale ha piena autonomia, sia strutturale, sia funzionale) e costruzione in appoggio (e cioè la costruzione che scarichi il peso dei suoi elementi strutturali e costitutivi sul muro del vicino), ha ritenuto, con motivazione del tutto esauriente, che, alla luce delle emergenze della relazione del consulente tecnico d’ufficio, la costruzione realizzata dall’appellato fosse non di mera aderenza, vale a dire strutturalmente autonoma rispetto a quello dell’appellante, ma di appoggio “tanto da essere ancorato a quello di parte appellante con le immorsature in calcestruzzo liquido, tali da assicurarne la statica grazie alla instaurata solidarietà far il nuovo ed il vecchio muro”.

7.1. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la costruzione del convenuto è in appoggio e non in aderenza al contiguo edificio dell’appellante senza disporre la necessaria rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio pur in presenza di un dato tecnico impreciso o incompleto.

7.2. Nel caso di specie, infatti, ha osservato il ricorrente, il consulente tecnico d’ufficio nominato da giudice di primo grado, in quanto geometra, non possedeva l’abilitazione richiesta per l’analisi strutturale del fabbricato ad opera di un ingegnere a ciò abilitato, e non ha, pertanto, eseguito alcuna verifica sugli elementi strutturali del fabbricato del M. al fine di accertarne l’autonomia strutturale e funzionale della costruzione, che la corte d’appello ha lapidariamente escluso.

7.3. In realtà, ha concluso il ricorrente, data l’assenza di univoci e chiari elementi probatori in un senso o nell’altro, il mancato approfondimento delle effettive caratteristiche strutturali dell’edificio dell’appellato da parte della corte d’appello ha interferito sull’apprezzamento del materiale probatorio in atti e sulla gravata decisione.

8.1. Il motivo è infondato. Intanto, come questa Corte ha più volte ribadito, il giudice di merito non è tenuto, pur a fronte di un’esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (Cass. n. 17693 del 2013; conf. Cass. n. 22799 del 2017).

8.2. Quanto al resto, la Corte non può che ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo, e ne trascriva, poi, per la necessaria specificità del motivo, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017; Cass. n. 16368 del 2014). Non solo: in tema di impugnazioni civili, le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicità nonchè la valutazione della decisività della questione (Cass. n. 2707 del 2004; Cass. n. 7696 del 2006; Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013, per la quale “le contestazioni difensive della consulenza tecnica d’ufficio…devono essere sollevate nella prima udienza successiva al deposito della relazione…”). Nel caso in esame, il ricorrente, da un lato, non ha riprodotto, nel ricorso per cassazione, le censure che, nel giudizio di merito, avrebbe mosso, nei termini esposti, alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, nè, dall’altro lato, ha specificamente indicato in quale atto del procedimento di merito ciò sia (tempestivamente) avvenuto ed, in ogni caso, non ha sufficientemente riprodotto, in ricorso, il testo della consulenza che ha inteso censurare (cfr., sul punto, Cass. n. 12703 del 2015, in motiv.).

8.3. Le norme che disciplinano la scelta del consulente tecnico, infine, hanno natura e finalità semplicemente direttive. Ne consegue che la scelta di tale ausiliare da parte del giudice, anche in riferimento alla categoria professionale di appartenenza e alla sua competenza qualificata, è riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice del merito, non è, quindi, sindacabile, in sede di legittimità (Cass. n. 2359 del 1977; Cass. n. 5473 del 2001; Cass. n. 7622 del 2010; nel passato, in tal senso, Cass. n. 485 del 1966). L’iscrizione negli albi dei consulenti tecnici, ripartiti per categorie, non pone, in effetti, un limite al potere di scelta discrezionale che spetta al giudice, il quale può nominare qualunque persona – sia iscritta o meno all’albo o, se iscritta, sia inserita nell’una piuttosto che nell’altra categoria – che reputi provvista di competenza specifica in relazione alla questione tecnica da risolvere, fermo restando il potere della parte di muovere censure alla consulenza effettuata, denunciandola come erronea ovvero inidonea per incompetenza tecnica della persona nominata (Cass. n. 1428 del 1983).

9.1. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione di legge per ultrapetizione e nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il tribunale, nel riconoscere la comunione forzosa del muro perimetrale al confine, aveva erroneamente considerato solo l’altezza del muro reso comune e non anche l’intera estensione della proprietà del M., come invece imposto dall’art. 874 c.c..

9.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte non ha considerato che il convenuto aveva correttamente domandato, in via riconvenzionale, la comunione forzosa del muro perimetrale ai sensi dell’art. 874 c.c., per tutta l’altezza dello stesso e per tutta l’estensione della proprietà del convenuto.

9.3. La corte, quindi, anzichè procedere alla dovuta integrazione della statuizione del tribunale, ha ritenuto, inspiegabilmente e senza fornire sul punto alcuna motivazione, che tale statuizione doveva essere eliminata, ferma la condanna dell’appellato al distacco della propria costruzione da quella dell’appellante.

9.4. La corte, invece, ha osservato il ricorrente, una volta accertato che il giudice di primo grado aveva erroneamente omesso di disporre la comunione del muro sul confine anche per tutta l’estensione della proprietà del M., ma solo sul tratto edificato, ben avrebbe potuto, di fronte ad una domanda fondata nel merito, emendare tale errore, non potendosi dubitare che nel caso di specie possa trovare applicazione l’art. 874 c.c..

10.1. Il motivo è fondato. La corte d’appello, in effetti, ha rigettato la domanda, che il convenuto aveva proposto in via riconvenzionale, avente ad oggetto la costituzione a norma dell’art. 874 c.c., della comunione forzosa del muro al confine tra la proprietà dell’attore e quella dello stesso convenuto, sul rilievo che il tribunale, lì dove aveva accolto tale domanda, aveva considerato, in violazione della predetta norma ed in conformità della domanda riconvenzionale proposta, solo l’altezza del muro e la porzione dello stesso compresa fra i due fabbricati: non anche – come emerge dal grafico esposto a p. 27 – l’intera estensione della proprietà del M. (e cioè il convenuto) “ma solo la porzione edificata”, che è meno estesa rispetto al fondo sul quale insiste, “che è invece latistante a tutto il fabbricato” del Mo., con la conseguente esclusione da tale comunione di una porzione di muro di quest’ultimo (e cioè l’attore), laddove, al contrario, ha correttamente aggiunto la corte, l’art. 874 c.c., consente la comunione forzosa del muro altrui secondo due dimensioni, e cioè in altezza, che può essere totale o parziale, e in estensione, che può essere solo totale.

Così facendo, però, la corte d’appello non ha considerato che, in realtà, l’appellato, come emerge dalle conclusioni da lui precisate, così come testualmente esposte nella stessa sentenza impugnata (p. 4), aveva espressamente domandato (come del resto in primo grado: v. la sentenza del tribunale, p. 3 e 4), per l’ipotesi in cui la costruzione fosse state ritenuta non in aderenza ma in appoggio, di confermare la sentenza che ha dichiarato la comunione del muro perimetrale dell’edificio dell’attore a confine con la proprietà del convenuto “per tutta l’altezza di detto muro e per tutta l’estensione della proprietà del convenuto”: ivi compresa, pertanto, la parte non edificata ma “latistante a tutto il fabbricato” del Mo..

Nè può ritenersi che tale domanda, espressamente riproposta in appello, non poteva essere esaminata dalla corte territoriale in conseguenza dell’inammissibilità dell’appello incidentale dalla stessa statuita: se non altro perchè tale pronuncia ha investito, evidentemente, le censure svolte dall’appellato alla sentenza del tribunale relativamente ai capi sui quali era risultato soccombente ma non ha certo travolto, come può argomentarsi dal principio dettato in materia di nullità dall’art. 159 c.p.c., comma 1, l’atto d’appello per la parte in cui lo stesso ha riguardato, a mezzo dell’espressa riproposizione della domanda riconvenzionale, la pronuncia di primo grado con riguardo ad un punto, come la costituzione della comunione sul muro al confine, in cui lo stesso era risultato, al contrario, in ragione dell’accoglimento di tale domanda (in una forma, peraltro, che, limitando la comunione del muro solo alla parte edificata della proprietà del convenuto, era per lo stesso persino più vantaggiosa rispetto alla sua estensione all’intera sua proprietà, da lui testualmente richiesta) totalmente vittorioso. Del resto, l’interesse ad impugnare sussiste solo in presenza della soccombenza, intesa come situazione di fatto nella quale la sentenza di primo grado abbia tolto o negato alla parte un bene della vita accordandolo all’avversario, ed abbia quindi concretamente determinato per la stessa una condizione di sfavore, a vantaggio della controparte.

11.1. Con il sesto ed il settimo motivo, il ricorrente, lamentando, rispettivamente, la violazione di legge per ultrapetizione e nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1067 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto la sussistenza di una servitù di gronda, laddove, come sostenuto dal convenuto nella comparsa conclusionale, a fronte dell’accordo intercorso tra i tecnici delle parti nel corso dei lavori di ristrutturazione, nessun diritto di gronda a carico del mappale (OMISSIS) del f. (OMISSIS) di proprietà del convenuto può essere legittimamente sostenuto e preteso dall’attore, tanto più a fronte della natura e della modesta consistenza dello sporto del quale si discute.

11.2. D’altra parte, ha aggiunto il ricorrente, l’inglobamento di detto sporto non ha causato alcun danno alla proprietà dell’attore nè sussiste, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, l’eventuale pericolo che possano verificarsi in futuro infiltrazioni nella proprietà Mo..

11.3. Il motivo d’appello che la corte ha accolto, del resto, ha aggiunto il ricorrente, era inammissibile per la mancanza di necessaria correlazione tra la motivazione del provvedimento impugnato e la censura. L’appellante, infatti, non ha mosso alcuna censura alla sentenza di primo grado, che non ha neppure richiamato sul punto, ma alle affermazioni rese dal consulente tecnico d’ufficio.

11.4. La corte, infine, ha concluso il ricorrente, non spende alcuna parola in merito all’applicazione al caso di specie dell’art. 1067 c.c., che l’appellante principale aveva posto a fondamento della dedotta censura, nè indica in che modo e in quale misura l’opera dell’appellato avrebbe reso più incomodo l’esercizio della servitù di gronda rivendicata dall’appellante, tanto più che, ove mai tale servitù effettivamente sussiste, l’art. 1067 c.c., comma 2, consente al proprietario del fondo asseritamente servente di apportare innovazioni a condizione che rimanga inalterata l’utilitas della stessa che, in tale caso, sarebbe quella, che non è stata rimossa, di convogliare e scaricare le acque meteoriche dal tetto del fabbricato Mo..

12. I due ultimi motivi sono assorbiti.

13. Il ricorso dev’essere, pertanto, accolto, in relazione al quinto motivo, e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Torino che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte così provvede: rigetta i primi quattro motivi, accoglie il quinto, assorbiti gli altri; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Torino che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

 

 

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