Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16119 del 28/07/2020
Cassazione civile sez. I, 28/07/2020, (ud. 24/01/2020, dep. 28/07/2020), n.16119
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 201/2019 proposto da:
T.I., rappresentato e difeso dall’avv. Cavicchioli, del
foro di Biella;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 803/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,
depositata il 27/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio deò
24/01/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.
Fatto
RILEVATO
CHE:
1. La Corte d’Appello di Torino, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal cittadino (OMISSIS) T.I., il quale aveva dichiarato di aver dovuto lasciare il proprio paese nel 2014, dopo essere stato minacciato di morte da un potente militare di (OMISSIS), la cui vettura era stata rubata mentre si trovava in riparazione nell’officina da lui gestita.
2. La Corte d’Appello ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente “per le ragioni già enucleate nell’ordinanza impugnata”; ha affermato che T. non aveva prospettato alcuna condizione di particolare vulnerabilità o di esposizione a rischio personale; ha inoltre escluso che la sua vulnerabilità potesse derivare dalla situazione della (OMISSIS), che non è più teatro di conflitto armato interno generalizzato ed anzi ha avviato un processo di effettiva riconciliazione politica, che ha consentito il rientro in patria di molti ex rifugiati politici e che, secondo il Fondo Monetario Internazionale, sta registrando il più rilevante aumento del Pil di tutto il continente africano; ha, infine, rilevato che il percorso di integrazione sociale avviato dal richiedente in Italia non era di per sè sufficiente all’accoglimento della domanda.
3. Avverso la sentenza, pubblicata il 27.4.2018, T.I. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
4. Nell’unico motivo di ricorso vien dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ratione temporis applicabile, per avere la Corte d’Appello illegittimamente rigettato la domanda di protezione umanitaria non avendo considerato che, alla luce dei principi stabiliti da questa Corte (Cass. n. 4455 pel 2018, confermata da S.U. n. 24959 del 2019), il percorso d’integrazione sociale e lavorativa del ricorrente, posto in correlazione comparativa con la condizione di privazione dei diritti umani e di effettiva compromissione dei diritti fondamentali inviolabili riscontrabile in (OMISSIS), doveva essere considerato come qualificante l’accertamento della situazione di vulnerabilità.
5. La censura è fondata.
5.1) Alla luce dei principi enunciati da questa Corte (Cass. n. 4455 del 2018, Cass. SS.UU. nn. 2949 e 24960 del 2019), la condizione di vulnerabilità suscettibile di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria può essere desunta dalla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto dallo straniero in Italia e la situazione soggettiva e oggettiva in cui questi si verrebbe a trovare in caso di rientro nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del “nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale”.
5.2 Una volta che, come avvenuto nella specie, il richiedente abbia documentato il suo grado di integrazione in Italia ed allegato i fatti oggettivi e soggettivi indicativi, a suo dire, della condizione di vulnerabilità cui sarebbe esposto nel paese d’origine, il giudice del merito è dunque tenuto ad operare la comparazione, in ragione del proprio dovere di collaborazione istruttoria officiosa, al fine di accertare se con il rimpatrio possa determinarsi, all’attualità, non il mero peggioramento della condizione di vita goduta dallo straniero nel nostro paese, ma, tenuto conto della sua condizione soggettiva ed oggettiva (età, salute, radici relazionali e parentali, condizione personale, appartenenza ad un gruppo sociale ecc.), una compressione dei diritti umani correlati al suo profilo, che lo priverebbe della concreta possibilità di condurre un’esistenza coerente con il rispetto della dignità personale. Tale giudizio comparativo deve riguardare (ove allegata) anche la condizione economico – sociale del paese di origine, dovendosi verificare se ivi si sia determinata una situazione dettata da ragioni d’instabilità politica od altro, di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione, o per tipologie soggettive analoghe a quelle del ricorrente, e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale, anche in questa ipotesi.
5.3) Nel caso in esame, pur avendo T. dedotto le ragioni oggettive (degrado sociale in cui versa la (OMISSIS), stato di indigenza diffusa della popolazione ecc.) e soggettive (sua giovane età, mancanza di una rete di protezione familiare su cui fare affidamento) per le quali il rientro in (OMISSIS) avrebbe gravemente compromesso il suo diritto a godere di diritti umani fondamentali, quale quello all’alimentazione ed alla salute, l’indagine comparativa è stata del tutto omessa.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020