Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16118 del 22/07/2011

Cassazione civile sez. I, 22/07/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 22/07/2011), n.16118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G., elettivamente domiciliata in Roma, alla via

Chiana 87, presso lo studio degli avv.ti MAGRA FRANCESCO e Nunziata

Monello, che la rappresentano e difendono come da procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t.,

elettivamente domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi 12, presso

la sede dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende per legge;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 250/07 della Corte d’Appello di Messina,

depositato il 3.4.08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

6.4.2011 dal Consigliere Dott. Magda Cristiano;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Messina, con decreto del 3.4.08, ha riconosciuto il diritto di M.G. ad essere indennizzata per l’eccessiva durata della procedura fallimentare aperta nei suoi confronti dal Tribunale di Siracusa con sentenza del 1990 ed ancora pendente alla data di deposito del ricorso (12.7.07) e, ritenuto che il procedimento avesse avuto una durata di tredici anni superiore a quella ragionevole, ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare alla ricorrente, a titolo risarcitorio, la somma di Euro 15.000 oltre agli interessi legali dalla data della domanda. La M. ha chiesto la cassazione del provvedimento, sulla base di tre motivi di ricorso.

Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo ed il secondo motivo di ricorso la M., denunciando rispettivamente violazione dell’art. 6 Cedu e L. n. 89 del 2001, art. 2, e vizio di omessa e/o contraddittoria motivazione, lamenta che la Corte territoriale si sia discostata dai criteri di liquidazione del danno adottati dalla Corte Edu in casi analoghi, e che non abbia tenuto conto della particolare rilevanza della posta in gioco. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte di Strasburgo ha fissato un parametro tendenziale di liquidazione del danno da irragionevole durata del processo che oscilla fra Euro 1.000 ed Euro 1.500 per ogni anno di ritardo. A tale parametro si è pienamente attenuta la Corte territoriale, che, pur avendo escluso che la M. avesse allegato specifici profili di patimenti o perturbazioni psichiche, ha quantificato l’indennizzo in un importo superiore ai 1.150 Euro annui. L’accertamento di fatto compiuto dalla Corte, circa la mancata deduzione di circostanze atte a configurare una particolare incidenza del ritardo sulla sfera psichica dell’istante, risulta poi contrastato in maniera del tutto generica dalla M., che, nel secondo motivo di ricorso, dopo aver inutilmente richiamato le difese con le quali aveva dedotto la sussistenza di danni (patrimoniali, anche da perdita di chances, ed esistenziali) di cui non ha lamentato il mancato riconoscimento, si è limitata ad affermare che, versandosi in tema di procedura fallimentare, la rilevanza della posta in gioco la esonerava dal provare l’entità dei propri patimenti.

In contrario, va osservato che la natura del procedimento presupposto non costituisce sufficiente criterio per l’accertamento della particolare rilevanza della “posta in gioco” e non giustifica di per sè uno scostamento dagli ordinari parametri indennitari fissati dalla Corte EDU. Ne consegue che il giudice del merito che, come nella specie – in assenza di specifici elementi di valutazione del preteso maggior impatto che l’irragionevole protrarsi del processo ha prodotto nella sfera psichica del richiedente – non si sia discostato da detti parametri, e non abbia pertanto travalicato l’ambito della propria discrezionalità, non è tenuto a motivare sulle ragioni per le quali non ha ritenuto la controversia di importanza tale da giustificare una maggiore liquidazione del danno.

2) E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente, denunciando ulteriore violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione agli artt. 13 e 41, e art. 6 comma 1 della CEDU, lamenta che la Corte territoriale abbia liquidato il danno soltanto con riferimento alla durata del procedimento eccedente quella ragionevole, così disapplicando la consolidata giurisprudenza della Corte EDU che afferma che l’indennizzo va riconosciuto per ogni anno effettivo di giudizio.

Costituisce infatti principio ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, Cass. nn. 8780/010, 7550/010), ed enunciato anche dalla Corte Costituzionale (sentenze nn. 348 e 349/07), che il giudice italiano, chiamato a dare applicazione della L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla Convenzione EDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo entro i limiti in cui detta interpretazione sia resa possibile dal testo della legge stessa. Se invece ciò non è possibile (come nel caso dell’art. 2, comma 3, lett. a, secondo il quale rileva solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole), il giudice, qualora dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione internazionale interposta, deve investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità rispetto al parametro di cui all’art. 117 Cost., comma 1, ma non può procedere alla diretta disapplicazione della norma interna.

Va aggiunto (ancorchè la questione non sia stata sollevata dalla M.) che l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’articolo citato è stata già vagliata da questa Corte proprio in riferimento alla coerenza del rimedio stabilito dalla L. n. 89 del 2001, con il principio di effettività (avuto riguardo alle norme convenzionali invocate dalla ricorrente) e ritenuta manifestamente infondata, in quanto la diversità del moltiplicatore del calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge nazionale ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per a lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione medesima (Cass. nn. 980/08). Al rigetto del ricorso segue la condanna della M. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 1.500, oltre spese prenotate a debito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio, liquidate in Euro 1.500 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2011

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